Foto di Lennart Heim/Unsplash
Foto di Lennart Heim/Unsplash

Contro il realismo, il fantastico italiano per la spiaggia

La letteratura fantastica italiana ha una lunga tradizione e conta numerosi e celebri esponenti, ma premi e media mainstream continuano a valorizzare le opere realiste in cui è semplice identificarsi. E che si vendono di più

Livio Santoro

Livio Santoroscrittore

5 agosto 2022

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La letteratura italiana è fortemente legata al fantastico, sebbene negli ultimi anni i più prestigiosi premi nazionali e i salotti televisivi suggeriscano il contrario. Senza risalire ad Ariosto e Basile, si prendano alcuni degli “specialisti” che, dopo la parentesi manzoniana ottocentesca ostile al “guazzabuglio di streghe [e] di spettri”, hanno dato lustro al genere nel Novecento: Calvino, Manganelli, Buzzati, Morselli, Landolfi e così a seguire. Per non parlare degli autori di norma votati al realismo che pure hanno scritto memorabile narrativa fantastica, su tutti Primo Levi.

Perché, allora, i premi e i media mainstream oggi ignorano il genere, valorizzando invece opere e autori tenacemente realisti? In parte perché – come ci ricorda Carlo Mazza Galanti – l’ombra di Manzoni incombe ancora. Tuttavia, secondo quanto pure emerge in ambienti letterari perlopiù “indipendenti”, bisogna forse cercare le cause anche in questioni commerciali: i più prestigiosi premi e i salotti tv (che drammaticamente coincidono nella finale dello Strega trasmessa su emittenti di Stato) sarebbero uno strumento dei grandi gruppi editoriali per promuovere opere da vendere in quantità. 

Siamo sul piano del marketing, dunque, più che sul piano letterario. D’altronde quello del libro, in Italia, è un mercato ristretto, e la lettura è una pratica lontana dalle abitudini della popolazione: come dimostrano dati Eurostat di lungo periodo di una survey prepandemica, gli italiani tra 20 e 74 anni occupano in media solo cinque minuti al giorno nella lettura di libri, penultimi in Europa.

In tale contesto, la strategia commerciale è allora blandire gli svogliati e sparuti lettori, smerciando narrativa in cui ci si possa identificare senza complicazioni, con versioni più o meno consolatorie di una realtà riconoscibile: da qui il successo del romanzo di formazione borghese e dell’autofiction; ma anche del giallo, del poliziesco e del romanzo storico, generi che ben si adattano alle trasposizioni seriali sul piccolo schermo.

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Il fantastico italiano vive ancora

Ma il fantastico resta un genere vitale, e la sua tradizione prosegue vigorosa. Lo testimonia il dibattito che anima le pagine di varie riviste (tra cui Not e L’indiscreto) per mettere ordine nel canone del fantastico italiano, anche attraverso la discussione della faceta definizione Novo sconcertante italico, che fa il verso al più serio New Italian Weird, ampia etichetta al vaglio della critica in cui convergono le recenti coniugazioni nostrane del genere: gotico, fantascienza, meraviglioso, strano, etc.

Senza entrare nel merito di tali definizioni, ma con la consapevolezza che il fantastico è tuttora un motore della nostra letteratura, vogliamo allora segnalare cinque opere diversamente ascrivibili al genere pubblicate negli ultimi dodici mesi a firma di autrici e autori italiani. Un consiglio estivo di letture fantastiche da portarsi sotto l’ombrellone? Sì, se si vuole. Non una classifica, però, né un rimando ai “migliori cinque”. Piuttosto un’indicazione volatile su cosa bolle in pentola, per evadere dalla realtà o, meglio, per riflettere sulla stessa sotto diversa luce.

Michele Mari, Le maestose rovine di Sferopoli

Oggi il fantastico italiano non può prescindere da Michele Mari (1955), forse il più importante autore vivente ad aver frequentato con assiduità il genere dagli esordi, prediligendone gli accenti gotici. Autore di romanzi, saggi, poesie e racconti, Mari ha raccolto l’eredità di Manganelli e Landolfi, cui dichiaratamente si ispira. Tra le sue opere, ricordiamo per esempio il sensazionale Io venía pien d’angoscia a rimirarti (1990), libro scritto in italiano ottocentesco in cui sono narrate le vicende di un giovane Giacomo Leopardi tanto attratto dalla luna da sembrare licantropo.
Di recente, Mari ha pubblicato con Einaudi una raccolta disomogenea di racconti intitolata Le maestose rovine di Sferopoli. Qui, con la sua lingua letteraria e “passatista”, propone molti dei temi a lui più cari: fantasmi e dialoghi con l’oltretomba, infanzie sanguinose, classici riletti in chiave umoristica. È soprattutto nel racconto di apertura, Strada Provinciale 921, che si troverà soddisfazione: la divertente e sgomentevole descrizione di un itinerario turistico che fa il verso a quelli del Touring Club, in cui dopo labirinti stradali e bizzarri elenchi di prodotti tipici e attrazioni, i viaggiatori trovano la morte o vengono tradotti come pupazzi in un plastico museale per turisti.

