La lettera dei detenuti del carcere di Crotone
La lettera dei detenuti del carcere di Crotone

Crotone, reclusi in sciopero della fame: "Otto in celle da cinque"

I detenuti scrivono a Mattarella. Per cinque giorni hanno rifiutato i pasti per protestare contro il sovraffollamento e la carenza di protezioni. La cittadinanza risponde donando loro 150 mascherine fatte a mano

Francesco Donnici

Francesco DonniciGiornalista

15 aprile 2020

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“E subito una nota di cristiàni tutta intorno si formava per vedere ‘sti pisci. Ma st’annu è diverso, st’annu i tonni passanu tardi, s’ha d’aspettare u mare”. Il febbraio 2019 i detenuti della casa circondariale di Crotone, nella sala comune, assistevano allo spettacolo teatrale “Bollari”. Quest’anno – come dice nell’opera il pescatore di tonni sulle rive del mar Ionio – “è diverso”: c’è la pandemia da coronavirus e queste attività non sono possibili. Queste mancanze, negli istituti penitenziari, non sono irrilevanti. Da quando è iniziata l’emergenza sono stati sospesi i colloqui fisici con le famiglie o i congiunti. Non è possibile inviare pacchi ed effetti personali se non tramite posta. “La situazione in Calabria per ora è sotto controllo, ma la stiamo monitorando”, spiega Federico Ferraro, il garante dei detenuti del Comune di Crotone.
Il 4 aprile i detenuti hanno scritto una lettera a lui, al garante regionale Agostino Siviglia, al presidente Sergio Mattarella, al ministro Alfonso Bonafede e altri rappresentanti delle istituzioni per annunciare il loro sciopero della fame: “Visto il protrarsi dell’emergenza coronavirus, l’inefficacia dei provvedimenti adottati dall’attuale governo, l’impossibilità di mantenere nell’intero istituto uno stile di vita adeguato alle linee guida del Dpcm (decreto della presidenza del consiglio dei ministri, ndr), l’ingresso di nuovi giunti e nonostante l’egregio sforzo dell’intero corpo di polizia penitenziaria che, insieme a noi e forse più di noi, è esposto a questo temibile virus, si è deciso di mettere in atto una protesta pacifica per segnalare il nostro disagio”. Hanno rifiutato i pasti per cinque giorni, fermando la loro dimostrazione su richiesta del garante comunale e dopo l’aiuto di una delegazione di cittadini.

Nelle carceri italiane il sovraffollamento è un problema ancora grave: “Le presenze – riporta l’8 aprile il Corriere della Sera – sono state un po’ sfoltite nell’ultimo mese, grazie al buon senso più che a regole farraginose, da 61.235 a 57.137 detenuti. Per almeno un terzo mai condannati definitivamente quindi in attesa di giudizio. Magari innocenti. I posti però restano 47.482”.  

Le meditazioni dei detenuti del carcere di Padova hanno accompagnato la Via Crucis di papa Francesco

L’appello dalla Calabria

A sinistra, il garante dei detenuti di Crotone, Federico Ferraro. In centro, il garante nazionale Mauro Palma
A sinistra, il garante dei detenuti di Crotone, Federico Ferraro. In centro, il garante nazionale Mauro Palma

Al 31 marzo 2020, i detenuti nei 12 penitenziari calabresi erano 2.832 a fronte di una capienza regolamentare di 2.734 posti. Il carcere di “media sicurezza” di Crotone è solo un esempio in piccolo. I detenuti sono 146 e i posti novanta. L’età media è sui 40 anni e provengono da diverse parti della regione e del mondo. Dal Nord Africa all’Albania passando per il Crotonese, molti scontano condanne per reati in materia di immigrazione, rapine o violenze domestiche. La maggior parte per reati in materia di stupefacenti. Fanno fatica a parlare tra loro, soprattutto in assenza dei mediatori culturali. Per via dei reati commessi, molti devono ancora scontare pene sotto i 18 mesi, ragione per cui in base al decreto “Cura Italia” potrebbero accedere alle misure alternative. Tuttavia presentare un’istanza non è facile per tutti. Così restano molti ad affollare le celle.

“Nelle stanze di pernottamento invece che in cinque siamo in otto. In quelle da due siamo in quattro”, scrivono ancora i detenuti. “E laddove ci sono problemi di sovraffollamento di questa portata – sottolinea il garante Ferraro – non è possibile rispettare le prescrizioni di questo periodo, su tutte il distanziamento sociale”. Ciò che viene chiesto, se non altro, è un po’ di tranquillità in più: “Ai nuovi entrati viene effettuata solo una rilevazione di temperatura. Loro chiedono che a tutte le persone che gravitano intorno al carcere, da fuori, venga fatto il tampone. Questo, le normative attualmente in vigore, non lo prevedono”, prosegue. Il garante ha incontrato via Skype una delegazione per discutere dell’interruzione della protesta. “Loro stanno cercando di lanciare un appello alle Istituzioni, ma anche e soprattutto alla società civile affinché guardi al carcere”.

