1 luglio 2024
"Viva la libertad". È la frase scritta sul muro del salotto di una attivista di Hijos, gruppo che in Argentina raccoglie i parenti dei desaparecidos, gli scomparsi. Gli autori, due uomini che, lo scorso marzo, sono entrati in casa della donna, l’hanno picchiata, violentata e minacciata perché la smettesse di cercare la verità. Poco tempo dopo, un altro membro del gruppo è stato aggredito, sempre in casa. Attacchi che si inseriscono in una lunga serie di minacce verso l’associazione di figli e figlie per l’identità e la giustizia contro l’oblio e il silenzio, che da 30 anni cerca di mettere insieme la memoria personale di migliaia di persone scomparse durante il Processo di riorganizzazione nazionale, la dittatura civile-militare che governò l'Argentina dal 24 marzo 1976 al 10 dicembre 1983.
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Oltre alle difficoltà di ricostruzione degli eventi, chi vuole sapere dove siano stati rapiti e ammazzati i propri cari si scontra spesso con lungaggini burocratiche, ostacoli giudiziari e impunità. Una di loro è Eva Lerouc, a cui hanno ucciso il padre e fatto sparire la madre. Dal 2015 la donna è spesso in Italia per testimoniare contro il colonnello Carlos Malatto, accusato di otto omicidi (fra cui quello del padre di Lerouc). L’uomo da qualche anno si è trasferito in Sicilia, godendo dei benefici della doppia cittadinanza. L’attivista chiede che Malatto risponda davanti alla legge italiana dei delitti che avrebbe commesso dal 1976 al 1983.
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In Argentina il militare rischia l’ergastolo per crimini di lesa umanità, reati riconosciuti dalla Corte penale internazionale, commessi durante una guerra con l’intenzione di colpire la popolazione civile. Per Lerouc, "la dittatura, attraverso l’ordine e la durezza, sembra una soluzione percorribile. Quando ci si accorge del disastro, spesso è troppo tardi".
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