Aggiornato il giorno 16 settembre 2022
Ora che i loro voti fanno gola, i candidati alle elezioni politiche del 25 settembre chiedono che anche studenti e lavoratori fuori sede possano andare alle urne. Eppure da anni gli appelli delle organizzazioni, come il comitato Io voto fuori sede, restano senza risposte. Così il prossimo 25 settembre quasi 4,9 milioni di persone avranno grandi difficoltà a recarsi alle urne e moltissimi di loro confluiranno nella massa indistinta dell’astensionismo involontario. “Adesso usano il tema per fare campagna elettorale, quando avrebbero potuto approvare prima una legge”, dice Giorgia Sorrentino, rappresentante del collettivo Peppe Valarioti che il 14 dicembre 2020, in vista delle amministrative del 2021, ha lanciato la campagna “Voto sano da lontano”, a cui hanno aderito molte realtà giovanili tra cui Io voto fuori sede, comitato fondato nel 2008 da alcuni studenti del Politecnico di Torino tra i quali c’era anche Stefano La Barbera: “Con alcuni amici, stanchi di non poter recarsi al seggio per l’ennesima volta, abbiamo voluto sollevare la questione – ricorda –. Ci eravamo confidati con alcuni studenti Erasmus e noi italiani eravamo gli unici, insieme a Cipro e Malta, a non poter votare a distanza”.
Voto ai fuori sede, i dubbi del ministero dell'Interno hanno frenato le propsote di legge
Potrebbe valere quasi un decimo dell’intero corpo elettorale l’insieme dei lavoratori e degli studenti fuori sede, una fetta importante in un contesto in cui l’astensionismo aumenta. Se a giugno alle urne per i referendum gli elettori aventi diritto erano poco meno di 51 milioni, gli elettori “fuori sede” sono stimati intorno ai 4,9 milioni. Il dato emerge dal recente Libro bianco dell’astensionismo, voluto dal ministro dei Rapporti col parlamento Federico D’Incà. Di questi, 1,9 milioni impiegherebbero oltre quattro ore di viaggio (tra andata e ritorno) per andare a votare. All’interno di questo numero:
728mila devono affrontare uno spostamento complessivo (A/R) tra 4 e 8 ore;
452mila tra 8 e 12 ore;
681mila superiore alle 12 ore di viaggio.
Più della metà arriva dal Mezzogiorno. “L’incidenza sul corpo elettorale di chi deve rientrare ‘da fuori’ è pari in media al 6 per cento nelle Isole e al 5,8 per cento nel Sud (con punte superiori all’8 per cento nelle province di Matera, Taranto e Sassari)”, si legge nella ricerca. L’incidenza dei fuori sede tra gli elettori del Centro e del Nord scende molto. “Vengono danneggiate fasce sociali che vedono i propri diritti in pericolo, come i giovani e soprattutto i giovani del Sud”, sottolinea Federico Anghelé di The Good Lobby, organizzazione che da più di due anni affianca Io voto da fuori sede, con cui hanno lanciato una petizione online. “Con le loro scelte, i fuori sede potrebbero scalfire certi meccanismi politici clientelari presenti al Sud e cambierebbe la rappresentanza”, aggiunge La Barbera.
Lo studio commissionato dal ministero si spinge anche in un’analisi basata sui dati delle elezioni politiche del 2018: se il 27 per cento degli elettori aventi diritto si era astenuto, quelli che non avevano votato per “non affrontare onerosi trasferimenti” valeva “in media per oltre quattro punti percentuali” ed era “potenzialmente recuperabile”. Ma come possono votare i fuori sede?
I fuori sede calabresi: "Fateci votare via posta"
“Rimborsare il 100 per cento dei viaggi è il minimo che si possa fare, in attesa di una legge che permetta il voto a distanza”Stefano La Barbera - Presidente di Io voto fuori sede
Il 2 settembre 2022 il comitato Io voto fuori sede e the Good Lobby hanno chiesto al governo un decreto urgente per rimborsare interamente il costo dei viaggi di chi dovrà affrontare lunghi percorsi. “È il minimo che si possa fare, in attesa di una legge che permetta il voto a distanza”, ha dichiarato La Barbera. Questa proposta trova l’accordo anche di politici molto distanti tra di loro, come Nicola Fratoianni di Alleanza Verdi Sinistra e Carlo Calenda del Terzo Polo: “Chiediamo al governo di deliberare al più presto il rimborso del 100 per cento dei costi di trasporto”, ha detto il primo sottolineando che si tratterebbe di una misura “da pochi milioni di euro”. “Ne basterebbero 17”, stima il secondo.
