25 novembre 2022
Le droghe in Italia sono considerate un problema di ordine pubblico anziché di malessere personale e sociale. Era così cinquant’anni fa, quando insieme al Gruppo Abele iniziai a occuparmene, e rimane drammaticamente vero oggi. Se ancora serviva un’occasione per confermarcelo, ci ha pensato la recente ondata di polemiche sui rave.
Questi raduni informali di giovani sono un fenomeno che andrebbe indagato e compreso nelle sue radici, prima di farne oggetto di nuove norme punitive, che col pretesto di proteggere la società e i ragazzi stessi da situazioni pericolose, rischiano di amplificare paure e pregiudizi. Oltre che di riempire prigioni già al collasso, col ritorno di un’ottica “penale” che non ha mai risolto né mai risolverà il malessere giovanile comunque inteso.
Se molti giovani degli anni Settanta e Ottanta cercavano nelle droghe una via di fuga da un modello di vita borghese bravissimo nell’assegnare ruoli, ma incapace di rivelare significati, così mi pare che i ragazzi di oggi perseguano, attraverso iniziative come i rave party, qualcosa che va oltre la semplice trasgressione delle regole e la rottura degli schemi triti e prevedibili del divertimento di massa. Ossia che inseguano un senso di comunità perduto, un sentimento del convivere e del condividere di cui nella società del profitto, del consumo e delle guerre non è rimasta traccia.
"Non si possono trasformare i ragazzi che ballano nel nemico pubblico numero uno da reprimere e rinchiudere"Luigi Ciotti
Certo, è vero che in quelle situazioni, insieme alla musica ipnotica e martellante, giocano una parte importante le sostanze stupefacenti, il cui rischio non va sottovalutato. Tuttavia, la risposta non può essere trasformare i ragazzi che ballano nel nemico pubblico numero uno, da reprimere e se possibile rinchiudere. Naturalmente “per il loro bene”.
Chi davvero ha a cuore la vita e la salute di quei giovani ai rave partecipa da tempo, con interventi di riduzione del danno e dei rischi: controllo delle sostanze, informazione sui loro effetti, una presenza aperta ed empatica per tutti quelli che “perdono il controllo” e dal divertimento si ritrovano in uno stato di angoscia e smarrimento.
Riduzione del danno, una piccola difesa non richiesta
Oggi più che mai, di fronte al dilagare sommesso ma tragico di vecchie e nuove forme di dipendenza, servirebbe ritrovare lo spirito che cinquant’anni fa, ribaltando l’approccio repressivo, mosse i primi, reali tentativi di aiuto. Non la fallimentare “guerra alla droga”, e certamente non la guerra a chi la usa. Ma neppure la retorica pietistica del “perché mai i giovani si drogano?”, piuttosto un incontro vero con le singole vite, le singole storie, chiedendosi “perché si droga quel ragazzo o ragazza in particolare?”. Ha iniziato ad assumere sostanze perché stava male, oppure è stata proprio la droga a portare a galla quel malessere che, nel profondo della coscienza, tutti noi essere umani teniamo a bada? Quelle domande di senso, quel bisogno inesauribile di amore.
In questo momento circolano tante sostanze psicotrope legali e illegali: alcol, cannabis, droghe sintetiche, farmaci anestetici o antidepressivi. Hanno effetti diversi, e spesso vengono usate dalle stesse persone in momenti e per motivi diversi. Assistiamo con preoccupazione alla diffusione di una droga compulsiva e ingovernabile come il crack – derivata dalla cocaina – e a un deciso ritorno dell’eroina come sedativo, alternata alle sostanze stimolanti. Complice di tutto anche il cinico affarismo delle narcomafie, che vendono le dosi a prezzi stracciati ricavando comunque profitti ingenti, dato il moltiplicarsi della clientela.
Leggi i nostri articoli sul narcotraffico
L’uso è sempre più trasversale nella società: dai luoghi del divertimento a quelli di lavoro, dai giovani alle persone più mature, da quelle “integrate” fino al mondo della povertà e marginalità estrema. Come si può pensare che una sola chiave di lettura ci orienti dentro questa complessità? Come possiamo sperare di aiutare la gente che sta male, se quel male non sappiamo intercettarlo prima che le droghe vadano ad amplificarlo e farlo esplodere?
"Dobbiamo offrire servizi di riduzione del danno in grado di intercettare anche l’area della marginalità estrema, non per cronicizzare le dipendenze, ma per ripescare quelle persone che senza aiuti cadrebbero sempre più in basso"
C’è chi si avvicina alla droga con l’ambizione di scoprire una dimensione “altra”, misteriosa e altrimenti inaccessibile, della coscienza. Ma la maggior parte delle persone cerca nelle sostanze la risposta immediata alle proprie angosce, frustrazioni e paure. Molti iniziano a drogarsi per moda o per compagnia, e poi restano invischiati in una dipendenza che logora le forze, sfibra l’intelligenza e distrugge i rapporti umani.
Dobbiamo allora avere il coraggio di scendere dentro gli abissi dei singoli, ma anche di guardare da vicino i vuoti di una società sempre meno capace di essere comunità, di sostenere attraverso l’educazione, la cultura e ideali condivisi l’esistenza di ognuno. Dobbiamo ricominciare a investire su una prevenzione vera a partire dalle scuole, che sia non solo informazione ma anche conoscenza, magari contando sull’apporto di chi una dipendenza l’ha vissuta e superata. Dobbiamo offrire servizi di riduzione del danno in grado di intercettare anche l’area della marginalità estrema, non per cronicizzare le dipendenze, ma per ripescare quelle persone che senza aiuti cadrebbero sempre più in basso.
Esattamente un anno fa, a Genova, tante realtà che quotidianamente accolgono e accompagnano chi vive il rapporto con la droga come angoscia quotidiana, avevano condiviso una lettura aggiornata del contesto e formulato proposte di senso (leggi qui l'articolo sulla conferenza nazionale). Per rimettere al centro del discorso le persone e i loro problemi, non le sostanze e i loro pericoli. Oggi scopriamo che il lavoro fatto allora, con tutti i suoi limiti ma frutto di esperienze reali, rischia di andare perduto a causa di letture ideologiche e astratte. Rischiamo, insomma, di tornare indietro di cinquant’anni. E non possiamo permettercelo.
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