19 dicembre 2022
"Ci vuole un eccesso di teoria, un eccesso di dogmatismo per astrarsi dalla vita viva" (Varlam Šalamov, I racconti di Kolyma, p. 296). In effetti, c’è qualcosa di metafisico nella guerra a cui stiamo assistendo, pur comodamente seduti in poltrona, nelle nostre case sufficientemente riscaldate: qualcosa di metafisico nella sua atroce crudeltà. Su La Stampa di sabato 26 novembre 2022 è stata pubblicata l’accorata lettera che Papa Francesco ha rivolto ai "fratelli e sorelle ucraini", dove il pontefice esprime non soltanto la sua vicinanza per le immani sofferenze a cui sono sottoposti, ma il suo profondo sgomento di fronte all’"assurda follia" della guerra scatenata dall’attuale governo della Russia, rispetto alla quale – egli afferma – si leva un grido: "Perché?". La lettera è stata formulata in occasione dei "novant’anni dal terribile genocidio del Holodomor", una parola che fino a pochi mesi fa soltanto alcuni conoscevano e che ora sarebbe bene entrasse più stabilmente nel nostro dizionario relativo ai crimini perpetrati contro l’umanità.
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Holodomor nasce dalla combinazione delle parole ucraine holod(fame, carestia) e moryty(uccidere), e quindi l’espressione significa "procurare la morte per fame", "uccidere con la fame". Holodomor ha un preciso significato storico: si riferisce alla terribile carestia che colpì l’Ucraina negli anni 1932-1933. È difficile stabilire quante furono le vittime, ma gli storici parlano di diversi milioni di morti. In quegli anni era praticamente impossibile per gli occidentali recarsi in Ucraina. Le scarne testimonianze (come quelle dello scrittore Vasilij Grossman o quelle contenute nelle lettere che un ingegnere sud-africano inviava in quegli anni ad amici e parenti) sono sufficienti per descrivere le condizioni strazianti in cui si trovava la popolazione. La causa è da rintracciare nella volontà del governo sovietico di imporre la collettivizzazione della terra con la creazione dei kolchoze l’eliminazione dei kulaki(contadini indipendenti) e di procedere in maniera forsennata all’industrializzazione dell’economia. Il risultato fu appunto una spaventosa carestia, i cui effetti – secondo le testimonianze raccolte – furono non soltanto le incalcolabili morti per fame, ma persino azioni di cannibalismo nei confronti dei cadaveri.
Tra il 1932 e il 1933, per via degli stenti, ci furono persino episodi di cannibalismo sui cadaveri
Il tema dibattuto dagli storici è se la carestia, in quello che era il granaio d’Europa, sia stata il risultato di una dissennata politica economica o se, invece, Holodomor sia l’effetto di una programmata politica di sterminio, come del resto si potrebbe evincere dalle dichiarazioni di Stalin sul destino dei kulaki. In ogni caso, le misure prese dal governo di Mosca (deportazioni, uccisioni, spopolamento dei campi, sequestro statale dei prodotti agricoli) andavano nel senso di un aggravamento generalizzato della carestia: insomma, una morte indotta a danno di un’intera popolazione, dunque – come da più parti ormai si sostiene – un genocidio. Nel 2003 nell’ambito delle Nazioni unite si parlò di tragedia ucraina e nel 2008 il parlamento europeo si espresse in termini di crimini contro l’umanità, non di genocidio. Oltre all’Ucraina, sono però ormai una ventina i paesi che impiegano esplicitamente questo termine, e – come appena abbiamo visto – anche il Papa non ha esitazione a usarlo.
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Il conflitto in corso sta mostrando spietatezza, disumanità ma anche la sua intenzionalità
E oggi? La guerra non ha il volto dell’occupazione: vuole essere sterminio. Colpire centrali elettriche ed energetiche, palazzi, ospedali, ridurre al buio, al freddo, alla fame l’intera popolazione non può non ricordare – persino in chi non è ucraino – il terribile Holodomor. Non solo la sua spietatezza, la sua disumanità, ma anche la sua criminale intenzionalità. In un articolo intitolato "Holodomor, il genocidio ucraino che ora Putin vuole replicare" (La Stampa, 27 novembre 2022), Anna Zafesova ci parla di politici e propagandisti putiniani che, mostrando alla televisione russa le cartine delle infrastrutture colpite, esaltano il "furore sacro dei russi" nel "far congelare e marcire" gli ucraini.
Furore sacro, analogo a quello che animava la spietatezza sovietica e in particolare staliniana. Il principio pare essere lo stesso: la presunzione folle di un potere disumano, di un controllo e di una manipolazione feroce sul destino delle persone. Non risulta che nella Russia putiniana si parli di "uomo nuovo", ne parlavano ai loro tempi Lenin e Stalin. L’Unione sovietica era infatti concepita come la patria dell’uomo nuovo, un uomo inedito, creato ex novo dalla fucina del socialismo e del comunismo, un uomo da collocare quindi ai vertici della storia dell’umanità. Solo un’ambizione così spropositata poteva giustificare il terrore rivoluzionario, la spietatezza con cui si distruggeva il nemico interno, la disumanità delle deportazioni e dei gulag, il furore sacro con cui forsennatamente si provvedeva tanto a costruire infrastrutture quanto a distruggere vite umane.
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Tra Stalin e Putin è senza dubbio venuto meno il socialismo (con i valori di uguaglianza che esso patrocinava). È rimasto però il "furore sacro" del potere. Un potere che si pone al vertice (espressione e difesa) di un’entità che ha effettivamente qualcosa di metafisico: il Mondo Russo (Russkiy Mir), una civiltà che si ritiene separata e nello stesso tempo minacciata da un nemico esterno, l’"Occidente collettivo" – l’Occidente nel suo insieme – concepito come moralmente decadente e tuttavia militarmente aggressivo. Rispetto al Russkiy Mir, l’Ucraina a sua volta è troppo vicina, troppo simile, storicamente troppo intrecciata per poter essere riconosciuta come Stato a sé. Con la sua propensione verso l’Occidente, è ormai divenuta un’insopportabile spina nel fianco del colosso imperiale: la sua vicinanza è una minaccia culturale, e per questo esiziale.
Dal punto di vista di questo strano e fragile colosso pare siano due le alternative del destino dell’Ucraina: venire fagocitata, "fatta dentro", nel Russkiy Mir (si pensi ai bambini deportati in Russia nei mesi dell’occupazione), oppure "fatta fuori", ricorrendo a una riedizione aggiornata del Holodomor di novant’anni fa. È l’accecante componente metafisica e identitaria del Russkiy Mir che rende tanto difficile – anche per i pacifisti più convinti – la via per la pace. La speranza proviene soltanto dalla vita (della gente, specialmente dei giovani e soprattutto delle donne), in quanto capace di sgretolare prima o poi il destino imposto dal potere. Cfr. Vita e destino (Žizn' i sud'ba) di Vasilij Grossman e la grande ondata di protesta in Iran al grido di "Donna Vita Libertà".
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