Aggiornato il giorno 1 agosto 2023
Agitazione, disturbi del sonno, aggressività sono alcuni dei sintomi che compaiono a chi è preoccupato per la crisi ambientale. Un senso di impotenza che colpisce spesso i più giovani e che è strettamente collegato alle conseguenze dei fenomeni naturali estremi e ai mezzi di informazione. Per comprendere meglio la questione, è stato coniato il termine ecoansia, la “sensazione generalizzata che le basi ecologiche dell’esistenza siano in procinto di crollare”. Non ancora inserita tra i disturbi d’ansia, l'ecoansia interessa sempre più persone, pur non essendo l’unica emozione collegata al cambiamento climatico. Ricerche a livello nazionale stanno studiando le ripercussioni su ragazzi e ragazze italiani e un metodo scientifico per quantificarle e gestirle.
I cambiamenti climatici sono variazioni di lungo periodo delle condizioni climatiche medie della Terra o di ampie zone del pianeta. Da sempre il clima della Terra subisce mutamenti, attraversando ere glaciali e periodi con temperature medie elevate. Il problema è che i cambiamenti climatici osservati a partire dall’inizio del Novecento non sono naturali, bensì causati da attività umane, in particolare dall’utilizzo dei combustibili fossili. Un’interferenza nei delicati equilibri della Natura che sta determinando siccità, scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello dei mari, aumento delle precipitazioni, perdita della biodiversità.
“Non dobbiamo pensare all’ottimismo o al pessimismo, quanto piuttosto a essere realisti. Bisogna dire la verità, qual è la situazione, e cosa dobbiamo fare per prevenire una catastrofe. Bisogna dire le cose come stanno”, ha detto Greta Thunberg in un’intervista rilasciata nel 2019. A tre anni di distanza, alla paura per le condizioni ambientali si sono aggiunte quelle della precarietà di una situazione pandemica mondiale in continua evoluzione, in cui è stata messa a rischio la salute delle persone e di cui non si conoscevano, a un certo punto, strumenti utili per fronteggiarla.
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Dopo vari studi internazionali, anche in Italia si è iniziato così ad approfondire il legame tra crisi climatica e salute mentale. “Non possiamo definire l’ecoansia come una malattia ma come un’esigenza, un sentimento razionale. I ragazzi che la sentono sono quelli che si interessano allo stato del mondo e vogliono fare qualcosa”, spiega Matteo Innocenti, psichiatra e psicoterapeuta che ha fondato meno di un anno fa l’Associazione italiana ansia da cambiamento climatico (Aiacc), che aiuta le persone (gratuitamente) a fare i conti con le proprie emozioni.
“Non possiamo definire l’ecoansia come una malattia ma come un’esigenza, un sentimento razionale. I ragazzi che la sentono sono quelli che si interessano allo stato del mondo e vogliono fare qualcosa” Matteo Innocenti
Quali sono le cause? Sono diverse e spesso collegate: l’esposizione a fenomeni meteorologici estremi – caldo torrenziale, bombe d’acqua, monsoni – insieme alla convivenza con cambiamenti del territorio sul medio periodo come desertificazione, acidificazione dei mari, perdita di biodiversità e migrazioni.
Chi ne soffre è spinto a cambiare abitudini, a trovare un modo per essere più ecosostenibile, a fare rete e informarsi. La correlazione tra media e impatti psicologici della crisi climatica sui più giovani è al centro di uno studio condotto dall’Università di Torino durante la pandemia. Dalla ricerca, che ha interessato 312 studenti universitari tra i 18 e i 26 anni, emerge che l’esposizione a contenuti che riguardano il cambiamento climatico avviene diverse volte a settimana, provocando, se contenuta, una spinta propositiva. “L’ansia c’è – commenta Daniela Acquadro Maran, docente di psicologia e coautrice dell’approfondimento – ma è una sensazione che smuove, produce comportamenti favorevoli all’ambiente, non solo a livello individuale”. Ma non sempre è così: un’errata informazione può, infatti, portare a un’insicurezza tale da avere ripercussioni più forti della sola preoccupazione e indurre reazioni negative.
