5 giugno 2023
Silenzioso, elegante, in disparte per evitare i tanti curiosi presenti in aula. L’avvocato statunitense Robert Bilott, esperto internazionale di diritto ambientale, si è presentato lo scorso 25 maggio al tribunale di Vicenza per testimoniare al processo Miteni, l’azienda, ora fallita, che per anni ha prodotto a Trissino, in provincia di Vicenza, le sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) che hanno contaminato le acque di falda. Gli imputati sono 15 manager dell’ex stabilimento accusati, a vario titolo, di avvelenamento di acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari.
Il legale ha raccontato la sua esperienza contro il colosso americano Dupont, multinazionale che produce Pfas dagli anni Sessanta e che ha risarcito per 750 milioni di dollari i suoi assistiti. “Dal 1976 gli studi evidenziano problemi di fertilità, tumori e colesterolo per gli animali che venivano esposti al Pfoa”, ha detto l’avvocato, rispondendo alle domande del pubblico ministero. Bilott, che negli ultimi 25 anni ha trascorso intere giornate ad approfondire i possibili rischi connessi ai Pfas, ha parlato per otto ore, senza consultare documenti né dimenticando nomi.
La multinazionale statunitense Dupont, che produce Pfas dagli anni Sessanta, ha risarcito per 750 milioni di dollari gli assistiti di Bilott
Dupont fa parte di una filiera: negli Stati Uniti utilizzava il Pfoa dell’azienda 3M, in Europa quello prodotto da Miteni. Dal 1976, ogni anno, le tre aziende conducevano una serie di studi sull’impatto sanitario e ambientale (anche nell’aria) del composto. Nel 1998, i ricercatori della 3M chiudono una ricerca destinata a sconvolgere il mercato di queste sostanze.
Dopo aver cercato e trovato i Pfas nelle acque potabili delle città vicine al suo stabilimento in West Virginia, 3M lo cerca nel sangue di chi beve quell’acqua. E lo trova. «Nel 1998 vi è la certezza del rischio di esposizione e 3M decide di ridurre la produzione con l’obiettivo di eliminarla», ha spiegato Bilott. La ricerca cui l’avvocato americano si riferisce è firmata da diversi professionisti, tra cui il medico di Miteni, Giovanni Costa.
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Le ricerche svolte dalle produttrici mondiali di Pfas vengono effettuate condividendo i dati e Giovanni Costa porta la voce italiana sul tavolo mondiale. Dopo le ricerche sul sangue e la decisione di ridurre la produzione, “Dupont non poteva rimanere senza il Pfoa di 3M, così all’inizio del Duemila ha chiesto a Miteni se poteva continuare a produrlo, pur essendo a conoscenza dei rischi. Miteni ha risposto di sì, aggiungendo che avrebbe anzi incrementato la produzione per rispondere alle crescenti richieste del mercato europeo”, ha spiegato Bilott.
In quegli anni in Europa è quindi Miteni a produrre i Pfoa, lavorati alla Solvay Solexis di Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria. Nel corso dell’udienza vicentina viene chiesto all’avvocato di spiegare il senso di alcuni documenti internazionali, in particolare una mail di Ilaria Colombo – addetta alla sicurezza sanitaria nel polo chimico di Spinetta Marengo di Solvay Solexis – inviata nel 2005 all’allora direttore di stabilimento Giorgio Canti, al medico Solvay Paolo Bonetti e al medico Giovanni Costa.
“All’inizio del Duemila Dupont ha chiesto a Miteni se poteva continuare a produrre Pfoa. L'azienda vicentina ha risposto di sì, aggiungendo che avrebbe anzi incrementato la produzione”
La mail ha due allegati, ritenuti interessanti. Si tratta di studi Dupont presentati, sempre nel 2005, durante alcuni incontri organizzati dall’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente degli Stati Uniti con le popolazioni dei territori colpiti dalla contaminazione. In particolare, gli studi dimostrano la correlazione tra esposizione al Pfoa e il colesterolo alto.
Stando ai documenti è ancora prima, dal 2002, che Giovanni Costa e Solvay Solexis parlano di esposizione ai Pfas. Da quando, cioè, il dirigente della multinazionale belga, Giuseppe Malinverno, siede al tavolo organizzato dall’Associazione produttori di plastiche europee (Apme), con i produttori di Pfas degli Stati Uniti. Costa partecipa stabilmente all’attività riguardante la tossicità della sostanza su ratti e scimmie, mentre Malinverno finanzia per migliaia di dollari questi studi. Il tavolo internazionale dei produttori serviva a coordinare una risposta da parte di chi produce verso chi deve monitorare. Nel caso statunitense, l’Agenzia federale per la protezione dell’ambiente (Epa) che dal 1998 ha chiesto e ottenuto i risultati di esposizione degli operai, la presenza di Pfoa nell’ambiente e nell’acqua potabile.
Fin qui i produttori. Intanto nel 2001, in Europa, nasce Perforce, un gruppo di ricerca finalizzato dal pubblico per cercare Pfas in tutto il continente: un team di ricercatori universitari pagati dalla Commissione europea per studiare le reazioni della natura ai Pfas. Fra i responsabili del progetto figurava Pim De Vogt, destinatario delle attenzioni di Solvay Solexis dal 2005. Nel verbale di una riunione dell’Apme avvenuta alla fine dell’estate 2005, Malinverno racconta il suo primo colloquio con Pim de Vogt nell’ufficio universitario di quest’ultimo, ad Amsterdam, in cui chiede al professore di poter partecipare, con finanziamenti mirati, allo studio del Pfoa in ambiente.
