31 marzo 2023
Arpa Piemonte – l’Agenzia regionale per la protezione ambientale – ha analizzato 14 discariche del territorio per verificare l’eventuale presenza di Pfas – i composti perfluoroalchilici messi al bando dall’Europa per la loro pericolosità e i rischi connessi alla salute umana. Dai rilievi sono emersi valori elevati per due di queste sostanze, brevettate e prodotte esclusivamente dalla multinazionale Solvay Solexis di Spinetta Marengo, una frazione di Alessandria, già condannata per disastro ambientale e nuovamente sotto processo per lo stesso reato.
In Emilia riapre la discarica sotto processo
Lo scorso dicembre sul sito dell’Agenzia regionale era stato pubblicato un riassunto dell’attività di indagine sulla presenza dei Pfas nell’ambiente: aria, suolo e percolati di discarica, ossia il risultato liquido di ciò che rimane dei rifiuti. Per la prima volta l’Agenzia ha cercato i Pfas, prodotti in Italia solo da Solvay Solexis, nel liquido che assorbe tutte le sostanze rilasciate dai rifiuti presenti nelle discariche, che viene trattenuto da una vasca impermeabile progettata per raccogliere ed evitare la dispersione in ambiente. A patto che sia fatta bene. Il limite di riferimento per valutare se le concentrazioni superano la soglia consentita è quello disposto dal Regolamento europeo 2022/2400.
Oggi in Italia i Pfas sono prodotti solo dalla Solvay Solexis di Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria
Oggi in Italia non esistono soglie sulla presenza di Pfas nell’aria, negli scarichi industriali e nel percolato. Il limite europeo utilizzato da Arpa Piemonte si riferisce ai rifiuti solidi, mentre il percolato è liquido. Inoltre, nel Regolamento europeo i Pfas limitati sono quattro e tra questi non figurano i due prodotti da Solvay ad Alessandria. “Per la classificazione dei rifiuti non esistono limiti di concentrazione riferibili ai Pfas – spiega la dottoressa Valeria Frittelloni, responsabile del Centro nazionale dei rifiuti e dell'economia circolare di Ispra –. Il percolato di discarica andrebbe captato e avviato ad impianti di depurazione idonei alla riduzione del carico inquinante. In ogni caso lo smaltimento dei rifiuti liquidi in discarica è vietato.
Dal 2009 Arpa monitora i Pfas nelle acque sotterranee e di superficie a ridosso dello stabilimento Solvay Solexis, registrando numeri altissimi nel torrente Bormida, dove scarica il polo chimico. E altrettanto elevate sono le concentrazioni presenti nell’aria respirata da 7mila persone che risiedono vicino al polo chimico. Raggiunta al telefono, la direttrice di Arpa Alessandria Marta Scrivanti ha spiegato: “Abbiamo deciso di cercare nei percolati delle discariche alessandrine alcuni Pfas, tenendo a mente che il composto cC6O4 e la miscela Adv sono solo di Solvay”.
Nell’Alessandrino la concentrazione del composto è pari a 2 microgrammi per litro, mentre a Torino sono state analizzate cinque discariche e in una di queste, Baricalla nel comune di Collegno, il percolato ha una concentrazione record di 282 microgrammi. Il cC6O4, è bene ricordarlo, non viene utilizzato direttamente nei prodotti quotidiani, ma nelle fasi di lavorazione di alcune sostanze chimiche finali, come il Teflon, che fino al 2013 era realizzato con il Pfoa, il “papà” del cC6O4, messo al bando nel 2013. Com’è possibile allora che tale composto si trovi nella discarica torinese in concentrazioni così alte?
I Pfas sono presenti in quasi tutti i prodotti quotidiani: rendono impermeabili le giacche e le borse, antiaderenti le padelle e resistenti all’acqua i cosmetici. Il fine vita di questi prodotti è quindi anche quello dei Pfas: le discariche urbane, diventano così un problema ambientale e sanitario. I composti perfluoroalchilici sono considerati forever chemicals (impossibili da smaltire in natura) e, dal 2016, interferenti endocrini (pericolosi per il nostro sistema ormonale, in quanto provocano patologie a danno della tiroide e altri organi). La più grande contaminazione da Pfas in Europa è in Veneto, dove le acque potabili di tre province sono state inquinate dalla ditta Miteni, che per quasi un decennio ha prodotto il cC6O4 nato alla Solvay di Alessandria.
I Pfas rendono impermeabili le giacche e le borse, antiaderenti le padelle e resistenti all’acqua i cosmetici
Il decreto per le acque potabili appena presentato dal ministero della Transizione ecologica, prevede in Italia di fissare un valore limite per questo composto. In Europa, invece, si sta discutendo la messa a bando dell’intera famiglia dei Pfas, oltre 5mila, sia per quanto riguarda la produzione sia per quel che concerne il loro utilizzo. L’ostacolo da superare sono le aziende: i Pfas sono molti redditizi, basti pensare che il 60 per cento del fatturato della produzione alessandrina di Solvay dipende da questa sostanza.
In un studio preliminare realizzato dall’ex deputato Alberto Zolezzi, componente per due legislature della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli illeciti ambientali, sono stati tracciati i Codici europei dei rifiuti (Cer) di Solvay. Per cinque anni, dal 2015 al 2019, l’azienda ha spedito i rifiuti di produzione Pfas a società in provincia di Treviso, Alessandria, Cuneo e Pisa.
