Carcere di Torino (Foto M. Panzarella)
Carcere di Torino (Foto M. Panzarella)

Carcere di Torino, inizia il processo sulle presunte torture. Gli imputati non accettano riprese

A due anni dal rinvio a giudizio e a un anno dalla richiesta delle parti civili di anticipare la data della prima udienza per la possibile prescrizione dei reati, è iniziato oggi il processo che vede 22 agenti di polizia penitenziaria accusati di aver torturato i detenuti dal 2017 al 2019. Gli imputati negano alla Rai il permesso di filmarli

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoRedattrice lavialibera

4 luglio 2023

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"Non acconsento". Negando le riprese, è iniziato oggi il processo per le presunte torture commesse nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino dagli agenti di polizia penitenziaria, durate tre anni: dal 2017 al 2019. Quasi tutti gli imputati in aula non hanno autorizzato le telecamere Rai a filmarli. Erano molti gli agenti presenti, mentre si notava l'assenza dell'ispettore Maurizio Gebbia: l'ex coordinatore della sezione dove si sarebbero verificati gli episodi e a cui – secondo la ricostruzione dell'accusa – farebbe capo la regia delle violenze.

Prima udienza fissata a due anni dal rinvio a giudizio e a un anno dalla richiesta delle parti civili di anticiparne la data per la possibile prescrizione dei reati, respinta dall'allora presidente della terza sezione penale del tribunale di Torino, Marcello Pisanu. Un ritardo già denunciato da lavialibera e ancora più significativo considerato che, dopo un breve periodo di sospensione, alcuni agenti sono rientrati in servizio venendo persino a contatto con le presunte vittime.

Le torture non sono urgenti. E gli agenti tornano in servizio

Il ritardo e il processo parallelo

"Siamo dispiaciuti", rimarca a lavialibera Francesca Fornelli, avvocata della Garante dei diritti delle persone private della libertà personale della città di Torino, Monica Gallo, che si è costituta parte civile, insieme al garante nazionale, regionale, all'associazione per i diritti dei detenuti Antigone, e a sette persone offese. "Una data così lontana nel tempo rischia di pregiudicare l’accertamento stesso delle responsabilità dei soggetti coinvolti, visto che alcuni episodi si sono verificati nel 2017”.

Le 11 vittime si trovavano nel padiglione C, quello destinato anche ai cosiddetti sex offender, cioè gli autori di reati sessuali. A loro, stando alle carte dell’inchiesta, l'ispettore Gebbia e gli agenti riservavano pestaggi e umiliazioni

In 22, tra agenti di polizia penitenziaria e sindacalisti dell’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp), hanno scelto il rito ordinario. Invece, a optare per il rito abbreviato, la cui prossima e forse ultima udienza è fissata il 14 luglio 2023, sono stati in tre: Domenico Minervini, ex direttore del carcere, e l'allora comandante degli agenti di polizia penitenziaria Giovanni Battista Alberotanza. Entrambi sono accusati di omessa denuncia e favoreggiamento. Tra gli agenti, l'unico ad aver adottato questa soluzione è Alessandro Apostolico che con "violenze gravi" e "crudeltà" avrebbe provocato "acute sofferenze fisiche" a un detenuto e poi l'avrebbe minacciato per assicurarsi l'impunità. Il pubblico ministero Francesco Pelosi ha chiesto un anno di carcere per Minervini, un anno e due mesi per Alberotanza e quattro anni per Apostolico.

L'inchiesta sulle presunte torture

L’inchiesta è partita grazie alle segnalazioni di Gallo, venuta a conoscenza di ripetuti episodi di violenza e dell’uso improprio di alcune celle per isolare i detenuti che davano segno di scompenso psichico, quando in questi casi l’istituto penitenziario del capoluogo piemontese dispone di una sezione ad hoc. La gran parte delle vittime, in totale 11, si trovava nel padiglione C, quello destinato anche ai cosiddetti sex offender, cioè gli autori di reati sessuali. A loro, stando alle carte dell’inchiesta, l'ispettore Gebbia e gli agenti riservavano pestaggi e umiliazioni.