Un’errata informazione può portare a un’insicurezza tale da avere ripercussioni più forti della sola preoccupazione e indurre reazioni negative
È il caso dell’ecoparalisi, uno stato emotivo “caratterizzato dalla perdita di speranza, senso di impotenza, depressione, perdita di motivazione e annullamento di ogni senso di efficacia di fronte ai cambiamenti climatici”, come riporta Innocenti nel suo libro Ecoansia. I cambiamenti climatici tra attivismo e paura (Erikson, 2022). Un problema che affligge chi si sente sovrastato dal pensiero che il pianeta stia collassando.
Migrazioni e crisi climatica sono connesse
Il cambiamento climatico provoca emozioni molto diverse tra loro. Da un lato, si possono presentare in maniera negativa: oltre all’ecoparalisi, si può fare l’esperienza di altri comportamenti disturbanti come, tra gli altri, la solastalgia (la sofferenza provocata dalla desolazione di vedere il proprio ambiente cambiare), la terrafurie (la rabbia estrema contro le istituzioni politiche ed economiche) o la preoccupazione insistente in cui si rimugina sui pericoli attuali e futuri della Terra. Anche la mancata interazione con la natura può portare a un vero e proprio disturbo, seppur non iscritto in alcun manuale di diagnosi.
Il legame con il pianeta, però, può scatenare anche sentimenti positivi, come una “sorta di fusione tra umano e natura”, fino a sentirsi legati alla vita e ai suoi processi, provare sincero affetto per una particolare regione o sentire l’amore e l’unione tra specie umana e animali. “Queste emozioni - sostiene Innocenti - rappresentano dei segnali importanti per descrivere come la popolazione si stia emotivamente relazionando agli affetti, diretti e indiretti, della crisi climatica”.
Il legame con il pianeta, però, può scatenare anche sentimenti positivi, come una “sorta di fusione tra umano e natura”
L’impatto di queste sensazioni sulla qualità della vita è importante, ma fino a poco tempo fa non quantificabile. Sono state messe a punto, a questo proposito, delle scale di misurazione dell’ecoansia. A livello internazionale, nel 2021, è stata validata la Hogg eco-anxiety scale, un vero e proprio strumento diagnostico che attraverso un questionario indaga le ripercussioni psicologiche. Tra i sintomi proposti, nervosismo, ansia, preoccupazione, fino alla difficoltà ad addormentarsi, studiare, lavorare e godersi situazioni sociali con la famiglia e gli amici. Spostando il focus sul nostro Paese, sono state valutate la Climate change anxiety scale e la Climate change worry scale, due scale psicometriche che indagano la frequenza con cui si manifestano alcuni stati d’animo.
Per gestire le emozioni serve una strategia. Innanzitutto, per capire se ciò che si sta provando è una risorsa, come accade per l’ecoansia, oppure un blocco, come succede per l’ecoparalisi. Poi, per mettere in pratica dei consigli per migliorare la capacità di affrontarle. Innocenti, insieme al ricercatore Gabriele Santarelli, ne indica dieci:
La crisi climatica è reale, come le sue conseguenze sulla salute fisica e mentale. Proprio per fare rete e dare supporto ai ragazzi è nata l’Aicc: “L’associazione ha un duplice scopo – conclude Innocenti – da un alto fornire un supporto gratuito a chi soffre di ecoansia e fare ricerca, dall'altro essere incubatore di idee per creare una collaborazione tra istituti. L’aiuto è di tipo volontario, quasi di attivismo, come i ragazzi che mettono a disposizione le loro forze per comprendere e reagire al cambiamento. Non è una terapia di gruppo come la si può immaginare, ma sono iniziative e incontri in cui la protagonista non è l’ansia, ma il futuro del pianeta”.
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