“Abbiamo provato a cercare i rifiuti tramite alcuni codici – spiega l’ex parlamentare – perché il problema ulteriore dei Pfas è capire in quale codice sono inseriti”. I codici considerati quindi non sono sufficienti a tracciare tutte le sostanze lavorate. Le società trovate da Zolezzi potevano stoccare ma non smaltire i rifiuti Pfas. La sola strada per distruggere i composti prevede l’utilizzo del termovalorizzatore, che li brucia a oltre 1400 gradi rendendoli non pericolosi. È ciò che aveva fatto Miteni, che per quasi dieci anni ha lavorato il cC6O4 per conto di Solvay.
Processo Pfas: Miteni inquina e incassa l'assicurazione
Fino al fallimento avvenuto alla fine del 2018, Miteni ha smaltito i rifiuti di questo composto, senza averlo mai denunciato, come prevede la Direttiva Seveso, alle istituzioni territoriali che dovevano monitorare la presenza di tutte le lavorazioni chimiche della società. Chiusa Miteni, Solvay si è ripresa tutta la produzione del cC6O4, inclusi i suoi rifiuti. Ma come tratta Solvay i rifiuti Pfas? Non avendo accesso all’autorizzazione ambientale completa, riportiamo le parole dell’azienda: "Solvay intende comunque precisare che i rifiuti del sito di Spinetta Marengo non solo vengono smaltiti secondo quanto previsto dalle autorizzazioni ambientali e dalla normativa vigente ma anche andando ben oltre i requisiti minimi di legge, spesso affrontando elevate spese di smaltimento come l’incenerimento”. Attualmente l’
Perché quindi 282 microgrammi per litro di cC6O4 sono a Torino, contro una media di altri Pfas ritrovati di circa 4 microgrammi? “Ormai queste sostanze sono ubiquitarie, sono entrate in tutte le matrici e dobbiamo cercare di proteggere al meglio l’ambiente. Purtroppo le autorizzazioni ambientali delle discariche non prevedono specifiche normative per i soli Pfas”, conclude Scrivanti.
L’autorizzazione ambientale del sito Solvay è in fase di rinnovo in quanto scaduta a fine 2021
Secondo Pietro Paris, ex responsabile della Sezione sostanze pericolose di Ispra, per oltre dieci anni membro del comitato Rac dell’Echa e relatore di una delle più ampie restrizioni dei Pfas finora approvate, “il problema continua con la mappatura dei fanghi di depurazione, che contengono il percolato. Finiscono nei depuratori, ma anche nei campi agricoli e quindi di nuovo nell’ambiente”.
Nel 2019 Arpa Piemonte, grazie alla collaborazione con i colleghi del Veneto, in due monitoraggi eseguiti al depuratore urbano di Cannobio, sul Lago Maggiore, in provincia di Novara, ha trovato concentrazioni elevate di cC6O4. Già nel 2017 Arpa Veneto aveva analizzato i Pfas nel percolato di 56 discariche, dividendo in tre classi i risultati ottenuti. Lo stesso procedimento è stato adottato da Arpa Piemonte, che ha tranquillizzato Solvay sul superamento dei limiti. In una nota della società si legge: “Le concentrazioni riscontrate nei percolati analizzati non superano i limiti del Regolamento Pops” (Persistent organic pollutants), che è la categoria di appartenenza dei Pfas”.
Arpa Veneto chiuse la sua relazione sottolineando che “ogni gestore di discarica dovrà effettuare analisi dei pozzi di percolato ogni tre mesi, per almeno tre anni e comunicare in quale classe ricadono i risultati. Inoltre è d’obbligo per il gestore di effettuare la valutazione analitica dei rifiuti in ingresso per Pfos e altri Pfas in tutti i prodotti che potenzialmente potrebbero contenere tali composti”. Dal 2017 il Veneto ha quindi obbligato di effettuare analisi ogni tre mesi per il percolato e autodenunciare possibili Pfas.
Solvay di Alessandria: due dirigenti rischiano il processo
A Trento, l’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente (Appa) ha segnalato alte concentrazioni di Pfas all’uscita del depuratore di Linfano, località nel comune di Arco, che alimenta il Lago di Garda. Nelle settimane scorse Appa ha risposto all’inchiesta del giornalista Andrea Tomasi, che su Il Nuovo Trentino ha pubblicato i risultati delle analisi effettuate nel 2019, con 8mila nanogrammi per litro di Pfas nel percolato della discarica di Maza, che finiva al depuratore. In un Consiglio comunale aperto tenutosi a fine marzo, il dirigente Appa Antonio Rampanelli ha spiegato che la presenza di Pfas nel percolato era “eccezionale”, dovuta probabilmente alle tante pentole antiaderenti smaltite dalla popolazione.
A Trento l’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente (Appa) ha segnalato alte concentrazioni di Pfas all’uscita del depuratore di Linfano, località nel comune di Arco, che alimenta il Lago di Garda
Per le agenzie regionali che monitorano Piemonte e Trentino è quindi normale che i Pfas si trovino in discarica, che finiscano nei depuratori e alimentino fiumi e laghi. “Dobbiamo ascoltare l’Europa, che in queste settimane ha aperto alla consultazione pubblica la proposta di restrizione e messa a bando per l’intera produzione e utilizzo di Pfas. Non deve passare l’idea che sia normale trovare i Pfas nel nostro ambiente. Sono sostanze senza soglia, troppo pericolose per tutti noi”, conclude Paris.
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