Villaggio Santa Maria Goretti, periferia sud di Catania, a ridosso dell'aeroporto internazionale Fontanarossa. Parte del canale del torrente Forcile ostruito da vegetazione e rifiuti (Foto Dario Lo Presti)
Villaggio Santa Maria Goretti, periferia sud di Catania, a ridosso dell'aeroporto internazionale Fontanarossa. Parte del canale del torrente Forcile ostruito da vegetazione e rifiuti (Foto Dario Lo Presti)

Quando Catania si allaga, la crisi climatica è un alibi

Per molti abitanti di Catania, il cambiamento climatico è diventato una scusa per coprire oltre cinquant'anni di malapolitica e progetti infrastrutturali profumatamente finanziati e mai terminati

Graziana Solano

Graziana SolanoGiornalista freelance

7 aprile 2022

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“Vivo qui da più di sessant’anni e non è mai cambiato niente. Ogni autunno si allaga tutto, si allagano le case. Il clima? Qui il problema è la politica!”, dice Rosa, che dal 1957 vive nel Villaggio Santa Maria Goretti, nella periferia sud di Catania, in prossimità dell’aeroporto internazionale Fontanarossa. Sono passati più di cinque mesi da quando un ciclone mediterraneo ha colpito Catania con violente alluvioni e inondazioni. Con i suoi 265 millimetri di pioggia in 48 ore, il nubifragio di ottobre, seppur un evento fuori dall’ordinario, per molti non può essere considerato l’unico fattore cui attribuire il disastro umano, strutturale ed economico della città. Non sono infatti in pochi nell’isola a sostenere come urlare al cambiamento climatico  sia diventato il nuovo capro espiatorio di oltre cinquant’anni di malapolitica e progetti infrastrutturali profumatamente finanziati e mai portati a termine.

Le esondazioni di fine ottobre e le piogge intorno l'Etna

“Si tratta sicuramente di segnali che ci fanno presagire come l’aumento di piogge intense sarà sempre più frequente. Attenti quindi a non nascondersi dietro all’emergenza clima tutte le volte che Catania si allaga”Luigi Pasotti - Dirigente regionale Unità operativa ecologica

È domenica 24 ottobre quando la Protezione civile diffonde l’allerta rossa su Catania e Messina. Martedì 26, Catania è già un fiume in piena o, meglio, una vasca a cui si lascia il tappo con il rubinetto aperto. A Santa Maria Goretti, già nel pomeriggio del giorno prima l’acqua arriva ai finestrini delle auto parcheggiate, entra nelle abitazioni. I residenti sono bloccati in casa, sollevano mobili, elettrodomestici. Cercano di salvare il salvabile. Giovedì 28 ottobre, tutte le attività non necessarie sono costrette a chiudere. Il sindaco di Fratelli d’Italia, Salvo Pogliese, ha firmato un’ordinanza urgente, dichiarando: “In 49 anni di vita in questa città non avevo mai vissuto questo fenomeno”. Gli fa eco il presidente della Regione Sicilia, Nello Musumeci che, chiedendo aiuto all’Europa, parla di effetti da cambiamento climatico. A tal proposito, Luigi Pasotti, dirigente regionale dell’Unità operativa climatologica dell’Osservatorio Acque, ci spiega non solo come quella di ottobre non fosse la prima volta, ricordando i 212 mm di pioggia caduti in 24 ore nel 2015, ma aggiunge anche: “Per quanto si tratti di eventi non ordinari, metterli in diretta correlazione con il cambiamento climatico non è del tutto corretto da un punto di vista scientifico. Si tratta sicuramente di segnali che ci fanno presagire come l’aumento di piogge intense sarà sempre più frequente. Attenti quindi a non nascondersi dietro all’emergenza clima tutte le volte che Catania si allaga”.

La tragedia del 15 luglio 2020 a Palermo ci insegna che sono le città i luoghi più a rischio

In effetti, Pogliese aveva rilasciato una dichiarazione simile a quella dello scorso autunno, anche il 4 ottobre, ma del 2018, quando, appena salito in carica, aveva firmato un’altra ordinanza di chiusura, descrivendo i 50 millimetri di pioggia caduti in meno di un’ora come un evento eccezionale non prevedibile “che ha allagato centro e periferie”. Proprio in quell’occasione, era stato lo stesso Pasotti a smentirlo, precisando come quegli eventi non fossero né straordinari né imprevedibili in quel caso. “Sono piogge che, seppur di forte intensità, fanno parte del clima a ridosso dell’Etna”. Aveva quindi ricordato tra i nubifragi simili più recenti, quello del 2013 in cui era stato superato il limite di 60 millimetri, quello del 2007, nonché la violenta perturbazione del 2003 con i suoi 50 millimetri in un’ora.

Christian Mulder, che al Dipartimento di Scienze geologiche, biologiche e ambientali di Catania tiene il corso Cambiamenti climatici e Rischio desertificazione, precisa: “Il clima di questo territorio si conosce bene. Persino i colonizzatori arabi parlavano di un clima etneo dai potenziali effetti disastrosi”, ricorda. “La soluzione è sapersi adeguare e gestire bene i soldi ricevuti completando i progetti iniziati, in modo da prevenire o attutire l’impatto delle precipitazioni. Quindi basta dire “non siamo noi, è il clima”. Il clima al massimo è un’aggiunta a problemi mai risolti”.

