Palermo, 12 dicembre 2000. Il segretario generale dell'Onu Kofi Annan interviene durante la conferenza di firma della Convenzione contro il crimine organizzato transnazionale (UN Photo/Eskinder Debebe)
Palermo, 12 dicembre 2000. Il segretario generale dell'Onu Kofi Annan interviene durante la conferenza di firma della Convenzione contro il crimine organizzato transnazionale (UN Photo/Eskinder Debebe)

A 20 anni dalla Convenzione Onu sul crimine organizzato: Palermo non basta

La società civile traccia un bilancio a vent'anni dalla firma della Convenzione Onu del 2000 contro la criminalità organizzata internazionale: molto è cambiato, non sempre in meglio

Elena Ciccarello

Elena CiccarelloDirettrice responsabile lavialibera

23 dicembre 2022

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Stesso luogo, due decenni più tardi. Il 28 e 29 ottobre si è svolto a Palermo, all’interno dei Cantieri culturali della Zisa, un dibattito pubblico organizzato da Libera sul ruolo della società civile nella lotta alle mafie e ai crimini transnazionali. Come vent’anni fa, gruppi e delegazioni internazionali si sono incontrati per fare un bilancio della situazione presente, condividere esperienze, denunciare mancanze, rilanciare nuove azioni. Era accaduto lo stesso nel dicembre del 2000, nei giorni in cui i capi di Stato erano riuniti a Palermo per presentare la Convenzione delle Nazioni unite sulla criminalità organizzata. Mentre si svolgeva l’evento istituzionale, le associazioni si sono incontrate in un convegno parallelo che qualche giornale chiamò il "controvertice" di Libera: "Un evento a cavallo tra l’ufficialità delle Nazioni unite e le istanze del movimento anti-globalizzazione" (Liberazione, 14 dicembre 2000). "Nel 2000 non era prevista la nostra presenza qui a Palermo – ricorda Luigi Ciotti – e quando abbiamo saputo che si preparava questo grande momento, che abbiamo ritenuto importante e di valore, ci siamo chiesti: come mai?".

Timeline dell'antimafia. Tappe e strumenti principali

Oggi, come allora, la tutela dei popoli e di chi subisce violenza e abusi di ogni genere passa dall’ambiguità delle organizzazioni intergovernative globali: da una parte, promotrici e garanti di strumenti giuridici per l’affermazione dei diritti, dall’altra, condizionate o in parte colluse con gli stessi poteri economici e criminali che dovrebbero arginare. Anche la Convenzione di Palermo può essere letta in questa duplice prospettiva. Ad esempio, come uno straordinario strumento di contrasto transnazionale per alcuni reati, che però resta inefficace perché sottoutilizzato o non inserito nelle normative degli stati. Oppure come mezzo di salvaguardia dei diritti delle vittime di violenza criminale, azzoppato però dalla fragilità spesso interessata delle istituzioni politiche. Infine, come un veicolo di collaborazione tra paesi del Nord e del Sud globale, per evitare che gli appetiti degli uni alimentino le tragedie umanitarie degli altri, annichilita però dagli interessi geopolitici e di mercato.

Tre ingiustizie contro il Sud del mondo

Bastano pochi esempi per rendersi conto del fallimento: la Convenzione, sottoscritta da 185 Stati Onu su 190, tra le altre cose, avrebbe dovuto limitare il riciclaggio del denaro sporco, intervenendo sul segreto bancario e i conti offshore (anonimi); non permettere ai criminali di rifugiarsi in paesi dove i loro crimini possono restare impuniti; ridurre fino a eliminare la tratta delle persone, il traffico di migranti e di armi. Vent’anni dopo, non siamo molto lontani dal punto di partenza. "Qui giace l’ipocrisia di molti – ha urlato all’incontro dello scorso ottobre la giornalista messicana Anabel Hernandez –. A cosa serve avere leggi severissime, se poi rimane la domanda di droga, di bambini, di diamanti e metalli preziosi?". Qui si colloca il ruolo della società civile organizzata, che nell’incontro e nella collaborazione internazionale diviene speranza condivisa e un appiglio per non arrendersi. Su questo numero de lavialibera pubblichiamo gli interventi di chi a Palermo ha parlato delle drammatiche conseguenze dei traffici illegali sulla vita delle persone. Perché, anche a vent'anni di distanza, le parole scritte nella Convenzione non smettano mai di fare i conti con la realtà.

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