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Beatrice La Tella, Niente di umano

Di taglio decisamente meno ambizioso e più contemporaneo è Niente di umano, esordio di Beatrice La Tella (1990), agile nouvelle illustrata da Brigitta Bonaldo edita da Mosca Bianca. Attraverso accorgimenti tipografici che riportano tra le pagine appunti manoscritti, glosse a bordo testo, sottolineature, scansioni di documenti di vario genere, il libro mette in scena una delle più comuni inquietudini con cui la letteratura fantastica si è nel tempo confrontata: i mondi ignoti che si aprono sul nostro per invaderlo. Tema che nel caso sembra avere un preciso scopo speculativo: riflettere sulle modalità di reazione, individuale e sociale, a un trauma collettivo. Argomento centrale è l’apertura di una soglia che porta strani esseri a popolare il mondo, esseri di varia dimensione che combinano fattezze ferine e che, pur visibili, non sembrano interessati a interagire con gli umani. Ne vengono fuori teorie e interpretazioni scientifiche o pseudo tali, nuove chiese, afflati di misticismo e altri tentativi di dare un senso all’ignoto.

Carlo Sperduti, Le regole di questi mondi

Dal tema della soglia, coniugato però in tutt’altra maniera, prende le mosse anche Le regole di questi mondi di Carlo Sperduti (1984), pubblicato dalle edizioni perugine pièdimosca. Un’interessante e originale raccolta di racconti più o meno brevi (da una a trenta pagine) in cui l’autore, con una prosa articolata ma non respingente, con il ricorso a giochi di parole mai fine a sé stessi e con un piglio decisamente malinconico, per non dire rassegnato, ragiona dei passaggi che perturbano il mondo condiviso delle relazioni mettendolo in comunicazione con altri mondi: il sogno, per esempio, o l’immaginazione, ma anche gli ambienti solipsistici – di un individualismo esasperato – in cui vigono gli eccessi dell’introspezione. Vivendo a cavallo di questi passaggi, nella tensione spaziale tra il “dentro” e il “fuori” e in quella di continue dislocazioni temporali, i racconti di Sperduti ci invitano a cambiare prospettiva da cui guardare le cose, dando così seguito a uno dei più caratteristici intenti della letteratura fantastica.

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Alberto Ravasio, La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera

Rovesciamento di sguardo: proprio ciò che avviene anche ne La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera di Alberto Ravasio (1990), pubblicato per Quodlibet. Come Gregor Samsa – il protagonista de La metamorfosi di Kafka che un giorno si sveglia mutato in scarafaggio – così Guglielmo Sputacchiera, che d’improvviso si sveglia in altra forma nella sua cameretta: tuttavia non insetto, ma donna; improvvisamente “transessualizzato”. Da quel momento la sua vita di giovane adulto senza prospettive, inveterato fruitore di porno digitale, senza occupazione né intenzione di trovarne una, muta anch’essa d’un tratto, precipitando in un gorgo di eventi grotteschi che culminerà con il riconoscimento e la liberazione. Scritto con una riuscita lingua aulica e giocosa, che sa divertire attenuando il peso dei temi in sottotesto, La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera è un romanzo generazionale che si affida al fantastico per risolvere l’impasse in cui molti trentenni di oggi si trovano imbrigliati.

Paola Masino, Racconto grosso e altri racconti

Chiudiamo questa breve rassegna con una “riscoperta”, ovvero la raccolta Racconto grosso e altri racconti di Paola Masino (1908-1989) pubblicata da Rina, casa editrice romana che ha uno scopo su tutti: ridare voce alle valorose autrici italiane (e non solo) che nel secolo scorso sono state relegate in letteratura a un ruolo ancillare. Nel suo Racconto grosso e altri racconti, Masino dà sfoggio di una prosa del tutto peculiare e assai evocativa che scaturisce da un dirompente pessimismo e mette in scena in chiave onirica fenomeni catastrofici di varia natura, come i terremoti, gli sconvolgimenti cosmici, la famiglia patriarcale e la maternità costrittiva. Scritti tra il 1935 e 1941, straordinariamente avanguardistici per il loro tempo, i racconti di Masino parlano della solitudine della donna, generatrice di vita e dunque di morte, utilizzando il dispositivo fantastico per mettere in questione temi altrimenti indicibili in pieno fascismo, e in parte ancora oggi.

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