30 giugno 2023
l Pnrr stanzia quasi 19 miliardi e mezzo di euro per potenziare i servizi di istruzione, dagli asili nido fino alle università. Gli investimenti riguardano voci di spesa molto diverse tra loro: dalla costruzione e messa in sicurezza di nuove scuole, mense e palestre, all’aumento di posti negli asili nido e materne, dalla formazione dei docenti, alla riduzione dei divari territoriali e il rafforzamento degli istituti tecnici superiori. Una delle voci più importanti va sotto l’etichetta di piano Scuola 4.0, che assegna oltre due miliardi di euro alla digitalizzazione degli istituti. In buona sostanza, si tratta di un massiccio piano di investimenti che farà entrare in aula abbondanti dotazioni tecnologiche, e che ha suscitato più di una perplessità tra docenti e studenti. "Ci insegnano a fare le storie su Instagram come la Ferragni", è la provocazione, riportata dai giornali, di una studentessa del liceo Albertelli di Roma, il cui consiglio di istituto ha bocciato due progetti proposti dalla dirigenza scolastica nell’ambito del Piano, rinunciando a un finanziamento di circa 300mila euro.
La tecnologia bene comune, contro le disuguaglianze digitali
"Se ci fosse un’idea precisa del tipo di istruzione che si vuole offrire, anche l’uso dell’informatica sarebbe più chiaro; invece nascono posizioni contrapposte"Maria Chiara Acciarini - Già sottosegretaria nel governo Prodi II
Stando alla lettera del Pnrr, l’obiettivo di Scuola 4.0 è "la trasformazione delle classi tradizionali in ambienti innovativi di apprendimento e nella creazione di laboratori per le professioni digitali del futuro", cui si somma, con investimenti mirati, "un ampio programma di formazione alla transizione digitale di tutto il personale scolastico". L’idea di realizzare ambienti di apprendimento non tradizionali si aggancia a un dibattito pedagogico che va avanti ormai da decenni e risponde a disposizioni e raccomandazioni maturate in seno all’Unione europea, sull’innovazione delle pratiche didattiche, della fruizione degli spazi e delle relazioni tra alunni, tra alunni e professori e tra professori e dirigenti.
Sul punto, però, il Piano affida "al dirigente scolastico per l’aspetto organizzativo e ai docenti per l’aspetto didattico", nonché al "coinvolgimento attivo dell’intera comunità scolastica", il "processo di transizione verso un più efficace modello informativo ed educativo ", senza fornire indicazioni ulteriori.
Il cronoprogramma prevedeva, entro fine giugno 2023, che fossero individuati i soggetti affidatari di forniture e servizi, ma "i presidi mi sembrano tutti in grande affanno " fa notare Maria Chiara Acciarini, ex insegnante, preside e sottosegretaria del ministero della famiglia nel governo Prodi II. La spiegazione avanzata da Acciarini è semplice quanto risalente nel tempo: "Nel nostro Paese non c’è un indirizzo preciso sulla scuola; servirebbero delle linee guida o un piano complessivo di cosa si vuole fare della scuola pubblica, su cui si deve investire moltissimo, ma sapendo dove si vuole andare", spiega. "Se ci fosse un’idea precisa del tipo di istruzione che si vuole offrire, anche l’uso dell’informatica sarebbe più chiaro; invece, nell’incertezza, nascono posizioni contrapposte tra chi pensa che il digitale sia la soluzione a tutto e chi al contrario lo demonizza. E avere un corpo insegnante avanti negli anni non giova".
Sei un insegnante? Abbonati a lavialibera usando la Carta del docente
Sulla carta, Scuola 4.0 intende proiettare il mondo della scuola italiana nell’istruzione "del futuro". Eppure, questa massiccia opera di digitalizzazione sta suscitando molto malcontento. A destare perplessità sono vari aspetti: dalla poca libertà lasciata alle scuole nel modellare risorse che impattano direttamente sulla didattica, all’accusa di svilimento della libertà di insegnamento, dall’introduzione di un elemento di classificazione dei docenti basato sul livello di alfabetizzazione digitale, all’eccessivo sbilanciamento verso le esigenze del mondo del lavoro. E c’è anche chi fa notare che Scuola 4.0 veicolerà tantissimi soldi nelle tasche delle grandi multinazionali che producono dispositivi e software digitali, con un moltiplicarsi anche dei dubbi e dei problemi legati al trattamento dei dati personali di studenti e docenti.
