4 luglio 2022
La montagna non ha bisogno di noi. Può continuare a esistere adattandosi a un'esistenza senza ghiaccio. Per gli essere umani, invece, sarebbe una catastrofe. La tragedia del 3 luglio sulla Marmolada che ha travolto diverse persone è solo uno dei tanti sintomi evidenti della crisi climatica. In quei giorni, infatti, si sono registrati temperature record in vetta, che hanno accelerato l'infiltrazione di acqua e aiutato lo smottamento. Continuare a tamponare le emergenze, però, non è più sufficiente. Servono strategie coraggiose ed educazione alla sostenibilità. Ne è convinto Enrico Camanni, alpinista e scrittore, che avverte: "Abbiamo stravolto processi naturali e ora ne paghiamo le conseguenze".
I cambiamenti climatici sono variazioni di lungo periodo delle condizioni climatiche medie della Terra o di ampie zone del pianeta. Da sempre il clima subisce mutamenti, attraversando ere glaciali e periodi con temperature medie elevate. Il problema è che i cambiamenti climatici osservati a partire dall’inizio del Novecento non sono naturali, bensì causati da attività umane, in particolare dall’utilizzo dei combustibili fossili. Un’interferenza nei delicati equilibri della Natura che sta determinando siccità, scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello dei mari, aumento delle precipitazioni, perdita della biodiversità.
In che modo commenta i fatti di ieri?
Purtroppo si è staccata la cima della Marmolada, un evento che non succede con frequenza. È arrivato al collasso un'enorme quantità di ghiaccio che era instabile e sicuramente il riscaldamento ha fatto la sua parte. Bisogna controllare i cambiamenti, perché quando l'acqua inizia a filtrare dentro fa da lubrificante. Detto questo, se da un lato non si poteva prevedere, dall'altro le temperature straordinarie hanno accelerato il processo.
Qual è la reazione che avrebbe trovato più coerente, al netto del dolore per la tragedia avvenuta? Quali interventi non sono più rimandabili?
Tutti. Questi segnali non sono nuovi, sono molti anni che queste cose succedono in montagna, dalle frane alle fusioni del permafrost. Ma questi sono solo dei segnali. Ciò che non è rimandabile è quello che ci chiede di fare la comunità scientifica, ossia di ridurre in tempi rapidi l'emissione di CO2. Se anche riuscissimo a mitigare l'effetto climatico, ci vorranno dei decenni per fare un'inversione di marcia. Il cambiamento che sta avvenendo è come una macchina lanciata a 300 chilometri orari: non si può pensare di inserire la retromarcia e andare indietro. Bisogna frenare e cambiare il punto di vista sulle cose, un percorso lungo. Non è però un cambio nei confronti della natura, perché la natura è molto più forte dell'essere umano. Non possiamo consumare illimitatamente e non rendercene conto.
La natura è molto più forte di noi. Dobbiamo fare una riflessione sulla nostra sopravvivenza
È vero che la montagna è uno degli ambienti che paga di più il cambiamento climatico? In che modo?
È un luogo dove si notano i primi sintomi delle crisi, come la mancanza d'acqua e la fusione dei ghiacciai. In pianura gli effetti arrivano in un momento successivo. Ma la radice del problema è sempre la stessa.
Qual è lo stato di salute delle montagne italiane?
La montagna può ipotizzare un futuro senza ghiaccio, siamo noi a non sopravvivere. Ci mancherebbe un terzo netto della fonte idrica. Dovremmo essere terrorizzati. Cambierebbe il paesaggio, la struttura geologica. Tutto questo ci dovrebbe inquietare, ma siamo ancora distaccati. Se domenica non ci fossero stati escursionisti, probabilmente nessuno avrebbe mosso un dito.
Nel suo volume Il grande libro del ghiaccio (Laterza, 2020) dice che “ribaltare il corso delle stagioni è stato il delirio inconfessato dell’uomo moderno”. Siamo arrivati a un punto di non ritorno?
Siamo ancora in un delirio. Si pensi solo allo sci estivo. Senza neve dovremo fare a meno di quello invernale. Non è tanto un problema di ecosistemi, ma di sopravvivenza della specie umana, che è la meno adattabile in così poco tempo. Dobbiamo prevedere i fenomeni e abbiamo tutta la scienza per farlo. Ma nessuno ha mosso un dito.
Dobbiamo avere paura della crisi climatica
Una provocazione: permafrost è lo strato di ghiaccio permanente. Dovremmo cominciare a chiamarlo in un altro modo?
Tutto andrebbe cambiato, a partire dalle parole. Noi le usiamo in modo imperfetto. Pensiamo solo a quanto significato ha perso "sostenibilità". Il mondo che lasciamo ai nostri figli e nipoti sarà sicuramente peggiore.
La montagna è un ecosistema fragile. Con le città che stanno diventando bollenti, si pensa di rifugiarsi ad alta quota. Ci stiamo ricredendo?
Non possiamo pensare a un esodo verso la montagna, perché non è attrezzata ad accogliere tutte queste persone. È, anche questo, un processo lento, che non possiamo improvvisare di fronte all'emergenza.
Le finte promesse green delle Olimpiadi di Cortina
Meglio non sottovalutare la montagna. Ci sono troppi escursionisti improvvisati?
Sono zone molto frequentate. Non è vero, però, che le persone vanno in quota senza cognizione di causa. Nella massa, si individuano dei comportamenti non corretti. Ci sarebbe bisogno di educazione. Non si difende una cosa che non si conosce.
Ci sarebbe bisogno di educazione. Non si difende una cosa che non si conosce
Lo sport in montagna è diventato un’industria e la neve, se non c’è, si fabbrica. Abbiamo perso il contatto con la natura?
Abbiamo stravolto un sacco di processi e questo ci allontana. La neve che scende dal cielo è una cosa, quella che si spara dai cannoni è un'altra.
Arriviamo alla "questione acqua". Siccità, ghiacciai che scompaiono, alluvioni devastanti. Continueremo a tamponare situazioni emergenziali o si sta pensando a un cambio di rotta?
Chi lo sa. L'Unione europea ha posto delle linee molto precise per i prossimi anni, con limitazioni e nuovi vincoli. Poi, però, tutti chiedono deroghe. Queste strategie dovrebbe essere prese in seria considerazione, visto che si basano su calcoli scientifici. La politica ha delle responsabilità enormi, perché deve fare scelte coraggiose.
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