Il Ministero dell’Interno da alcuni anni stipula convenzioni con compagnie di trasporti per erogare rimborsi parziali dei viaggi. “Negli ultimi 15 anni l’Italia ha speso più di 60 milioni di euro in agevolazioni di viaggio parziali”, informava in una nota Giuseppe Brescia (M5s), presidente della commissione Affari costituzionali alla Camera. I rimborsi stanziati in occasione delle politiche del 2018 valevano 7,7 milioni di euro per circa 332mila viaggi, hanno calcolato gli uffici. È una cifra bassa per le casse statali: in sostanza, per ogni viaggio vengono rimborsati circa 20 euro. “Non sono efficaci”, sentenzia La Barbera.
Chi viaggia in treno per andare al seggio ha diritto a uno “sconto” del 60 per cento sulle tariffe regionali e al 70 per cento sul prezzo base dei treni del servizio nazionale (Alta velocità, Intercity...). Per chi sceglie l’aereo, la riduzione prevista con Alitalia è del 50 per cento del prezzo del biglietto aereo a tariffa intera (escluse le tasse), ma nel limite di 40 euro. Così molti optano per compagnie low cost anche in assenza di rimborsi. “Non sono assolutamente sufficienti per incentivare i cittadini e le cittadine a recarsi alle urne”, incalza The Good Lobby citando alcuni casi. Ad esempio, per andare da Torino a Catania, con Ita Airways, la compagnia di bandiera, ci vogliono almeno 146 euro, che vengono rimborsati al 50 per cento. Se si viaggia con Trenitalia si pagano 210 euro per affrontare 15 ore di viaggio a tratta (ma producendo un terzo delle emissioni di CO2!) e si può avere diritto a un rimborso del 70 per cento. Ma quanti italiani voterebbero se dovessero pagare qualche decina di euro?
“Stiamo chiedendo di posticipare l’avvio delle lezioni oppure di mantenere la didattica mista e le registrazioni delle lezioni per permettere ai fuori sede di tornare nei loro paesi di residenza per votare"Camilla Piredda - Esecutivo dell'Udu
I rimborsi non bastano. Serve anche il tempo e per questo alcune organizzazioni studentesche (anche loro aderenti alla campagna “Voto sano da lontano”) hanno cercato ulteriori soluzioni. “Stiamo chiedendo di posticipare l’avvio delle lezioni oppure di mantenere la didattica mista e le registrazioni delle lezioni per permettere ai fuori sede di tornare nei loro paesi di residenza per le elezioni – spiega Camilla Piredda, dell’esecutivo nazionale dell’Unione degli universitari –. Gli atenei però sembrano non avere questa volontà. Forse potremmo ottenere la sospensione della didattica per il 26 settembre, ma cambierebbe poco. Il prezzo dei viaggi sta salendo e non sarà facile trovare biglietti a costi convenienti”. Il coordinamento universitario Link ha inviato una lettera al Consiglio universitario nazionale (Cun, organo consultivo e propositivo del ministro dell'Università e della Ricerca) chiedendo la “sospensione delle attività didattiche per i giorni 26,27 e 28 settembre, successivi al momento elettorale, per consentire il ritorno nella sede di studio a studenti e lavoratori della conoscenza fuori sede”.
