14 settembre 2023
Nel mese di agosto si è consumata tra Torino e Roma una vicenda politica piuttosto surreale, intorno al blocco dei veicoli diesel Euro 5 previsto dalla Regione Piemonte a partire dal 15 settembre. Date le sue ripercussioni ambientali e sociali, vale la pena ricostruire la genesi e lo sviluppo di questa decisione, che avrebbe dovuto riguardare circa 140mila automobilisti.
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L’Italia è già stata condannata tre volte dalla Corte di Giustizia europea per il mancato rispetto della direttiva comunitaria sulla qualità dell’aria, e in tutti questi casi i superamenti sistematici dei limiti di legge nell’area metropolitana torinese sono stati una delle ragioni della condanna. Nel 2020, il governo italiano ha chiesto a tutte le regioni interessate di predisporre dei piani per ridurre l’inquinamento dell’aria nel più breve tempo possibile: nel febbraio 2021 la Regione Piemonte ha preparato una delibera contenente una serie di misure per ridurre le emissioni, tra le quali la decisione di anticipare il blocco dei veicoli diesel Euro 5 di due anni, dal 2025 al 2023.
L’Italia è già stata condannata tre volte dalla Corte di Giustizia europea per il mancato rispetto della direttiva comunitaria sulla qualità dell’aria
Una misura che senza dubbio ha ripercussioni sociali ed economiche rilevanti per i cittadini. Nonostante ciò, la Regione non ha fatto nulla per oltre due anni, né per informare tempestivamente tutti gli interessati, né per favorire la sostituzione dei veicoli. Solo a fine giugno ha finalmente diramato le istruzioni di dettaglio per la messa in pratica della misura scatenando, come prevedibile, le reazioni rabbiose degli interessati, che avrebbero dovuto trovare una soluzione per i loro spostamenti nel giro di poche settimane, con un impegno economico piuttosto rilevante.
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Di fronte alle comprensibili proteste si sono quindi mobilitate le forze politiche che governano sia a livello nazionale che regionale, ed è partita una gara per la primogenitura della “soluzione” al problema tra il ministro dell’Ambiente, quello delle Infrastrutture e il ministro delle Attività produttive. Il problema – come il ministro Matteo Salvini ha spesso ripetuto – è stato generato non da Bruxelles ma da Torino e, in particolare, dall’imprevidenza dell’assessore regionale all’Ambiente del suo stesso partito, Matteo Marnati.
Ma in cosa consiste la “soluzione” contenuta nel decreto legge del 7 settembre? Sostanzialmente, si tratta di rimandare il blocco dei diesel Euro 5 al 1° ottobre 2024, ovvero dopo le elezioni europee e regionali in Piemonte, e limitarlo solo ai comuni con più di 30mila abitanti, ovvero quelli più di frequente governati dalla parte politica avversa. Su quanto inquinano i veicoli Euro 5 diesel e quanto avrebbe contribuito il loro blocco alla riduzione delle emissioni è difficile esprimersi.
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Infatti, questa è la categoria di mezzi coinvolta nello scandalo dieselgate, ossia la truffa perpetrata ai danni degli automobilisti dalla gran parte delle industrie automobilistiche europee, condannate a risarcimenti miliardari (ma non in Italia). I calcoli sui benefici di questa misura eseguiti da Arpa Piemonte sono con tutta probabilità inaffidabili, in quanto la differenza tra le emissioni dichiarate e quelle reali è molto grande, ed è su quelle dichiarate che Arpa ha fatto i calcoli.
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È del tutto evidente che avere spostato il problema avanti di un anno e aver ristretto la platea dei comuni interessati non risolve il problema. Servirebbe ridurre drasticamente il numero di auto private in circolazione e passare al più presto a un trasporto pubblico efficiente, a una mobilità attiva sicura e a un parco auto moderno e, quanto più possibile, elettrificato.
Servirebbe ridurre il numero di auto private in circolazione, passare a un trasporto pubblico efficiente, a una mobilità attiva sicura e a veicoli elettrificati
Le emissioni di biossido di azoto e di particolato primario Pm10 dal traffico a Torino sono oltre il 70 per cento del totale (almeno secondo i dati ufficiali della Regione, che risalgono a otto anni fa), ed è evidente che senza affrontare questo problema la città non potrà mai rientrare appieno nei limiti di legge e ridurre il numero di morti e malattie che ogni anno interessa tra 1000 e 1400 persone, almeno secondo le perizie eseguite di recente dai consulenti della procura.
La situazione di illegalità ha ripercussioni ambientali ma anche economiche: l’Italia potrebbe, infatti, pagare miliardi di euro di multe all’Unione europea, con le sanzioni destinate a inasprirsi dopo il voto favorevole del parlamento europeo alla nuova direttiva sulla qualità dell’aria, che abbassa i limiti di legge per allinearli alle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità.
La stessa direttiva, inoltre, consente ai cittadini europei di rivolgersi ai giudici nel caso in cui i governi non agiscano in modo efficace per ridurre l’inquinamento atmosferico, al fine di ottenere azioni efficaci e vedere riconosciuti economicamente eventuali danni alla salute. Un quadro di fronte al quale i governi e le amministrazioni dovrebbero cominciare ad agire con serietà e coerenza, guardando all’interesse dei cittadini e del Paese nel lungo termine.
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