23 settembre 2022
Se, il 25 settembre alle elezioni politiche, lavoratori e studenti fuori sede non possono votare dove abitano, è anche colpa dei freni posti dal ministero dell’Interno i cui funzionari per anni hanno sollevato molti dubbi su come fare per votare a distanza. Freni posti in uno spirito di “leale collaborazione” tra organi di governo e parlamento, per usare un’espressione detta in un’audizione davanti alla commissione Affari costituzionali della Camera dal sottosegretario all’Interno Ivan Scalfarotto. L’obiettivo dei funzionario ministeriali è tutelare libertà, segretezza, personalità e uguaglianza del voto sanciti dall’articolo 48 della Costituzione. Ed è anche vero, come spiega a lavialibera Stefano La Barbera, fondatore della campagna “Io voto fuori sede”, che alcune proposte parlamentari non tenevano conto dei meccanismi elettorali e dei rischi di inquinamento, controllo o voto di scambio. Però è altrettanto vero che, dopo tre legislature, le proposte vagliate dal parlamento hanno sempre trovato le resistenze del Viminale. Così una soluzione non è stata ancora adottata e, a differenza degli altri Stati europei, l’Italia è con Malta e Cipro uno degli Stati che non permette ai fuori sede di votare a distanza. L'unico strumento utile restano gli sconti e le riduzioni sui viaggi.
Da tre legislature i fuori sede aspettano una legge
“Nel nostro ordinamento elettorale vige il principio della territorialità della scheda e cioè in ogni comune sono presenti e vengono votate solo le schede del luogo”Direzione centrale dei servizi elettorali - Appunto del 4 ottobre 2017 alla commissione Affari costituzionali della Camera
Una delle idee emerse in passato era legata al voto anticipato nelle prefetture, come proposto in un emendamento alla proposta di riforma della legge elettorale. I promotori volevano permettere ai fuori sede di esprimere la propria scelta in un posto sicuro. Eppure il 4 ottobre 2017 la Direzione centrale dei servizi elettorali ha informato i parlamentari che non si poteva fare: “Nel nostro ordinamento elettorale vige il principio della territorialità della scheda e cioè in ogni comune sono presenti e vengono votate solo le schede del luogo”, spiegava in un appunto la direzione, aggiungendo che dietro questo sistema c’erano “evidenti motivi di snellimento delle operazioni” e anche “esigenze di controllo della regolarità del procedimento, evitando la distribuzione dei vari tipi di schede in tutto il territorio nazionale”.
Per assurdo, tutti gli uffici elettorali dovrebbero essere “dotati di tutti i 341 tipi di schede”, quelle dei collegi uninominali di Camera e Senato, “e i rischi di errori e di confusione organizzativa sarebbero elevatissimi”, senza considerare le “difficoltà organizzative”, lo smistamento della corrispondenza, i “rischi di brogli e manomissioni, con prevedibile aumento del contenzioso elettorale”.
Impossibile inoltre, sempre secondo gli uffici del Viminale, coinvolgere il personale delle prefetture. Infine un dettaglio: le schede votate dai fuori sede nei giorni prima dell’appuntamento elettorale, inviate poi nei loro seggi e infilate nelle urne, apparirebbero “inevitabilmente meno ‘nuove’ di quelle in uso al seggio” e di conseguenza “risulterebbero del tutto riconoscibili rispetto alle altre, con grave violazione del principio di segretezza del voto”.
Le resistenze degli uffici del ministero dell’Interno non sono mancate neanche nel corso della legislatura successiva. Nel maggio 2021 la discussione sulle proposte parlamenti entra nel vivo nella commissione Affari costituzionali della Camera, con un occhio alle amministrative e regionali dell’autunno 2021. In particolare, il presidente della commissione, Giuseppe Brescia (M5s), supporta la proposta di legge promossa dagli studenti e dai ricercatori calabresi del collettivo Peppe Valarioti e scritta dai costituzionalisti Salvatore Curreri e Roberto Bin. Durante un incontro del 18 maggio con il sottosegretario Scalfarotto e alcuni funzionari, non emergono “elementi risolutivi” e così il presidente Brescia chiedeva alla ministra Luciana Lamorgese “di disporre che il suo dicastero fornisca tutti gli elementi circa le soluzioni ritenute possibili sul piano tecnico, in relazione alle diverse elezioni, per consentire il voto dei cittadini cosiddetti ‘fuori sede’”, altrimenti si sarebbe sacrificato “l’esercizio del diritto di voto, costituzionalmente garantito, sull’altare di questioni tecniche”.
