5 maggio 2022. Manifestazione per la legalizzazione della cannabis in Ecuador/Ansa
5 maggio 2022. Manifestazione per la legalizzazione della cannabis in Ecuador/Ansa

Cannabis e legalizzazione: tempo di bilanci

Uruguay, Colorado e Canada sono stati i primi paesi a puntare sulla legalizzazione. Trascorsi dieci anni, è tempo di fare un primo bilancio, tra benefici, effetti collaterali e mancate promesse

Francesco Rossi

Francesco RossiGiornalista e consulente lavialibera

Andrea Giambartolomei

Andrea GiambartolomeiRedattore lavialibera

25 novembre 2022

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In principio fu l’Uruguay. A fine 2013 il piccolo paese sudamericano aprì la strada alla legalizzazione della cannabis per scopi ricreativi: "Qualcuno deve essere il primo", dichiarò a O Globo il presidente Pepe Mujica. Così lo Stato ha autorizzato l’autoproduzione della marijuana, la sua distribuzione e vendita in club o farmacie, non per "diventare un Paese del fumo libero", ma per tentare un "esperimento al di fuori del proibizionismo, che è fallito" e per "strappare un mercato importante ai trafficanti di droga", diceva il presidente.
 
 
Nel 2017 è arrivato il Canada di Justin Trudeau, primo stato del G7 a legalizzare vendita, uso e coltivazione della cannabis. A seguire Georgia, Messico, Sudafrica, Thailandia, alcuni stati e dipartimenti degli Usa (California e Colorado, sopra tutti) e dell’Australia. In Europa la situazione è variegata: il consumo è consentito nei coffee shop olandesi e nei cannabis club spagnoli; il Portogallo ha depenalizzato il consumo di tutte le droghe; in Repubblica Ceca è permesso possedere fino a 15 grammi di marijuana che si può coltivare a uso personale (come in Spagna), la Germania sta lavorando a una legge per depenalizzare il possesso e permettere una vendita controllata; Malta, a fine 2021, ha legalizzato il consumo a scopo ricreativo, decisione adesso al vaglio anche del governo tedesco. In Italia, dopo la bocciatura del quesito referendario per la depenalizzazione della coltivazione per uso privato, si era arrivati a una proposta di legge condivisa, fermata però dallo scioglimento delle Camere. In attesa di capire se e in che modo ripartirà il dibattito in casa nostra, si può tentare un primo bilancio delle esperienze estere, per capire cosa ha funzionato e cosa no. Ben sapendo che l’intera materia è fortemente condizionata da posizioni ideologiche e politiche.
 

Uruguay e California, il crimine resta

Partiamo dalla questione economica, da profitti, tasse e lavoro. L’assunto di partenza è incontestabile: finché le droghe leggere sono illegali, ne guadagna soltanto la criminalità organizzata. In presenza di un mercato legale, invece, le mafie perderebbero profitti e lo Stato guadagnerebbe ingenti entrate fiscali. La realtà, invece, è perfettibile, come dimostrano Uruguay e California. Nel paese sudamericano la legalizzazione non ha debellato il mercato nero, pur avendogli sottratto 22 milioni di dollari nei primi cinque anni (secondo le stime dell’Instituto de regulación y control del cannabis). Per continuare a operare, gli spacciatori fanno leva su tre punti deboli: la canapa legale costa di più per via delle tasse; sono ancora poche le farmacie autorizzate al commercio; infine, è vietata la vendita ai turisti.
 
In Uruguay la legalizzazione non ha debellato il mercato nero, pur avendogli sottratto 22 milioni di dollari nei primi cinque anni
Anche in California, la legalizzazione della cannabis stabilita nel 2016 non ha fermato il mercato illegale, come ha raccontato a settembre il Los Angeles Times nell’inchiesta Legal weed, broken promises (Erba legale, promesse infrante). Seppure non più vietate, la coltivazione e la commercializzazione sono gravate da legacci burocratici ed economici che le rendono meno performanti rispetto al mercato nero. Eppure, nonostante l’80 per cento della cannabis californiana sia ancora prodotta illegalmente, il mercato ufficiale vale oltre quattro miliardi di dollari l’anno, pari a circa un miliardo di entrate fiscali in più. Inoltre, come rivelato dal rapporto Cannabis jobs report di Leafly, sito web specializzato sull’educazione e sull’uso di prodotti della canapa, tra il 2017 e il 2019 negli Usa il numero di occupati nel settore è raddoppiato, passando da 122mila a 240mila: il comparto economico con la crescita più veloce.
 

