Foto di Ilja Nedilko/Unsplash
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Deposito per le scorie nucleari, il piccolo comune piemontese di Bosco Marengo dice no

Nell'aprile 2021 a Bosco Marengo, in provincia di Alessandria, si è costituito un comitato che si oppone alla costruzione del sito in cui stipare i rifiuti radioattivi

Redazione <br> lavialibera

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14 novembre 2023

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Articolo realizzato da Sabrina Ottavis nell'ambito del Progetto FormTOinform, con il contributo di Mindchangers, ideato e realizzato da Gruppo Abele e Casacomune con la supervisione e partecipazione di lavialibera, Cinemambiente e Progetto Ruta

Il 5 gennaio 2021 la società a capitale pubblico Sogin – specializzata nello smantellamento degli impianti nucleari italiani e nella gestione dei rifiuti radioattivi – ha pubblicato la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) a ospitare il deposito nazionale di rifiuti radioattivi, che ha individuato 67 siti in tutta la penisola. Dopo le forti proteste contro la costruzione del deposito nazionale di scorie nucleari avvenute a Scanzano Jonico, in provincia di Matera, è stato ideato un percorso che prevede il coinvolgimento di enti regionali e locali, associazioni e liberi cittadini per stabilire dove sorgerà il luogo adibito a ospitare i rifiuti nucleari. 

Piemonte, nucleare e idrogeno per la transizione ecologica

Si tratta del primo iter in Italia con “metodo volontario”, in cui sono i territori indicati come idonei a proporsi per ospitare il sito. Nell’aprile 2021 a Bosco Marengo, in provincia di Alessandria, una delle aree prescelte, si è costituito un comitato che si oppone alla costruzione del deposito. Due aree presenti nella Cnapi insistono sul comune piemontese: l’area AL1 su Bosco Marengo e Novi Ligure e l’area AL2 su Bosco Marengo e Frugarolo. In provincia di Alessandria sono stati individuati sei degli otto siti presenti in Piemonte che, secondo i dati dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin) del dicembre 2021, ospita l’80 per cento dei rifiuti radioattivi in termini di attività presenti in Italia. 

Un territorio non adatto

Già nello studio del 1995 sulla vocazionalità del territorio alessandrino per lo smaltimento dei rifiuti industriali, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea) non aveva riconosciuto il territorio di Bosco Marengo e Frugarolo come idoneo a ospitare rifiuti industriali. “La popolazione di Bosco Marengo, il comitato, l’amministrazione comunale e quella provinciale sono coese nel dire no ai depositi nel nostro territorio”, spiegano Roberta Tornielli e Piero Mandarino, del comitato Bosco libero. Il gruppo ha commissionato una perizia tecnica e geologica in modo da far emergere “le conclusioni necessarie per sostenere che il territorio non è idoneo a ospitare un impianto di questo tipo”. 

Già nel 1995 Enea non aveva riconosciuto il territorio di Bosco Marengo e Frugarolo come idoneo a ospitare rifiuti industriali

Secondo lo studio, i due siti non sembrano in effetti soddisfare alcuni dei criteri stabiliti dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Tra questi, la pericolosità geomorfologica e idraulica dovuta alla presenza di corsi d’acqua minori, che in passato hanno generato allagamenti. Con il deposito, infatti, aumenterebbe “il deflusso dell’acqua verso il paese e ci sarebbe il minimo assorbimento da parte del terreno”. Inoltre, “un inquinamento della falda nella zona AL1 andrebbe a contaminare i pozzi – quattro tra Bosco Marengo e Frugarolo – che si trovano poco più a valle” e che sono utilizzati per erogare acqua potabile.

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Tra i criteri figura anche l’esclusione di aree caratterizzate dalla presenza di importanti risorse idriche, energetiche e minerarie del sottosuolo.+ati, aspetto oggetto di critiche in quanto, sebbene figuri come criterio di esclusione, non è stato definito da Ispra in termini di distanza. 

Un altro grosso problema è la natura del sottosuolo, dovuto alla discontinuità della superficie di separazione tra l’acquifero profondo, da cui viene attinta l’acqua, e l’acquifero superficiale, rischiando il trasferimento “di sostanze eventualmente inquinanti dalla superficie fino alla falda profonda e questo è confermato da uno studio condotto nel 2018 da Arpa (l’Agenzia regionale per la protezione ambientale), che ha riscontrato la presenza di nitrati e altre sostanze”.

I siti di Bosco Marengo e Frugarolo non sembrano soddisfare alcuni dei criteri stabiliti dall'Ispra, tra cui la pericolosità geomorfologica e idraulica dovuta alla presenza di corsi d’acqua minori, che in passato hanno generato allagamenti

Un tema chiave, però, è sicuramente l’esclusione di aree caratterizzate dalla presenza di attività industriali a rischio di incidente rilevante. “Oltre a delle centrali a biomasse, ci sono delle zone che la stessa Sogin ha evidenziato e che sono a rischio di incidente rilevante. Noi ne abbiamo inserite delle altre che potenzialmente possono essere prese in considerazione”.

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A circa nove chilometri da Bosco Marengo e a sette da Frugarolo è presente il polo industriale produttore di sostanze chimiche gestito dalla Solvey, responsabile dell’inquinamento da Pfas (famiglia delle sostanze poli e perfluoroalchiliche). Il comitato ha sollevato l’attenzione sull’importanza di tenere in considerazione la pressione ambientale a cui i territori sono sottoposti, in modo da escludere aree che ospitano già attività impattanti. 

