31 ottobre 2024
Nei rapporti periodici di Antigone, che si susseguono oramai da un quarto di secolo, è sempre emersa una marcata differenza tra i racconti delle carceri per adulti e quanto accadeva nel sistema della giustizia penale minorile. A quest’ultimo riconoscevamo la capacità, risalente nel tempo e consolidata, di limitare il più possibile la risposta carceraria e tentare un approccio che non fosse esclusivamente punitivo ma mantenesse una valenza di tipo educativo. Il principio del superiore interesse del minore guida le scelte del processo, tant’è che il codice di procedura penale minorile del 1988 lascia al magistrato un’ampia gamma di possibilità di gestione del ragazzo: prima ancora dell’accertamento dei fatti di reato, spetta al giudice valutare la personalità del giovane, anche attraverso la conoscenza del contesto sociale e familiare in cui vive, così da individuare il percorso più adatto alla sua crescita. La facoltà punitiva dello Stato passa in secondo piano rispetto alla necessità di recupero, come la stessa Corte costituzionale ha indicato fin dagli anni Settanta del secolo scorso.
Adolescenti drogati di psicofarmaci e indifferenza
Oggi tutto questo sta cambiando. Con estrema preoccupazione, lo scorso febbraio, abbiamo pubblicato per la prima volta un rapporto sulla giustizia minorile denso di allarmi. Le peculiarità delle carceri per i giovani, per come apparivano diverse da quelle per adulti, stanno scomparendo e anche quell’attenzione individuale alla storia del singolo ragazzo, che percepivamo mentre il direttore o l’operatore ci accompagnavano in visita, va sempre di più assomigliando all’indifferenza che il sistema, affaticato e sovraffollato, riserva ai reclusi nelle carceri ordinarie.
Dall’insediamento dell’attuale governo, ossia da ottobre 2022, le presenze nelle carceri minorili sono cresciute di quasi il 50 per cento e un netto aumento è coinciso con l’entrata in vigore del cosiddetto decreto Caivano. Un’impennata che sarebbe stata ancora maggiore se non fosse che la stessa norma ha permesso, al compimento dei 18 anni, il trasferimento in carceri per adulti di tanti ragazzi che, avendo commesso il reato da minorenni, sarebbero potuti rimanere negli ipm (istituti penali per minorenni) fino ai 25 anni. Mandare un ragazzino "agli adulti", come si sente dire, significa interrompere la relazione educativa e rovinargli la vita.
Carcere per i minori, la discarica delle coscienze
Negli ultimi anni è aumentata a dismisura la percentuale di minori stranieri non accompagnati che si trovano in stato di detenzione. Ragazzi con alle spalle un vissuto tragico e pochi riferimenti sul territorio, che spesso arrivano in carcere con dipendenze da alcol o sostanze (prime tra tutte, le droghe a basso costo costituite da farmaci quali Rivotril o Lyrica). In molti casi il carcere si limita a sostituire una dipendenza con un’altra, senza una vera presa in carico che non sia esclusivamente farmacologica o disciplinare. Il comprensibile disagio sociale ed esistenziale di questi giovani viene medicalizzato e trattato come fosse esclusivamente sanitario.
Nelle carceri minorili si respira una tensione mai vista prima, data dall’affollamento e dal progressivo irrigidimento del sistema. Da numerosi istituti penali per minorenni ci segnalano la chiusura di attività, le difficoltà per i volontari, il ritorno a un modello di detenzione fatto solo di cancelli e sbarre, i trasferimenti forzati. Si chiudono in carcere dei minorenni senza alcun progetto educativo, senza alcun piano di accoglienza o possibilità di reintegrazione sociale.
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E davanti a tutto questo i ragazzi protestano, come accaduto negli ultimi mesi in più carceri minorili d’Italia. I loro gesti sono stati enfatizzati, si è parlato di pericolosi criminali che devastano e distruggono, ma nessuno ha davvero ascoltato le loro ragioni, nessuno è entrato in carcere per incontrarli. È evidente che si cavalca l’onda delle proteste per giustificare, un modello di carcerazione minorile sempre più simile a quello degli adulti: chiuso, sovraffollato, violento. Il reato di rivolta penitenziaria – voluto da un disegno di legge governativo e punibile con pene fino a otto anni di carcere, anche nella sua forma di resistenza passiva – è lo strumento definitivo per seppellire questi giovani sotto cumuli di anni di galera.
Oggi nelle carceri minorili ci finiscono ragazze e ragazzi che la società non sa dove collocare, dei quali non vuole occuparsi. Non raccontiamoci bugie: il mandato affidato alle carceri non è certo quello della reintegrazione sociale, tutt’altro. Alle carceri si chiede semmai di neutralizzarli: teneteli voi, noi qui fuori non li vogliamo.
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