
Don Italo Calabrò, pioniere dell'antimafia sociale

13 luglio 2022
Il 26 maggio un elettricista 23enne è caduto dalla tettoia di un capannone a Monsampolo del Tronto (Ascoli Piceno) su cui stava lavorando ed è morto. A poche ore di distanza, a Messina, un operaio di 49 anni ha fatto la stessa fine precipitando da un'impalcatura mentre stava montando un infisso. Sempre quel giovedì il presidente del Consiglio Mario Draghi, ricordando le oltre 1.200 persone morte nel 2021 lavorando, dichiarava che la sicurezza sul lavoro "è un tema di civiltà, che qualifica una democrazia". Due giorni dopo, il 28 maggio, un altro operaio impegnato in lavori edili a Porto Viro (Rovigo) ha perso la vita cadendo da una cesta elevatrice, mentre altri due uomini sono finiti in ospedale, a Bologna e Siracusa, a seguito di incidenti avvenuti nei cantieri.
Ciotti: Si muore di lavoro, ma anche senza
Nel 2020 l’Inail ha ricevuto 1.538 denunce per morti conseguenti a infortunio, quasi un terzo causate dal coronavirus. Nel 2019 i decessi erano stati 1.156, in calo rispetto al 2018
Le “morti bianche” non sono soltanto frutto di incidenti, ma anche di malattie professionali, come i tumori che emergono dopo anni di lavoro a contatto con sostanze chimiche cancerogene. "In Italia si continua a morire e a rimanere feriti sul lavoro – ha detto il 3 giugno, durante un incontro pubblico, Bruno Giordano, direttore dell’Ispettorato nazionale del lavoro (Inl) –. Registriamo oltre 6-700mila incidenti all’anno che corrispondono mediamente a uno ogni minuto". Il 24 giugno 2021 Franco Bettoni, presidente dell’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (Inail), ascoltato dai senatori della Commissione d’inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, aveva spiegato che "l’aumento degli incidenti sul lavoro con esito mortale in ambito professionale, al netto dei casi legati al contagio Covid, è in aumento".
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Con i criptofonini, i clan della Locride gestivano il narcotraffico internazionale da San Luca, paese di tremila anime arroccato sull'Aspromonte jonico. Tramite il "denaro volante", sistema informale di trasferimento di valore gestito da cinesi, con contatti a Dubai, pagavano la droga ai cartelli sudamericani. Con il beneplacito dei paramilitari, tonnellate di cocaina partivano da Colombia, Brasile e Ecuador per poi raggiungere il vecchio continente grazie agli operatori portuali corrotti dei principali scali europei. L'ultimo numero de lavialibera offre la mappa aggiornata degli affari della 'ndrangheta, così per come l'hanno tracciata le ultime indagini europee, in particolare l'operazione Eureka