Il Consiglio nazionale degli studenti universitari sembra non poter intervenire: rinnovato a maggio, non ha ancora potuto formare l’ufficio di presidenza. La decisione spetta ai singoli atenei e dalla Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui) non è giunta nessuna indicazione a riguardo perché non si sono ancora riuniti dopo la pausa estiva. Quindi, chi si muove lo fa in piena autonomia: l'Università di Trento, ad esempio, ha stabilito che lunedì 26 settembre non ci saranno lezioni per andare incontro a quanti torneranno a casa nel weekend per votare. "La sospensione dell'attività didattica per una intera giornata comporta senz'altro qualche difficoltà di ordine logistico e organizzativo perché i calendari sono stati stabiliti da tempo e la disponibilità di spazi non sempre permette ai dipartimenti di riorganizzare agevolmente le lezioni. Ma in questo momento occorre dare un segnale. Andare a votare e partecipare all'espressione della volontà popolare è importante", ha dichiarato il rettore Flavio Deflorian. Inoltre l'iniziativa verrà accompagnata da una specifica campagna di sensibilizzazione, chiamata #noiandiamoavotare perché "l'universita' ha tra i suoi compiti anche quello della formazione alla cittadinanza". Anche le università di Roma - La Sapienza, Milano Statale, Milano Bicocca, Firenze, Pisa, Cagliari, Genova
Gli universitari vogliono la Dad
Oggigiorno la legge prevede poche deroghe per militari, forze dell’ordine e ricoverati in ospedale. Il problema non si pone, invece, per chi abita all’estero (anche temporaneamente) o è iscritto all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) e in specifiche liste elettorali: possono votare per corrispondenza. Chi studia o lavora in province lontane da quella di residenza, invece, non può. In alcuni casi esistono degli escamotage. Ad esempio in occasione del referendum del 12 e 13 giugno 2011, quasi ottantamila cittadini fuori sede hanno potuto esprimersi facendosi designare rappresentanti di lista. Era il frutto di una campagna di Io voto fuori sede chiamata “Battiquorum”: “Questa soluzione – specifica La Barbera – è possibile soltanto per i referendum”.
Seconde generazioni senza diritti: "Faccio politica ma non posso votare"
Nella legislatura uscente erano stati presentati almeno cinque disegni di legge che volevano introdurre modalità di voto a distanza per gli studenti fuori sede alle elezioni politiche e a quelle europee. Uno, al senato, riprendeva un tentativo non andato in porto nella sedicesima legislatura da Giuseppe Lumia e Stefano Ceccanti, che voleva dare la possibilità di votare per corrispondenza alle elezioni politiche.
Alla Camera, invece, ce n’erano quattro. Il primo era stato presentato il 28 marzo 2019 da Marianna Madia e altri deputati del Partito democratico. Nel maggio 2021 la commissione ha cominciato a valutare questo testo e gli altri depositati nell’aprile 2021, presentata da deputati di centro, del centrodestra e del M5s. Questi ultimi, in particolare avevano fatto propria la proposta di legge formulata dai costituzionalisti Roberto Bin e Salvatore Curreri “su impulso di un comitato di ragazzi calabresi, il Collettivo Peppe Valarioti”.
Sempre più cittadini non votano. Alcuni ragazzi hanno proposto di introdurre il voto obbligatorio
Dopo cinque sedute e alcuni incontri informali l’esame di queste proposte si è fermato nel maggio 2022. “Questa volta, mancava poco al traguardo ma la caduta del governo ha interrotto, purtroppo, l'iter della legge che avevamo presentato alla Camera”, hanno dichiarato di recente Marianna Madia e Marco Furfaro del Pd. Colpa della “timidezza degli altri partiti”, sostiene invece Brescia: “Abbiamo registrato troppa timidezza dagli altri partiti che a parole si dicono disponibili, ma poi si fermano troppo facilmente davanti alle resistenze del ministero dell'Interno, da sempre allergico all'innovazione”. “Le speranze erano altissime e dopo tre legislature c’era finalmente un accordo della maggioranza – aggiunge La Barbera –. Il 24 luglio in commissione le forze politiche avrebbero dovuto ritirare le loro proposte e presentare un testo unico basato sul Libro bianco dell’astensionismo, ma è caduto il governo”.
Il libro bianco, frutto del lavoro della commissione presieduta da Franco Bassanini con esperti, rappresentanti dell’Istat e del Viminale, promuoveva una soluzione legata al voto anticipato presidiato, “che offrirebbe, al fine di rimuovere queste cause di astensionismo, quasi la stessa efficacia del voto elettronico o per corrispondenza, senza però presentare i problemi di compatibilità con i principi costituzionali” di quelle due alternative. L’ipotesi resta buona, ma a occuparsene dovrà essere il prossimo parlamento.
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