L'Italia del dissesto idrogeologico

Un'emergenza politica nelle periferie

Le nostre amministrazioni non si sono mai prese nessuna responsabilità sul fronte allagamenti, soprattutto sul progetto del Canale di Gronda”Orazio Vasta - Responsabile Asia-Usb Catania

È gennaio 2022. A distanza di tre mesi, Catania continua a portare gli effetti dell’alluvione e per di più con un sindaco appena sospeso per la seconda volta. Più ci si avvicina alle periferie, più i danni sono incalcolabili. Orazio Vasta, responsabile provinciale Asia Usb (Associazione inquilini e abitanti che si batte per il diritto alla casa, ndr) di Catania, ha le idee molto chiare al riguardo: “L’emergenza è politica. Soprattutto in periferia, la gente è nauseata dalla politica locale. Le nostre amministrazioni non si sono mai prese nessuna responsabilità sul fronte allagamenti, soprattutto sul progetto del Canale di Gronda”, commenta. “Chiudere tutto non è la soluzione”.

Secondo il climatologo Pasotti, i problemi mai risolti nascono a monte, ovvero nelle aree a ridosso di Catania dove “le acque non vengono captate e smaltite, e si riversano sulla città”. Ideato nel 1985 per intercettare l’acqua piovana dai paesi pedemontani e scaricarla in mare, il primo canale di gronda non è mai stato completato, infatti. Non solo. Nel 2015, con un finanziamento di 48 milioni di euro, l’allora sindaco, Enzo Bianco, aveva approvato il progetto di un secondo canale, noto come collettore B, il cui completamento era previsto entro i due anni. “Siamo nel 2022 e il collettore B non ha mai raggiunto il mare”, aggiunge Vasta. Con Pogliese, nel 2020, sono poi arrivati altri 393 milioni di euro per un depuratore e una rete fognaria “degna di una città civile”. “Qua tutti chiedono soldi, arrivano, e poi, dove finiscono?”, commenta il sindacalista.

Anche i tombini soffrono di scarsa manutenzione. “La scorsa estate, l’Etna ha avuto un’attività intensissima. Quando a ottobre è arrivato il nubifragio, i pochissimi tombini presenti in città erano tutti otturati dalla cenere vulcanica. L’acqua non aveva alcun modo di defluire. Ma succede sempre, anche con le cosiddette “bombe d’acqua” tipiche del territorio. Prevenzione e manutenzione sono fondamentali”, spiega il professor Mulder.

Quanta acqua ci resta?

Villaggio Santa Maria Goretti, quartiere per gli alluvionati, è stato dimenticato

Eppure, malgrado promesse e soluzioni, nulla cambia. In un quartiere come Santa Maria Goretti, il problema degli allagamenti è triplicato e diventa abitativo quasi ogni anno. Quando il villaggio viene costruito nel 1952, viene fatto con il preciso scopo di accogliere gli alluvionati dell’anno prima. Paradossale, se si pensa che si trova sotto il livello della strada e a ridosso di un torrente. Qui c’è chi, come Rosa, deve cambiare periodicamente i mobili. Superando il cancello, accanto alla porta d’ingresso, lei e il marito tengono appoggiata al muro la barriera di ferro che durante temporali o alluvioni montano all’entrata come argine all’acqua piovana. A Santa Maria Goretti, tutti ne hanno una. Ma non basta. La figlia vuole che si trasferisca da lei. “Non voglio, perché non è giusto. Io non voglio lasciare casa mia”, dice in lacrime. Lungo le pareti delle stanze, si possono ancora vedere evidenti i segni dell’acqua piovana entrata come un fiume. “Qui a salute siamo tutti messi malissimo”, aggiunge. Persino davanti a temporali di solo un paio d’ore anche uscire per fare la spesa diventa impossibile. Spesso deve chiedere a suo figlio di portargliela.

“Da anni, le acque delle zone circostanti che confluiscono nel canale del torrente, vanno a riversarsi verso il villaggio, perché l’argine che avrebbe dovuto evitarlo, è stato eliminato”, spiega un residente locale. “Ma soprattutto, il canale non viene mai pulito, si occlude e il torrente esonda continuamente”. A guardarlo, vegetazione e rifiuti lo sommergono. Anche Pietro, titolare dell’unica farmacia dell’area, è pieno di amarezza: “Negli anni passati, l’acqua è entrata fin dentro il mio magazzino. Alla riparazione dei danni ci ho dovuto pensare da solo. La gente ha anche paura di andare a dormire, non sa se si sveglierà con l’acqua ai piedi del letto”.

“Il canale del torrente deve essere pulito regolarmente. A Catania non esiste neanche la manutenzione di base”, commenta il dirigente Usb. “La verità è che non ci fidiamo più di nessuno, specialmente dei politici. Quante promesse hanno fatto? Quante ne hanno mantenute?”, dice Rosa. “Da quando hanno capito che non li votiamo più, non vengono neanche in campagna elettorale. Siamo completamente abbandonati. Ma la speranza che qualcosa migliori resta sempre”.

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