Le parti civili: "Impossibile che i vertici non sapessero"

Il reato di tortura è stato introdotto nel nostro ordinamento nel 2017, dopo un iter travagliato durato quattro anni. Il provvedimento, frutto della sintesi di 11 diverse proposte di legge, ha diviso le forze politiche: promotore ne è stato il Partito democratico che si è scontrato con l'opposizione della destra. In primis di Lega e Fratelli d'Italia che hanno giudicato la legge punitiva nei confronti delle forze dell'ordine, nonché limitante per il loro operato. La norma prevede la reclusione da quattro a dieci anni per chiunque, con violenze o minacce gravi o con crudeltà, provochi a una persona privata della libertà o affidata alla sua custodia "sofferenze fisiche acute" o un trauma psichico verificabile. La pena sale da cinque a 12 anni se a commettere il reato è un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio. Nel 2021 ci sono state le prime sentenze per gli agenti penitenziari: il 15 gennaio un poliziotto è stato condannato a tre anni di reclusione per aver ammanettato e pestato un detenuto dopo averlo costretto a inginocchiarsi durante una perquisizione. Il 17 febbraio è stata la volta di dieci agenti responsabili di un "brutale pestaggio" a San Gimignano che ha avuto per vittima un tunisino.



 

Una situazione di cui i vertici della casa circondariale erano a conoscenza. Ad avvertire Minervini, rimosso dopo le accuse, era stata Gallo. Ma, una volta informato, l'ex direttore aveva aiutato gli “agenti coinvolti ad eludere le investigazioni dell’autorità, omettendo di denunciare i fatti di cui era venuto a conoscenza”, scrive il pm nella richiesta di rinvio a giudizio presentata a luglio 2021.  

Stesso modus operandi adottato anche dall’ex comandante Giovanni Battista Alberotanza, accusato di aver anche lui aiutato gli “agenti coinvolti ad eludere le investigazioni delle autorità, omettendo di denunciare i pestaggi e le altre vessazioni”, ma non solo: ha condotto “un’istruttoria interna dolosamente rivolta a smentire quanto accaduto”. Alberotanza – si legge sempre nella richiesta di rinvio a giudizio – era stato informato dell’indagine avviata dalla procura di Torino dai due sindacalisti: Leo Beneduci e Gerardo Romano. Grazie a loro, Alberotanza aveva saputo di avere il telefono sotto controllo per un’inchiesta sui pestaggi all’interno del Lorusso-Cutugno.

La difesa dell'ex direttore: "Segnalazioni troppo generiche"

Le parti civili: "Impossibile che i vertici non sapessero"

"Non ho avvertito l'autorità giudiziaria perché le segnalazioni erano troppo generiche", è stata questa la difesa di Minervini in aula. La stessa di Alberotanza, che ha detto di essere venuto a conoscenza dell'inchiesta condotta dalla procura di Torino solo il giorno dell'arresto degli agenti, quando tutti all'interno dell'istituto "sono rimasti sorpresi", negando di essere stato informato dai sindacalisti. Ha anche sostenuto di non aver avuto notizia di abusi, se non in riferimento a un singolo episodio: un detenuto fatto rimanere in piedi davanti a un cancello contro la sua volontà.

"Non ho denunciato all'autorità giudiziaria perché le segnalazioni che avevo ricevuto erano troppo generiche" Domenico Minervini - ex direttore Lorusso

Una ricostruzione contestata dalle parti civili, che hanno ribadito: "Impossibile che i vertici non sapessero: hanno scelto di proteggere gli agenti a discapito del rispetto dei diritti dei detenuti". Gli avvocati dei due Garanti, Davide Mosso e Roberto Capra, hanno anche ricordato la valenza del processo che il legale Mosso ha definito "estremamente importante", precisando che "a 50 anni di distanza dal processo a Giorgio Coda, vice direttore del manicomio di Collegno e direttore della struttura psichiatrica per bambini Villa Azzurra, imputato per maltrattamenti, ci troviamo a fare un processo sull’altra istituzione totalitaria della città: il carcere". Nella lente, ci sono ripetuti episodi di violenza che, per Capra, hanno leso la dignità dei detenuti ed erano caratterizzati dalla gratuità, cioè prescindevano dal comportamento dei reclusi in istituto, tanto "che gli agenti si erano preoccupati persino di ottenere le carte processuali dei reclusi, in modo da poterli insultare meglio".

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