La scuola è fatta al 90 per cento di lavoro delle persone, eppure il Piano si concentra soprattutto sull’acquisto di attrezzature e interventi materiali, investendo molto meno sul fattore umano. Proprio la dimensione che, in particolare dopo il covid, manifesta crescenti segni di sofferenza, che riguarda ragazze e ragazzi, ma anche il corpo docente. Si teme che l’inserimento di ulteriore mediazione digitale e tecnologica crei ulteriori distanze, riducendo le comunicazioni in presenza tra insegnanti e alunni e il contatto che a queste si associa.
Internet: bene comune e diritto umano
"Il Pnrr non parla mai di pc e tablet, ma di robotica, automazione, intelligenza artificiale, ecosistemi di apprendimento; non dà ricette ma chiede di sperimentare una scuola in tensione per il cambiamento"Alfonso D'Ambrosio
Il Piano, ideato dal governo di Mario Draghi e ora in mano a quello di Giorgia Meloni, intende trasformare almeno 100mila aule delle scuole primarie e secondarie, di primo e secondo grado, in "ambienti innovativi di apprendimento", immaginando una continuità tra reale e virtuale e "nuove esperienze didattiche immersive" attraverso l’utilizzo del metaverso, ribattezzato eduverso.
"Il Pnrr non parla mai di pc e tablet, ma di robotica, automazione, intelligenza artificiale, ecosistemi di apprendimento; non dà ricette ma chiede di sperimentare una scuola in tensione per il cambiamento". Alfonso d’Ambrosio, già docente di matematica e fisica e da alcuni anni dirigente scolastico dell’istituto comprensivo Lozzo Atesino, sui colli euganei, nonché formatore di altri insegnanti sull’uso delle tecnologie per la didattica, si inserisce senza dubbio nel novero dei convinti (ma non acritici) fautori della digitalizzazione della scuola. Non è un caso che la sua scuola sia considerata un riferimento per quanto riguarda l’innovazione e sia meta di visite quotidiane da parte di colleghi provenienti da tutta Italia. Collegio docenti nel bosco, valutazione narrativa, misurazione della felicità interna lorda, robotica educativa: sono solo alcuni dei suoi cavalli di battaglia.
Nei piani del Pnrr per la scuola, D’Ambrosio intravede l’occasione per il mondo dell’istruzione di reinventarsi. La parola chiave, dal suo punto di vista, è comunità, perciò ritiene insensata l’opposizione tra fautori e oppositori del digitale. "Le tecnologie – sostiene il dirigente – non migliorano e non peggiorano il processo di apprendimento; quello che migliora è una buona progettazione di quegli strumenti". Il tema, semmai, è quello della capacità delle scuole di trasformare in realtà la visione pedagogica che il Piano adombra, fatta di richiami alle esperienze della scuola democratica. "Penso che il vero problema sia nella difficoltà di tutto il sistema, a iniziare dalle famiglie e una parte del corpo docente, a pensarsi comunità. L’insegnante si vede professionista all’interno della classe e non è abituato a pensarsi professionista all’interno di un’organizzazione".
La seconda missione del Piano riguarda l’investimento sulla formazione degli studenti per "le professioni digitali del futuro", tra cui figurano intelligenza artificiale, cybersicurezza, design 3D/4D. Lo slittamento dell’istruzione, da spazio di formazione della persona a spazio di formazione professionale, avviato almeno dagli anni Duemila e sempre più marcato, è la seconda delle ragioni di critica a Scuola 4.0. "Si confondono continuamente i due piani – sottolinea Acciarini –, invece deve essere chiaro che a scuola si fa istruzione; non è fra i suoi compiti formare lavoratori specializzati, e anche se volesse farlo non ci riuscirebbe, perché ha tempi e un’organizzazione che non gli consentono di stare dietro ai cambiamenti del mondo delle professioni".
Proprio questo è stato uno dei temi sollevati dal consiglio d’istituto del liceo Albertelli di Roma, dove un buon numero di studenti, genitori e insegnanti ha bocciato i progetti presentati dalla dirigenza, che prospettavano, tra l’altro, "laboratori per diventare curatori di playlist". In un comunicato affidato alla stampa, i genitori motivano il loro dissenso ricordando che "il progresso tecnologico richiede una sempre maggiore complessità e profondità, e un pensiero critico che si nutre di conoscenza disinteressata. Solo con più cultura si può usare la tecnologia per il bene comune e i mezzi tecnici possono restare tali e non trasformarsi in 'fini'. La Scuola 4.0 invece, non riconosce questo impianto formativo e mira solo a competenze parcellizzate, finalizzate a lavori estremamente specifici". Nel documento, poi, le famiglie del liceo romano ("tra noi ci sono ingegneri, informatici, fisici, matematici, ma anche insegnanti, operatori sociali, lavoratori autonomi, impiegati e operai") riportano un loro elenco di urgenze della scuola pubblica, quelle su cui investire subito soldi ed energie: "Le classi pollaio, lo stato dell'edilizia scolastica, la mancanza sistematica di personale docente e Ata che rende impossibile la didattica e i percorsi di inclusione, per nominare solo le prime della lista e non entrare nel merito dei processi di aziendalizzazione della scuola".