Una questione politica

Nel 2021 la camera dei deputati ha approvato a larga maggioranza una mozione con la quale impegnava il governo ad adottare iniziative per inserire tra i parametri di valutazione per l’individuazione dei siti idonei l'indice di pressione ambientale nel raggio di 20 chilometri. Nel caso delle aree AL1 e AL2, a influire sul livello di pressione ambientale sono il polo chimico di Spinetta Marengo prima citato, la discarica di Novi Ligure (Al), l'ex impianto Fabbricazioni nucleari (sebbene Sogin abbia avviato la bonifica del sito) nella cui area di rispetto sono stati trovati materiali radioattivi interrati, centrali a biomasse e altre attività industriali come la Metlac, che produce prodotti vernicianti. A oggi però non è stato ancora dato corso alla mozione. 

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Stando ai dati forniti da Isin, al 31 dicembre 2021 erano presenti in Italia circa 32mila metri cubi di rifiuti radioattivi, collocati in 22 impianti. Nel 2012, la commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti ha descritto la situazione relativa alla gestione delle scorie radioattive in Italia come “non ottimale”, denunciando al contempo l’assenza di un sito nazionale dove depositare o smaltire i rifiuti in condizioni di sicurezza, oltre a svariate problematiche legate agli attuali centri di raccolta.

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Per capire i ritardi nella costruzione del deposito è necessario fare un passo indietro. Nel 2003 il consiglio dei ministri ha deciso che Scanzano Jonico, in Basilicata, avrebbe dovuto ospitare il deposito nazionale, provocando una forte opposizione da parte della popolazione locale. Le varie proteste hanno portato al ritiro del decreto legge e, sette anni dopo, alla creazione di un percorso per individuare l’area in cui costruire il deposito con il coinvolgimento di svariati attori.

Nel 2003 il consiglio dei ministri ha deciso che Scanzano Jonico, in Basilicata, avrebbe dovuto ospitare il deposito nazionale, provocando una forte opposizione da parte della popolazione locale

Sebbene la costruzione del deposito fosse prevista per il 2020, oggi ci troviamo tra la terza e la quarta fase: la proposta di Cnai è stata trasmessa da Sogin al ministero dell’Ambiente il 15 marzo 2022, ma non è ancora stata pubblicata. Proprio a causa dei ritardi nella costruzione del deposito, nel 2019 la corte di giustizia dell’Unione europea ha osservato che “la Repubblica italiana, non avendo notificato alla commissione europea il suo programma nazionale per l’attuazione della politica di gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, è venuta meno agli obblighi”, ma senza che venissero applicate sanzioni pecuniarie. Il rischio relativo al non scegliere è quello di continuare a impiegare risorse per far custodire i rifiuti all’estero e per il decommissioning, ossia le azioni di decontaminazione, smontaggio e rimozione delle strutture e componenti di un impianto nucleare al termine del proprio ciclo produttivo.

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Per la prima volta in Italia è previsto un percorso di candidatura non vincolante e volontaria per gli enti regionali e locali disposti a ospitare l’infrastruttura per evitare quanto successo nel 2003 a Scanzano Jonico. Tuttavia, potrebbero non esserci autocandidature o, qualora presenti, è possibile che gli enti si ritirino, vanificando gli sforzi compiuti. L’iter prevede che in questo caso Sogin promuova trattative bilaterali con le regioni idonee e, in caso di mancata intesa, convochi un tavolo interistituzionale per cercare una soluzione condivisa. 

La posizione di Trino Vercellese

Potenzialmente controversa potrebbe essere la questione compensazioni, che seppur necessarie non devono essere il principale fattore di legittimazione dell’autocandidatura e del sacrificio. Permettono, infatti, di influire sul bilancio comunale, ma difficilmente i singoli cittadini riusciranno a immaginare che da esse ne possano scaturire benefici tangibili diretti. A oggi c’è chi auspica la costruzione del deposito nazionale all’interno del proprio comune, come nel caso del sindaco di Trino Vercellese – dove sono presenti due depositi temporanei nella ex centrale nucleare – Daniele Pane: sebbene non figuri tra i siti potenzialmente idonei, il sindaco ha espresso alla stampa parere favorevole. 

Le compensazioni permettono di influire sul bilancio comunale, ma difficilmente i singoli cittadini riusciranno a immaginare che da esse ne possano scaturire benefici tangibili diretti

Di altro avviso, invece, è il comitato Bosco libero: “Speriamo che vengano recepite le nostre controdeduzioni perché al momento non abbiamo delle risposte chiare, delle risposte certe”, e durante la fase di consultazione pubblica “molti lamentavano delle risposte generiche da parte di Sogin ai vari interventi, alle varie questioni sollevate”. Nel febbraio 2023, i comuni e la Provincia di Alessandria hanno ottenuto un incontro con il ministro dell’Ambiente, il quale ha dichiarato che avrebbe incaricato Sogin di effettuare indagini, sebbene per ora non ci siano stati sviluppi.  Al momento non sono ancora emersi pareri favorevoli da parte dei territori compresi nella Cnapi circa la possibilità di ospitare il deposito.

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