I fuori sede calabresi: "Fateci votare via posta"
"Siamo sconcertati e preoccupati per la posizione espressa dal ministero dell’Interno. Quel che suona incomprensibile è come gli ‘ostacoli insormontabili’ siano stati da tempo superati nella maggior parte degli altri Paesi europei"campagna “Io voto fuori sede”
La soluzione, però, non emerge neanche da quel nuovo incontro, una riunione informale, coi funzionari ministeriali accompagnati da Scalfarotto: secondo loro ci sono dei problemi tecnici “insormontabili” e la legge avrebbe rischiato “di mandare a monte le elezioni”, dice il sottosegretario. Riccardo Magi (+Europa) insiste sulla necessità di spingere sul voto elettronico, magari non da casa ma dalle prefetture stesse. Lo “spirito innovativo” che ha contraddistinto il lavoro dei deputati nella commissione “al momento non è registrabile nelle interlocuzioni col governo”, accusa Brescia.
Stando al resoconto reso dal presidente della commissione, “il Viminale appare contrario a far ‘viaggiare’ le schede elettorali, dal comune di residenza a quello di temporaneo domicilio e viceversa”. I dubbi riguardano le elezioni regionali per i meccanismi di voto e anche le elezioni amministrative per “l’alto numero di comuni coinvolti”, i ritardi e i contenziosi. Per europee e referendum, c’era un testo approvato dalla Camera l’11 ottobre 2018 e poi arenato alla prima commissione del Senato. Sulle elezioni politiche, invece, il ministero dell’Interno apre uno spiraglio, ipotizzando il voto dei fuori sede per i candidati dei collegi in cui si trovano e non per quelli del comune in cui risiedono. Questa soluzione – sottolinea Brescia – non soddisfa “le legittime aspettative di quanti vogliono mantenere un legame con la vita democratica del luogo di residenza” e potrebbe anche “alterare la rappresentatività dei collegi, portando, ad esempio, nei collegi in cui ricadono le grandi città, un numero maggiore di elettori a votare e viceversa".
Di fronte alle resistenze del Viminale, l’iter si blocca. “Siamo sconcertati e preoccupati per la posizione espressa dal ministero dell’Interno – affermavano i sostenitori della campagna “Io voto fuori sede” –. Quel che suona incomprensibile è come gli ‘ostacoli insormontabili’ siano stati da tempo superati nella maggior parte degli altri Paesi europei, nei quali i cittadini fuori sede possono votare per posta, in un seggio presso il proprio domicilio. Le proposte di legge in discussione presso la commissione Affari costituzionali già contenevano diverse soluzioni, anche di immediata applicazione, alcune delle quali sono presenti nel nostro ordinamento: ad oggi se un cittadino di Palermo studia a Parigi, può votare per corrispondenza; mentre, se studia a Milano, non ha lo stesso diritto”.
Si torna a parlare di voto ai fuori sede nel marzo 2022, in vista delle elezioni politiche 2022. Il 16 marzo l’esame della proposta riparte. La capogruppo di M5s, Vittoria Baldino, è ottimista: l'obiettivo del suo gruppo è di approvare la legge “entro la fine della legislatura” per essere pronti alla tornata elettorale successiva, prevista inizialmente nel 2023. D’altronde, ricordava il deputato Pd e costituzionalista Stefano Ceccanti, davanti alle osservazioni sulle difficoltà tecniche ricordate da Scalfarotto, la decisione ultima spetta alla politica. A dare ossigeno all’opera dei parlamentari è il lavoro voluto dal ministro dei Rapporti col parlamento, Federico D’Incà (M5s), con la commissione che predispone il Libro bianco sull’astensionismo (leggi qui). A questo studio, oltre a esperti e rappresentanti dell’Istat, partecipano anche funzionari del Viminale e in questo modo emergono proposte che tengono conto dei rilievi ministeriali.
Gli esperti valutano alcuni strumenti e arrivano a un suggerimento. Bocciano il voto per delega (previsto in alcuni Paesi come la Francia e il Belgio) perché in contrasto coi principi costituzionali. Discorso simile per il voto per corrispondenza che pone “una complessa questione di bilanciamento tra i principi costituzionali” e presenta “rischi di fenomeni di ‘inquinamento’ del voto sul territorio nazionale”. Un problema di sicurezza e affidabilità frena anche il voto elettronico.
Per minimizzare i rischi la commissione suggerisce il voto anticipato presidiato in uffici postali, comunali o circoscrizionali, avvalendosi di un certificato elettorale digitale (election pass) “che consentirebbe una immediata registrazione del voto, ovunque esso sia espresso, precludendo la possibilità di un doppio voto” e l’utilizzo di un app per identificare il seggio elettorale di residenza dell’interessato e la scheda della tornata elettorale.
Sembra di essere finalmente giunti a un bilanciamento tra la tutela del diritto al voto e la difesa di quelle garanzie evidenziate dal Viminale. Il 25 luglio il suggerimento doveva trasformarsi in una proposta concreta, ma cade il governo Draghi e vengono sciolte le camere. Tutto da rifare.
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