Firenze, 4 Marzo 2023. La preside Annalisa Savino alla manifestazione antifascista dopo l'aggressione avvenuta davanti al liceo Michelangiolo (C.Giovanni/Ansa)
Firenze, 4 Marzo 2023. La preside Annalisa Savino alla manifestazione antifascista dopo l'aggressione avvenuta davanti al liceo Michelangiolo (C.Giovanni/Ansa)

Annalisa Savino, preside di Firenze autrice della lettera sul fascismo: "La scuola non deve solo creare lavoratori"

Dopo il pestaggio fascista a due studenti, Annalisa Savino, preside del liceo scientifico Leonardo da Vinci di Firenze, ha scritto ai suoi alunni un messaggio contestato dal ministro Valditara: "Un'insegnante deve condurre in percorsi di cittadinanza", spiega. Una riflessione per il giorno della prima prova di maturità

Ylenia Sina

Ylenia SinaGiornalista

Aggiornato il giorno 21 giugno 2023

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La scuola non deve offrire solo percorsi di formazione, ma anche di cittadinanza. Lo sostiene Annalisa Savino, la preside del liceo scientifico Leonardo da Vinci di Firenze che, dopo il pestaggio compiuto da alcuni giovani di destra ai danni di due studenti del liceo classico Michelangiolo, il 18 febbraio scorso ha scritto una lettera ai suoi alunni: "Il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone. È nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a se stessa da passanti indifferenti". Quella lettera – destinata agli studenti, ma rilanciata e molto condivisa su internet – è arrivata all’attenzione del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, che l’ha ritenuta "impropria", accendendo le critiche sul caso da parte dei politici di destra. A distanza di alcune settimane dai fatti, la dirigente riflette con lavialibera sui problemi dell’istruzione, sul ruolo della scuola, sul suo futuro e su quello delle nuove generazioni.

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Savino, perché ha sentito la necessità di scrivere quella lettera?
L’ho scritta perché i ragazzi sono rimasti colpiti da quelle immagini. La preoccupazione era palpabile. Volevo fargli capire che siamo una comunità e che l’istituzione scolastica vive con loro il disagio generato da eventi che avvengono nella società, in questo caso peraltro molto vicino. Ho sentito anche il bisogno di invitarli a una lettura non passiva dei fatti, perché credo che gli studenti di una scuola superiore abbiano tutti gli strumenti per una visione critica degli avvenimenti agganciata alla storia.

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Come hanno reagito gli studenti alla sua lettera?
Mi hanno ringraziato. C’è stata una risposta positiva che si è vista anche con la manifestazione del 4 marzo, indetta sul tema ampio dell’antifascismo ma in parte anche in solidarietà nei miei confronti. Gli studenti hanno voluto che io andassi a quella manifestazione. Hanno gradito anche il tono non istituzionale della lettera, il fatto che mi sono rivolta direttamente a loro. Non è la prima volta che avviene. In passato, in altre scuole e di fronte ad altri fatti d’attualità come il terremoto, l’incendio di Notre-Dame o il settantesimo anniversario della Liberazione, ho scritto lettere che si rivolgevano in modo diretto ai ragazzi. È un mio modo di fare, non l’ho inventato per il pestaggio.

Nella lettera lo definisce un "pestaggio violento per motivi politici". Perché chiedere a degli adolescenti di non restare indifferenti di fronte a un fatto simile?
 

"Quella lettera era un invito a dare un nome a quanto accaduto, perché è nel silenzio e nell’indifferenza che si rischia di rendere accettabili certi comportamenti"Annalisa Savino

Significa spingerli a una reazione. Non fisica ma morale, quindi usando gli strumenti della cultura e delle idee. L’invito è soprattutto quello di mantenere alta l’attenzione, non perché il fascismo di un secolo fa possa tornare domani ma perché, come diceva Umberto Eco, esiste un fascismo eterno che si trasforma e rimane lì, e quando si creano le giuste condizioni, favorite proprio dall’indifferenza, c’è il rischio che diventi sistema. Quella lettera era un invito a dare un nome a quanto accaduto, perché è nel silenzio e nell’indifferenza che si rischia di rendere accettabili certi comportamenti. Preciso però che nella lettera mi riferivo alla propaganda dell’estrema destra, non a una destra di governo che ha giurato sulla Costituzione.