La prima risposta concreta è arrivata grazie a otto donne che nei prossimi giorni produrranno a mano e consegneranno al carcere 150 mascherine. Da qui la decisione, almeno per ora, di interrompere la protesta.

Troppa burocrazia per le misure alternative

Già Daniela De Robert, garante nazionale dei detenuti, aveva definito “insufficienti” le misure adottate dal governo. Pensiero che ricalca – stando alle dichiarazioni del garante regionale calabrese, Agostino Siviglia – quello di quanti rivestono questo ruolo nelle diverse realtà territoriali del paese. Non solo non attenuano le difficoltà, ma appesantiscono la burocrazia al punto che non è possibile ottenere misure alternative in tempi rapidi. Sempre secondo Siviglia, “tutto l’apparato burocratico rimane invariato e questo non aiuta in un contesto di emergenza dove agire immediatamente è fondamentale”.
Sta ora al governo operare di conseguenza, ma le indiscrezioni che trapelano dall’ufficio nazionale del garante non sembrano confortanti. “Negli istituti dove ci sono stati casi di contagio, si deve isolare le persone in spazi appositi. Questi spazi non sono presenti ovunque. Noi – continua Siviglia – stiamo spingendo per interventi che possano alleggerire la popolazione carceraria. Non stiamo parlando, come detto a più riprese, di atti di amnistia e indulto perché non ci sono le condizioni politiche in questo momento. Il rischio sarebbe quello di suscitare nella popolazione detenuta illusioni. Questo potrebbe scatenare ulteriori proteste”.

Nei giorni delle proteste nelle carceri, le detenute di Venezia hanno manifestato donando soldi all'ospedale

Pochi agenti, medici e psicologi

L'istituto penitenziario di Crotone
L'istituto penitenziario di Crotone

“La situazione nella quale operano gli agenti di polizia penitenziaria, i medici e gli infermieri, va monitorata con attenzione perché non possono avere dispositivi di protezione adeguati e non hanno smesso di lavorare un giorno da quando tutto è iniziato”, racconta ancora Siviglia.
Secondo il dato nazionale, 193 poliziotti penitenziari sono stati contagiati e un loro collega è morto. “Gli agenti – continua – sono in sottonumero in tutti gli istituti penitenziari del paese”. Anche in questo caso si può portare come esempio Crotone, dove gli agenti sono 67 a fronte degli 80 richiesti per legge. 

Inoltre “ci sono penitenziari, come quello di Arghillà a Reggio Calabria, con circa trecento detenuti, dove non ci sono abbastanza infermieri, psicologi e psichiatri. Il personale ha un monte orario di lavoro molto basso e sono costretti a fare molti straordinari”. Gli psicologi hanno a disposizione solo otto ore rispetto alle 36 che sarebbero normalmente previste. Dopo diverse lettere per chiedere l’assunzione di personale sanitario da destinare ai penitenziari calabresi, il generale Saverio Cotticelli, commissario ad acta della sanità calabrese, ha autorizzato l’integrazione di otto infermieri nella struttura di Arghillà. “L’Azienda sanitaria provinciale non ha più scuse – commenta il garante regionale – e bisognerà provvedere immediatamente a far rientrare il personale necessario”.

Psicologi e psichiatri non sono necessari solo a garantire un sostegno importante già in normali circostanze per la popolazione detenuta. “In questo momento – continua Siviglia – non essendoci colloqui dal vivo con persone dall’esterno, un supporto psicologico diventa fondamentale”. Non solo. A seguito delle rivolte nelle carceri delle scorse settimane, nei dodici penitenziari calabresi sono stati trasferiti 150 detenuti provenienti da altri istituti (Napoli, Rieti e Foggia su tutti). Alcuni di questi, oltre che tossicodipendenti, hanno bisogno di cure e trattamenti specifici. “A normativa invariata, si tende a fare in modo che chi ha problemi di questo genere possa chiedere di essere collocato in comunità terapeutiche o simili”. Per farlo, però, occorre il referto del responsabile sanitario dell’istituto che apre alla possibilità di misure alternative. “Si sta facendo un grande sforzo, ma – almeno in Calabria – il numero delle persone detenute che riesce poi ad accedere a misure alternative si può contare sulle dita di una mano. Non va mai dimenticato che un contagio all’interno del carcere potrebbe diventare un moltiplicatore di drammatica gestione”.

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