Oltre sei miliardi di euro per evitare nuovi drammi
Pare evidente che nella realizzazione di Scuola 4.0 il vero discrimine sarà determinato dal modo con cui dirigenti e personale scolastico sapranno o saranno nelle condizioni di progettare un utilizzo adeguato di tutta questa tecnologia. Questione che richiama carenze mai del tutto risolte. "Esistono insegnanti impegnati che lavorano bene, eppure la scuola italiana non garantisce gli stessi standard per tutti". Acciarini lo ritiene un punto focale: "Tutti i ragazzi e le ragazze dovrebbero poter ricevere la stessa istruzione. Spesso non si tratta di carenza nel sapere del personale docente, ma dell’incapacità di trasmettere la propria preparazione: sono metodi e tecniche che si possono imparare".
Già l’utilizzo dei fondi destinati alle carenze infrastrutturali mostra un forte divario tra scuole e territori. L’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel mezzogiorno (Svimez) ha provato a capire, numeri alla mano, quanto effettivamente il Piano istruzione stia aiutando il Sud a recuperare terreno. I risultati emersi non sono incoraggianti. "Sebbene la ‘quota Sud’ sia stata rispettata – si legge nel rapporto –, gli enti territoriali delle tre regioni meridionali più popolose, Sicilia, Campania e Puglia, hanno avuto accesso a risorse pro capite per infrastrutture scolastiche inferiori alla media italiana, nonostante le marcate carenze nelle dotazioni che le contraddistinguono".
Anche all’interno delle singole regioni, la distribuzione dei fondi ha finito per penalizzare proprio le aree più arretrate. Il meccanismo si è inceppato in due punti. Nella fase di assegnazione delle risorse alle Regioni, che non ha sempre seguito i criteri di fabbisogno e, successivamente, nella fase di distribuzione ai singoli enti territoriali, quando i fondi non sono stati interamente destinati. Il fenomeno si è verificato con particolare evidenza proprio nel meridione. Il caso più eclatante è quello che ha riguardato la Campania, in riferimento ai fondi per le mense: a fronte di circa 80 milioni disponibili, sono stati approvati progetti per soli 18 milioni. Poco meglio ha fatto la Sicilia, che di fondi ne aveva 83 milioni e ne ha spesi solo 47. Con queste premesse, è difficile immaginare che non si ripresenti la stessa situazione di squilibrio territoriale e sociale anche sulla distribuzione ed effettivo buon utilizzo di dotazioni tecnologiche. Chi saprà o potrà andrà avanti nella creazione di ambienti di apprendimento innovativo, mentre gli altri continueranno ad arrancare. Con buona pace di una giusta ripartizione del Piano Scuola 4.0 e della uguale digitalizzazione dell’istruzione italiana.
La missione 4 del Pnrr, istruzione e ricerca, vale quasi 31 miliardi di euro:
Nella macrovoce infrastrutture si va dalla costruzione di nuove scuole (213, per un totale di 1,2 miliardi di euro) alla messa in sicurezza e riqualificazione di quelle esistenti (3,9 miliardi); dall’incremento dei posti negli asili nido e nelle materne (circa 4,6 miliardi) a quello di mense e palestre (circa 1 miliardo); dall’aumento del tempo pieno (0,4 miliardi) al potenziamento delle infrastrutture digitali (2,1 miliardi). E ancora, dalla formazione dei docenti (0,8 miliardi) al potenziamento delle materie Stem (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) e delle competenze multilinguistiche (1,1 miliardi). Per quanto riguarda, invece, l’area delle competenze, si fa riferimento alla digitalizzazione della didattica (800 milioni) agli interventi su parità di genere, materie Stem e multilinguismo (1,1 miliardi); dalla riduzione dei divari territoriali (1,5 miliardi) alla riforma degli Istituti Tecnici Superiori (1,5 miliardi), fino all’estensione del tempo pieno (360 milioni).
La tua donazione ci servirà a mantenere il sito accessibile a tutti
Record di presenze negli istituti penali e di provvedimenti di pubblica sicurezza: i dati inediti raccolti da lavialibera mostrano un'impennata nelle misure punitive nei confronti dei minori. "Una retromarcia decisa e spericolata", denuncia Luigi Ciotti
La tua donazione ci servirà a mantenere il sito accessibile a tutti