23 maggio 2024
Il 23 maggio del 1992 le lancette dell’orologio di Francesca Morvillo si fermano alle ore 17.58. Quando Cosa Nostra fece esplodere 500 chili di tritolo sull’autostrada al chilometro 5 della A29, all’altezza dello svincolo di Capaci-Isole delle Femmine, nei pressi di Palermo. In una comunicazione non criptata dalla questura, una poliziotta, arrivata sul posto pochi minuti dopo l’attentato dinamitardo che sventrò l'autostrada, dice “Abbiamo l’orologio della signora”. Dopo qualche ora, in una seconda comunicazione, aggiunge “Anche la moglie della nota personalità è deceduta”. La narrazione della moglie senza storia inizia da qui e soltanto negli ultimi anni è cambiata dando a Francesca Morvillo, magistrata a moglie di Giovanni Falcone, il valore che avrebbe sempre meritato: “Per molto tempo non c’era spazio da dedicare al suo ricordo nelle commemorazioni ufficiali”, spiega a lavialibera il fratello Alfredo Morvillo, ex giudice al Tribunale di Palermo. Qualcosa ha cominciato a cambiare solo a partire da 2017. Da allora, a lei sono stati dedicati libri, come Il mio silenzio è una stella scritto da Sabrina Pisu (Einaudi, aprile 2024), e un documentario su Rai Storia.
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Fino a pochi anni fa, il racconto della strage di Capaci ha affidato il ruolo di protagonisti al giudice Giovanni Falcone e gli uomini della sua scorta, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. Sullo sfondo la figura di una donna che aveva perso la vita per una drammatica fatalità. Il suo è stato a lungo un nome da citare in maniera rapida e solo in occasione degli anniversari dell’attentato. Le cronache non se ne occuparono facendo prevalere l'interesse per il prestigio giustamente incarnato dal giudice che aveva intuito prima di altri e decapitato Cosa Nostra con il maxiprocesso di Palermo, il più grande processo penale celebrato in tutto il mondo. Per più di trent’anni la sua è rimasta una figura invisibile, intrappolata subito dalla narrazione pubblica nella definizione di “moglie di”.
Eppure Francesca Morvillo è stata una magistrata di grande spessore professionale, capace di coniugare le esigenze della giustizia con i diritti degli imputati. “Mi ero dato una spiegazione di questo silenzio, che mi aiutava a non polemizzare, e cioè che l’enormità del personaggio di Giovanni Falcone e la grandezza di ciò che aveva fatto con il suo lavoro era tale da coprire tutto ciò che stava intorno a lui”, afferma Alfredo Morvillo.
“Per tanti anni mia sorella è stata la Procura per i minorenni di Palermo, perché era l’unico sostituto. Amava profondamente quello che faceva”Alfredo Morvillo - Fratello ed ex magistrato
Poco si sapeva di lei, se non che fosse magistrata come il marito. Tra i tanti articoli di cronaca sulla strage di Capaci pubblicati sui quotidiani del 24 maggio 1992, soltanto un articolo de L’Unità racconta qualche dettaglio della sua carriera.
Per decenni la sua memoria è rimasta legata al ruolo familiare, misconoscendone qualità umane e capacità professionali. Tutto comodamente sorretto da una società con forti retaggi conservatori e patriarcali in cui fino al 1963 la toga era soltanto per gli uomini, gli unici ritenuti idonei a giudicare con equità. Sono serviti 15 anni dall’entrata in vigore della Costituzione per ottenere l’affermazione del principio di eguaglianza fra sessi nell’accesso in magistratura. La donna non era “indicata per la difficile arte del giudicare. Questa richiede grande equilibrio e alle volte l’equilibrio difetta per ragioni anche fisiologiche”, diceva l’onorevole Antonio Romano (Democrazia cristiana) all’Assemblea costituente dell’11 novembre 1947.
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Francesca Morvillo è stata una tra le prime donne magistrate in Italia e l’unica assassinata dalla mafia: quel 23 maggio tornava a Palermo da Roma dove era in servizio come commissaria per il concorso in magistratura. Estratta viva dall’inferno di Capaci, è sopravvissuta cinque ore prima che il suo cuore smettesse di battere. Aveva 46 anni.
Alla fine degli anni Sessanta la giovane palermitana aveva superato i concorsi per entrare in magistratura. Il primo incarico ad Agrigento, per poi tornare nel capoluogo nel 1971: “Per tanti anni mia sorella è stata la Procura per i minorenni di Palermo, perché era l’unico sostituto – la ricorda il fratello, più giovane di cinque anni –. Tutto il lavoro, il diritto minorile penale e civile, lo faceva lei da sola. Lei amava profondamente quello che faceva e per questo suo enorme impegno era amata da tutti”. Era riuscita a dare un’impronta con la sua visione del concetto di giustizia minorile quando ancora vigeva un codice repressivo di retaggio fascista, solo punitivo.
Pur mantenendo il suo ruolo di sostituto procuratore adottava un metodo innovativo nei confronti dei ragazzi, riusciva a far comprendere che non era lì per giudicare e punire ma per capire innanzitutto e poi per provare ad aiutare, favorendo i percorsi di recupero. Un approccio sensibile, umano, coscienzioso maturato dopo anni di militanza nei luoghi di povertà culturale di Palermo, nel quartiere popolare della Zisa dove come volontaria ha insegnato al doposcuola pomeridiano ai figli dei detenuti.
