17 gennaio 2024
“È molto pericoloso pensare che chi va a manifestare in maniera non violenta possa ricevere un foglio di via obbligatorio dalle questure solamente per aver esercitato il proprio diritto di dissenso. Questo non solo per le persone che si battono per denunciare la crisi climatica. Chi non vede questo è molto miope.” L’avvocato Roberto Capra, presidente della Camera penale del Piemonte occidentale "Vittorio Chiusano", è preoccupato dalle misure repressive che stanno colpendo i gruppi ambientalisti e che, in generale, cerca di limitare la libertà di espressione e di circolazione.
L’avvocato è intervenuto alla conferenza stampa promossa mercoledì 17 gennaio da Extinction rebellion davanti al Comune di Torino, dopo che negli ultimi mesi molti attiviste e attivisti sono stati sanzionati con provvedimenti, come i fogli di via firmati dai questori, di solito riservati a soggetti pericolosi: "Qua la pericolosità sociale non esiste. Esiste il dissenso. Se ogni dissenso viene valutato come espressione di una pericolosità sociale, dove andiamo a finire? Oggi parliamo di ambiente, ma possiamo parlare di qualsiasi questione". A fare il punto sulla libertà di espressione e di manifestazione sono intervenuti anche l’avvocato Gianluca Vitale, l'ex magistrato Livio Pepino, la professoressa Alessandra Algostino (docente di diritto costituzionale all'Università di Torino) e Roberto Mezzalama, presidente del comitato Torino Respira, che ha promosso una petizione in solidarietà agli attivisti dei movimenti climatici. Mentre l’attivismo viene criminalizzato, a Torino inizia il primo processo in Italia per l’inquinamento atmosferico prodotto dai gas di scarico. “Ci costituiremo parte civile”, annuncia Mezzalama.
Così la polizia criminalizza gli attivisti di Extinction rebellion e Ultima generazione
"Qua la pericolosità sociale non esiste. Esiste il dissenso. Se ogni dissenso viene valutato come espressione di una pericolosità sociale, dove andiamo a finire? Oggi parliamo di ambiente, ma possiamo parlare di qualsiasi questione"Roberto Capra - Avvocato
“Questo trend deve preoccupare tutti – sostiene l'ex pm Pepino –. I fogli di via sono misure sproporzionate rispetto alle azioni che le persone raggiunte da questa misura hanno compiuto”. Secondo la professoressa Algostino, “chi fa sentire il proprio disaccordo mantiene viva la democrazia. Il diritto di riunione è fondamentale, esprime le istanze di partecipazione e pluralismo che ne costituiscono il fondamento e la struttura portante”. L’azione repressiva, secondo Vitale, “serve per mettere paura: se un individuo comincia ad avere un numero corposo di denunce, smetterà di scendere in piazza e anche chi gli sta intorno potrebbe essere dissuaso dal protestare". Le ipotesi di reato sono spesso “fantasiose e infondate, tanto che a volte alcune delle denunce sporte dalla Digos sono state archiviate dalla magistratura inquirente”, facendo direttamente cadere le accuse.
Commissario siccità, la trasparenza resta a secco
“Rischiamo il collasso climatico, le migrazioni climatiche di centinaia di milioni di persone e di fronte a tutto questo alcuni individui che bloccano una strada o si arrampicano su un palazzo per esporre uno striscione sono un’inezia”, ha dichiarato Mezzalama. Le ripercussioni legali per i movimenti si fanno sempre più frequenti, come ha affermato qualche mese fa a lavialibera Michel Forst, relatore speciale Onu sui difensori dell'ambiente. "Servono istituzioni meno populiste e giudici più coraggiosi” per comprendere le vere cause delle azioni che vanno anche contro la legge. Intanto, a Torino due ex sindaci e un presidente di regione sono accusati di non aver protetto i cittadini dall'inquinamento.
Non hanno adottato “misure adeguate a raggiungere il rispetto dei valori limite di concentrazione degli inquinanti previsti dalla normativa vigente”. L’accusa di inquinamento ambientale in forma colposa arriva dai magistrati della Procura di Torino nei confronti dell’ex presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino e di due ex sindaci del capoluogo, Piero Fassino e Chiara Appendino, perché nel periodo preso in considerazione – dal 2015 al 2019 – erano “titolari di una posizione di garanzia in materia di tutela della qualità dell’aria”. Per questo reato la pena prevista è la reclusione da due a sei anni e la multa da 10mila a 100mila euro per “chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativo e misurabile”. La notifica della chiusura dell'indagine è stata mandata il 21 luglio. La procura ha chiesto il giudizio immediato (che salta la fase preliminare), ma il tribunale non ha ancora fissato una data per l'udienza.
L’indagine è partita da un esposto del comitato Torino Respira dell’aprile 2017 per denunciare gli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute pubblica a Torino
L’indagine è partita da un esposto del comitato Torino Respira dell’aprile 2017 per denunciare gli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute pubblica a Torino. Nella denuncia il comitato di attivisti per l'ambiente sottolineavano come nel decennio 2006-2015 nel capoluogo piemontese si sia sempre superato il limite di sforamento giornaliero di Pm10 (il particolato con diametro inferiore a 10 micron), che secondo la normativa non avrebbero dovuto superare 35 giorni all'anno.
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A repentaglio è anche la salute degli abitanti, sottolinea il servizio di epidemiologia dell’Arpa Piemonte, secondo cui “gli effetti sulla salute dell’inquinamento atmosferico nella città di Torino provocano 900 morti l’anno e riducono la speranza di vita dei cittadini di 22,4 mesi”. Per questo, secondo il comitato “le omissioni riscontrate nella gestione del fenomeno atmosferico [...] possono assumere rilevanza penale nella causazione degli eventi lesivi dell’ambiente e dell’incolumità dei cittadini”.
Dal 2022 si è aggiunta una causa civile contro la Regione Piemonte per “riconoscere il diritto del bambino a respirare aria sana e pulita, di accertare le responsabilità della Regione per la violazione dei limiti di legge e di condannarla ad agire per il loro rispetto e al risarcimento dei danni causati”. Al centro della vicenda ci sono Chiara (che preferisce non rendere pubblico il suo cognome) e suo figlio di sei anni che, “dai primi mesi di vita ha avuto gravi problemi di salute, in particolare ai polmoni”. Se si dovesse arrivare alla condanna, sarebbe un precedente importante a livello italiano, che segue alcuni esempi di altri Paesi.
Se si dovesse arrivare alla condanna, sarebbe un precedente importante a livello italiano, che segue alcuni esempi di altri Paesi
Il 16 dicembre 2020, nel Regno unito si è arrivati a una sentenza storica: tra le cause di morte di Ella Kissi-Debrah, morta a nove anni per insufficienza polmonare, c’è anche l’esposizione all’inquinamento”. La bambina viveva insieme alla sua famiglia nel quartiere periferico Lewisham, a 25 metri dalla South circular road, un’arteria principale di Londra con elevati livelli di traffico. Il risultato del processo ha segnato uno spartiacque che può cambiare la percezione anche in Italia di quello che l'epidemiologa ambientale Carla Ancona definisce un "killer invisibile" che, solo nel nostro Paese "uccide migliaia di persone ogni anno".
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