Oggi c’è il rischio che i principi della destra estrema si diffondano tra i più giovani?
Sì, se si continua a stare zitti e a non stigmatizzare determinati avvenimenti. Il pericolo è che di fronte a problemi complessi vincano la battaglia dell’audience e dei like coloro che urlano slogan semplici e aggressivi, che parlano di complotti, di muri e di identità chiuse. Una risposta passa anche dalla scuola, intesa nella sua accezione più ampia, come collettività. Abbiamo il compito di analizzare la complessità delle cose. Anche dire semplicemente "no alla violenza" apre un rischio se quella violenza è esercitata da un poliziotto che picchia un afroamericano fino a farlo morire. Perché quella non è solo violenza, è razzismo. Per questo è importante dare un nome alle cose.

Disuguaglianze a scuola: una questione di classe

Cosa significa per lei essere insegnante?
 

"L’insegnante dovrebbe esaminare, anche criticamente, i bisogni della società a cui consegna lo studente, rispondere alle sue esigenze e alla sua richiesta di ascolto e di guida"

Il ruolo dell’insegnante cambia a seconda del momento storico e della società. Se all’inizio del Novecento doveva alfabetizzare, oggi deve farsi carico degli studenti come persone, guidarli in percorsi di conoscenza ma anche di cittadinanza. L’insegnante dovrebbe esaminare, anche criticamente, i bisogni della società a cui consegna lo studente, rispondere alle sue esigenze e alla sua richiesta di ascolto e di guida. Una risposta molto più complessa e impegnativa. Non si può più insegnare rifacendosi solo al contesto in cui si è stati studenti perché le cose sono cambiate. Ogni insegnante dovrebbe essere consapevole della responsabilità e dell’onore che questo ruolo comporta, ma non è sempre così

La scuola è definita spesso un presidio di democrazia. Sta assolvendo a questo compito?
Cerca di farlo tra mille problemi, alcuni dei quali strutturali. Docenti e dirigenti scolastici, le due figure più a contatto con la didattica, non dovrebbero accantonare la costante riflessione sul proprio compito, eppure non è così scontato. È un punto critico: la scuola è composta da tantissime persone, la maggior parte straordinarie, ma non tutti hanno una profonda consapevolezza del proprio ruolo. Certo, i numeri non aiutano. Se in classe ci sono 31 ragazzi, è difficile mettere al centro i bisogni degli studenti, valorizzare il potenziale di ognuno, personalizzare l’apprendimento e creare relazioni efficaci. Le scuole, poi, sono sempre più grandi e anche questo è un ostacolo. Si dovrebbe rendere strutturale la formazione su temi trasversali e non solo attorno alle singole discipline, e per strutturarla intendo renderla obbligatoria. Non so se funzionerebbe, perché i veri cambiamenti arrivano dalla condivisione, ma da qualche parte bisogna partire.

Ha parlato di alcuni problemi strutturali nella scuola. Quali sono i principali secondo lei?
Un problema di sistema riguarda il modello didattico: la scuola ha vissuto tantissime riforme negli ultimi anni ma nessuna di queste lo ha modificato davvero, tanto che ancora oggi la didattica è quasi esclusivamente trasmissiva. Non mancano scuole che sperimentano modelli innovativi, che non significa per forza ricorrere al digitale o rinunciare del tutto alla lezione frontale, ma integrarla per favorire un modello di apprendimento di tipo cooperativo. Nessuno, però, ti chiede conto di questo. Il Pnrr cerca di promuovere percorsi in questa direzione, ma dalla maggior parte delle scuole è stato percepito come un progetto calato dall’alto. L’innovazione e i cambiamenti veri necessitano di tempi lunghi e di condivisione che oggi non ci sono.

Se la scuola esclude, le mafie avanzano

La filosofa Agnes Heller diceva che ciò che è più importante imparare sono le cose inutili: greco, latino, matematica pura... Lei insegna in un liceo: c’è ancora spazio perl’“inutile” nella nostra società?