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“Dopo l’attentato le ricostruzioni assunsero quasi una connotazione di genere. Gli uomini erano stati uccisi nell’adempimento del dovere, la loro morte era eroica, mentre quella della donna avvenne per una ragione privata"Giovanna Fiume - Storica
Era una donna a suo modo rivoluzionaria e coraggiosa, che ha scelto di percorrere strade inconsuete per dirigersi verso l’autonomia e la libertà. La sua emancipazione è passata da un eccellente percorso formativo che ha affrontato con rigore e serietà dimostrando fin da allora di avere un grande senso della giustizia, tenendosi lontana dalla diffusa pratica delle raccomandazioni. Alla facoltà di Palermo, la sua città, all'età di 21 anni aveva conseguito la laurea in Giurisprudenza con 110 e lode discutendo una tesi in cui ci sono già tutti gli elementi che segneranno il suo lavoro di magistrata, l’attenzione per l’uomo e la grande fiducia nella giustizia e nel diritto come strumenti di realizzazione dei valori democratici. “Una tesi all’avanguardia per quel periodo”, la definisce Paola Maggio, professoressa di diritto processuale penale che nel 2016 ha richiamato l’attenzione dell’ateneo palermitano – che aveva solo e sempre celebrato le figure di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, entrambi laureati di quella facoltà – sull’ex studentessa.
Questa ricerca di Paola Maggio ha dato poi avvio a uno studio condotto insieme alla storica Giovanna Fiume e alla scrittrice Cetta Brancato, confluito nella pubblicazione del volume Non solo per amore (Treccani, 2022). Il senso di questo volume – spiega Giovanna Fiume – sta nel volere riconoscere un ruolo pubblico, e non solo quello privato di moglie di Giovanni Falcone, a partire dal suo valore come giurista e magistrata e dall’importanza dei processi che ha contribuito a celebrare, come quello che condannò Vito Ciancimino per i reati legati agli intrecci tra mafia e amministrazione comunale di Palermo. Anche questo lavoro delle tre autrici ha permesso di restituire a Francesca Morvillo il posto che le spetta nella storia: “Nei momenti dopo l’attentato le ricostruzioni assunsero quasi inconsapevolmente una connotazione di genere – prosegue la storica –. Gli uomini erano stati uccisi nell’adempimento del dovere, la loro morte era eroica, degna di essere commemorata, mentre quella della donna, seppure magistrata e vittima della stessa violenza mafiosa, avvenne per una ragione privata: semplicemente accompagnava il marito. A dirla con franchezza, l’immagine di Francesca Morvillo ha faticato a uscire dal cono d’ombra dove l’hanno posta l’indubbia grandezza della figura di Giovanni Falcone, la tragica abnegazione degli uomini della scorta e, infine, il peso politico della strage in questione”.
Alfredo Morvillo ricorda inoltre l’episodio che ha segnato un cambio di rotta della narrazione comune: “Nel 2017 con alcuni colleghi dell’Associazione nazionale magistrati di Palermo abbiamo deciso di rendere omaggio a Francesca. In quell’occasione la poetessa Cetta Brancato scrisse un componimento riuscendo con le parole a compiere una grande opera di memoria. Da allora ha avuto inizio un nuovo corso in cui si parla di Francesca”.
Nel 2022, le commemorazioni del trentennale della strage di Capaci hanno dato nuovi spunti per riscoprire la figura della magistrata palermitana, come l’uscita del romanzo Francesca. Storia di un amore in tempo di guerra, di Felice Cavallaro e il documentario di Rai Storia Francesca Morvillo, donna di legge.
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Per Alfredo Morvillo, la sorella e Giovanni Falcone, che si erano sposati nel 1986, erano uniti non soltanto dai sentimenti: “Hanno condiviso gli stessi ideali e il modo di vivere. È stata sempre vicino a lui pur essendo consapevole dei rischi che correva Giovanni e di conseguenza lei. Non ha mai accettato l’eventualità di stare lontana dal marito per motivi di sicurezza. Nel periodo del fallito attentato dell’Addaura (quando il 21 giugno 1989 furono trovati dei candelotti di esplosivo poco distante dalla casa al mare, ndr), Giovanni ha dovuto faticare per convincere Francesca a restare qualche giorno da sola nell'abitazione di Palermo mentre lui, per dare un segnale di forza, è voluto rimanere nel luogo dove era stato preparato l’attentato”. Francesca Morvillo e suo marito sono stati sepolti insieme nel cimitero di Sant'Orsola fino al 2015, quando il corpo di Giovanni Falcone è stato portato nella chiesa di San Domenico, che raccoglie i feretri di altre personalità illustri di Sicilia. Un anno dopo la sua salma è stata traslata al cimitero dei Rotoli, in una cappella vuota.
La storia della magistrata è stata raccontato anche a scuola e ai più giovani, attraverso libri come Maggio a Palermo – Una storia per Francesca Morvillo di Gilda Terranova, pubblicato da Einaudi Ragazzi. Fiume ci consegna un’immagine legata alla presentazione del suo volume nella scuola primaria di Corleone, paese di Totò Riina, dove lo street artist Andrea Buglisi ha realizzato un murales dedicato a Morvillo: “È stato emozionante vedere tutte le bambine indossare un cerchietto giallo come quello che spicca nell’immagine in bianco e nero che ritrae il volto giovane e sorridente di Francesca. L'attenzione e la cura verso questa storia dovrebbero essere alimentate anche dalla scuola, istituzione che addestra alla conoscenza critica e alla costruzione di una memoria condivisa, in una parola all’esercizio della libertà di pensiero”.
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