I consumi crescono, ma poco

Altro capitolo, quello dei consumi. Alcune ricerche sembrano dimostrare che a una maggiore disponibilità della sostanza sul mercato legale corrisponde un calo nel consumo tra i giovanissimi. I dati più recenti sono quelli del sondaggio Healthy Kids Colorado, realizzato ogni due anni in Colorado, primo stato nordamericano a legalizzare l’uso ricreativo nel 2012. La relazione sul 2021 evidenza un trend in netto calo per i consumi di droghe leggere tra gli adolescenti: solo il 13 per cento ha dichiarato di aver fatto uso di marijuana nei trenta giorni precedenti al sondaggio (nel 2019 era il 21 per cento). A risultati simili è giunto anche uno studio Jama Pediatrics del 2019 per il distretto di Washington: il consumo tra i minorenni è sceso dell’8 per cento su base annua. Stesso discorso anche per il Canada, dove la quota di giovani che utilizzano la cannabis è passata dal 27 per cento del 2018 (pre-legalizzazione) al 26 del 2019 (post-legalizzazione). Va sottolineato invece che in tutti i tre casi i consumi tra gli adulti sopra i 24 anni sono aumentati.
 

Il controverso dato degli incidenti

Secondo i detrattori della legalizzazione, una maggiore circolazione favorirebbe comportamenti illeciti, primo su tutti la guida in condizioni di scarsa lucidità. Per quanto riguarda gli incidenti stradali, le indagini statistiche condotte negli Stati Uniti rilevano una situazione quasi invariata lì dove la marijuana è stata legalizzata. Il gruppo Insurance Institute for Highway Safety, sulla base delle richieste di risarcimento, ha notato un leggero aumento (+6 per cento) degli incidenti in Colorado, Nevada, Oregon e nello stato di Washington rispetto agli stati confinanti dove la marijuana è ancora illegale. In Colorado, Oregon e nello stato di Washington è stato registrato un aumento pari al 5 per cento del tasso di incidenti per ogni milione di veicoli immatricolati rispetto ai vicini.
 
In Canada la quota dei giovani che utilizzano la cannabis è passata dal 27% del 2018 (pre-legalizzazione) al 26% del 2019 (post-legalizzazione).

In Canada, invece, uno studio del 2019 ha escluso la presenza di un nesso statisticamente rilevante tra i sinistri stradali e la presenza di alti livelli di tetraidrocannabinolo (tch, il principale principio attivo di questa sostanza) nel sangue dei guidatori coinvolti. Un’altra indagine, stavolta focalizzata sugli stati degli Usa che hanno scelto la via della cannabis legale, ha registrato un aumento di circa un incidente ogni milione di abitante nel primo anno dalla legalizzazione e un successivo decremento di circa uno ogni due milioni nel secondo anno. Risultato complessivo: curva pressoché piatta. Che dire infine della salute? In Colorado, dove il fatturato dell’economia della marijuana ha raggiunto nel 2021 i 2,2 miliardi di dollari, con oltre 400 milioni di entrate per il fisco, si è registrato anche un aumento dei ricoveri per casi di tachicardia, vomito, episodi psicotici legati al consumo di cannabis, come dimostra uno studio degli Annals of Internal Medicine.

 

Tra commissariati e carceri

Più interessante il ragionamento sul legame tra droghe leggere legali e reati, declinabile in due aspetti principali. Il primo riguarda il presunto rapporto tra diffusione del consumo di droghe e numero dei reati. Sul punto, i dati statistici replicano risultati simili a quelli visti per gli incidenti: dopo la legalizzazione, i crimini comuni rimangono stabili. Anzi, nel 2018, quattro economisti italiani hanno firmato uno studio comparativo tra lo stato di Washington, in cui la cannabis è stata legalizzata nel 2012, e l’Oregon, dove il passaggio è avvenuto due anni dopo: in questo lasso di tempo violenze sessuali, rapine e furti sono diminuiti solo dove il divieto è caduto. Secondo gli autori, dire che esiste una correlazione diretta e certa tra i due fatti non sarebbe corretto, ma è comunque possibile ricavare da queste cifre delle indicazioni da approfondire.
 
 
Il secondo, invece, riguarda i reati collegati alle droghe leggere, il loro ruolo nell’intasare commissariati e tribunali e nell’affollare le carceri. "Nessuno dovrebbe essere in prigione solo per avere usato o posseduto marijuana. Mandare persone in prigione per possesso di marijuana ha sconvolto troppe vite e incarcerato persone per comportamenti che molti stati non proibiscono più", ha detto il 6 ottobre il presidente Usa Joe Biden, annunciando la grazia per migliaia di statunitensi, molti appartenenti a minoranze etniche, in cella per possesso di marijuana. Biden ha aggiunto che "le leggi sulla marijuana non funzionano", ragione per cui ha dato mandato ai ministri della Salute e della Giustizia di mettere a punto una riforma della legge federale sulle droghe leggere. Paradossalmente, il consumo di marijuana è ritenuto più grave rispetto a quello di  droghe come il fentanyl – un oppiaceo sintetico – e metanfetamine, le principali responsabili dell’epidemia di overdose negli States.
 

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