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De Vogt risponde che le leggi europee non consentono di ricevere fondi privati. Nonostante l’esito di questo primo incontro, Malinverno racconta di essere tornato altre due volte da De Vogt, nel corso dell’estate 2005, insistendo sulla disponibilità a finanziare, come Solvay, la successiva tornata di analisi sul Pfoa del progetto Perforce. Stando ai documenti che lavialibera ha potuto visionare, in questi ultimi incontri Malinverno incassa un cambio di prospettiva, tanto da riportare ai suoi colleghi dell'Apme “la sensazione che Perforce abbia cambiato di 180 gradi la sua visione verso PlasticEurope (Malinverno e Mike Neal rappresentano la parte europea del tavolo americano attraverso PlasticEurope) e sia ora disposta a ricevere finanziamenti privati”.
Pim de Vogt, che da qualche anno è in pensione, oggi risponde così alle domande de lavialibera: “Era lecito ricevere finanziamenti privati per lo studio europeo destinato a trovare il metodo corretto per cercare il Pfoa nell’ambiente. Ho incontrato più volte il dottor Malinverno di Solvay. Il progetto Perforce2 è stato chiuso nel 2006 consegnando il report a tutti i finanziatori, incluso Malinverno”.
Il rapido cambio di orientamento è comprensibile alla luce della fine dei finanziamenti pubblici rivolti al progetto Perforce, e dell'ingresso di finanziamenti privati in Perforce2 nel 2006. Tutto avviene nel corso di un’estate. Le insistenze del dirigente Solvay Malinverno non vanno a vuoto. È da notare che, nello stesso periodo, le istituzioni italiane sono totalmente all’oscuro del fatto che nel polo industriale di Spinetta Marengo venga utilizzato Pfoa, perché Solvay Solexis si guarda bene dal comunicarlo.
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Mentre Giuseppe Malinverno incontrava il professore di Amsterdam, diversi enti europei accendevano i fari sulla produzione di Pfoa. Nel 2005 l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) spedisce a tutte le industrie del settore un questionario per ottenere i dati di produzione di questi composti, in vicinanza del divieto di produzione statunitense. La Miteni di Trissino spiega alle sorelle mondiali cosa e come rispondere. Solvay Solexis non riceve il documento e non risponde. Gli esiti del questionario confluiscono nel 2006 in una pubblicazione che indica Miteni come la prima produttrice di Pfoa in Europa, ragion per cui l’Ocse la segnala all’Istituto superiore di sanità di Roma (Iss).
È allora che il medico di Miteni, lo stesso Giovanni Costa che siede ai tavoli internazionali con le aziende americane, scrive una mail ai dirigenti della società di Trissino mettendoli in guardia sulle possibili chiamate dell’Iss. Il capo del dipartimento tossicologia dell’Istituto, Alessandro Di Domenico, che riceve l’allerta europea dell’Ocse, a fine 2007 chiede a Miteni un incontro per capire quale sia la gestione della produzione di Pfoa, indicando le linee guida dell’Ocse per tutelare l’ambiente. Dopo diversi amichevoli scambi di mail per fissare un appuntamento a Roma (che coinvolgono anche Solvay Solexis), Giovanni Costa e il dirigente Miteni Gloria vanno a incontrare Di Domenico.
L’ultima indicazione del dirigente Miteni Mario Fabris al medico Costa è quella di spiegare il lavoro compiuto dall’azienda per ridurre l’impatto ambientale: “Il punto debole è che Miteni non ha dati sull’impatto ambientale. Ce li chiederanno ma – questa la richiesta di Fabris a Costa – noi dobbiamo far capire che qualche numerello ce l’abbiamo”.
Nel settembre del 2008 il medico consegna dunque a Di Domenico, e quindi all'Istituto superiore di sanità, tutta la documentazione sul Pfoa. O quasi. Infatti Costa fornisce i dati relativi all’esposizione degli operai, i numeri sulla produzione in tonnellate e comunica l’avvenuta costruzione della barriera idraulica per fermare l’inquinamento nelle acque sotterranee di Miteni verso l’esterno. Non dice però che le analisi da lui stesso commissionate nel 2001 al laboratorio Theolab sul Pfoa in atmosfera, sia in Miteni sia in Solvay (a Spinetta), superano i limiti di esposizione per i lavoratori indicati dagli Stati Uniti. Di Domenico raccoglie tutto quello che gli viene dato e si complimenta con l’azienda in una mail riassuntiva dell’incontro.
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In altri termini, Miteni, rappresentando anche Solvay Solexis, aveva spiegato la produzione di Pfoa all’organo tecnico sanitario più importante del nostro Paese già a settembre 2008, sebbene omettendo delle informazioni. Ben cinque anni prima dell’annuncio del Ministero dell’Ambiente dell’allarme ambientale e sanitario in Veneto, per contaminazione delle acque superficiali e potabili in tre province.
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