"Non sono d’accordo con l’idea che l’intero mondo della formazione debba essere impostato per preparare dei lavoratori, anche perché non sappiamo nemmeno che lavori proporrà il mondo di domani"

Penso di sì, anche perché sono laureata in filosofia… E cosa c’è di più apparentemente inutile della filosofia? Le materie definite inutili sono le fondamenta dei saperi, anche specialistici. Non sono d’accordo con l’idea che l’intero mondo della formazione debba essere impostato per preparare dei lavoratori, anche perché non sappiamo nemmeno che lavori proporrà il mondo di domani. Servirà saper ragionare e risolvere problemi complessi. I “saperi inutili” sono utilissimi quando abbiamo davanti un futuro che non possiamo immaginare, perché le cose cambiano in modo troppo veloce.

È necessaria una riforma dell’alternanza scuola-lavoro?
Credo sia importante conoscere il mondo del lavoro mentre si studia, ma questo non vuol dire lavorare. È utile l’osservazione, la visita nei posti di lavoro, ma la scuola deve rimanere scuola perché il lavoro arriverà dopo. Però questa conoscenza va coltivata e promossa anche in relazione a esigenze di tipo civico e di cittadinanza. La nostra Repubblica è fondata sul lavoro e penso che sia sbagliato dare agli studenti la sensazione che sia una cosa completamente separata. Abbiamo bisogno che la realtà entri nelle nostre aule, non solo quella del mondo del lavoro ma anche del volontariato.

In un passaggio della lettera scrive: "Abbiamo tutti bisogno di avere fiducia nel futuro". Dal suo punto di vista, che periodo stanno attraversando gli adolescenti?
È un periodo difficile. Questi ragazzi si stanno affacciando alla vita adulta in un contesto storico e politico incerto: la guerra, la catastrofe climatica e non ultima la pandemia, che ha lasciato strascichi pesanti sugli adolescenti. Sottovalutiamo anche l’impatto dei social. In questo quadro l’indifferenza è una difesa, comoda ma sbagliata. In me speranza e preoccupazione si equivalgono. Anche se noi educatori siamo preoccupati dal futuro, dobbiamo infondere fiducia e speranza agli adolescenti. Ce lo dobbiamo imporre perché solo chi ha fiducia raccoglie le forze per migliorare le cose. Ai ragazzi dobbiamo dire di “Quella lettera era un invito a dare un nome a quanto accaduto. Silenzio e indifferenza rendono accettabili certi comportamenti” studiare e conoscere, perché il mondo può essere cambiato.

In Italia quasi 54mila "hikikomori", gli adolescenti "ritirati"

In maniera ciclica torna anche il dibattito sul merito e sulla competizione. Gli studenti di oggi sono stressati?
Sì, e non solo. È cambiato il tipo di conflitto generazionale: dalla trasgressione usata in contrapposizione ad adulti, genitori e scuola, si è passati alla paura di poter fallire. I ragazzi vivono in modo più pesante la pressione dei genitori, del carico della scuola e delle aspettative della società e del mondo del lavoro che sono più indirizzati verso la competizione. Così spesso gli adolescenti sono portati ad accantonare le proprie inclinazioni o passioni, oppure a coltivarle separatamente, perché pensano che quello che faranno nella vita non sarà collegato alla propria passione o alla propria interiorità.

Negli ultimi anni gli studenti hanno mandato messaggi forti alla politica e al mondo degli adulti, come è accaduto con Fridays for future, Extinction rebellion e Ultima generazione. Siamo realmente in grado di capire le loro preoccupazioni e aspirazioni?
La domanda giusta che dobbiamo porci è: siamo davvero interessati a raccogliere i loro messaggi? Noi adulti abbiamo atteggiamenti bipolari nei confronti dei ragazzi. Da una parte, esercitiamo una volontà di protezione assoluta, dando loro la sensazione che per qualsiasi problema ci saremo sempre, e questo a volte li annulla. Dall’altra, esercitiamo una critica continua sulla loro scarsa capacità di battersi per i propri diritti. Dovremmo trovare un equilibrio. L’unico modo per farlo è convincerci che abbiamo preso in prestito questo mondo dalle generazioni che dovranno gestirlo nei prossimi decenni.

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