I giudici riuniti nell'aula del Palazzo della Consulta, a Roma (Foto Ufficio stampa della Corte costituzionale)
I giudici riuniti nell'aula del Palazzo della Consulta, a Roma (Foto Ufficio stampa della Corte costituzionale)

Giustizia minorile, la Corte costituzionale valuta il decreto Caivano sullo stop della messa alla prova per i reati gravi

I giudici della Consulta stanno valutando due ordinanze del Tribunale per i minorenni di Bari: la norma del decreto Caivano che vieta automaticamente la messa alla prova per alcuni tipi di reato potrebbe essere illegittima. "Concezione vendicativa del diritto", sostiene la principale associazione di avvocati penalisti

Andrea Giambartolomei

Andrea GiambartolomeiRedattore lavialibera

Aggiornato il giorno 4 febbraio 2025

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Aggiornamento del 4 febbraio 2025: Nei processi minorili si può escludere la messa alla prova degli imputati accusati di fatti gravissimi (violenze sessuali di gruppo su minori, rapine aggravate e omicidi aggravati), ma solo per i fatti avvenuti dopo l'introduzione del decreto Caivano. Lo ha stabilito la Corte costituzionale valutando due questioni di legittimità costituzionale sollevate dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Bari. Secondo i giudici della Consulta, il "rigido automatismo" che vieta l'accesso alla messa alla prova dei minori accusati di quei gravissimi reati non viola l'articolo 31 della Costituzione in base al quale "la Repubblica protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo". Tuttavia i magistrati affermano che la legge non può essere applicata nei processi per fatti avvenuti prima del 15 novembre 2023, data dell'entrata in vigore del decreto Caivano, perché comporta "una radicale alterazione peggiorativa del trattamento riservato all’imputato".

Di seguito, l'articolo che spiega i dubbi sollevati dal tribunale barese.


Il decreto Caivano al vaglio della Corte costituzionale, per un aspetto piccolo, ma di sostanza. Avviene sulla base di due ordinanze del Tribunale per i minorenni di Bari che lo scorso 25 marzo, in due processi simili, ha stabilito di inviare al Palazzo della Consulta una questione sulla messa alla prova, cioè la sospensione del processo affinché il minore imputato possa compiere delle attività di volontariato, formazione, lavoro e incontri che li aiutino ad acquisire nuovi modelli di comportamento e avviare un processo di recupero e reinserimento. Una delle norme del decreto Caivano, emanato dal governo Meloni dopo un gravissimo caso di violenze sessuali di gruppo su due cuginette nel comune in provincia di Napoli, esclude la possibilità di ricorrere a questa misura nei procedimenti per reati come omicidi aggravati, rapine aggravate e – appunto – violenze sessuali di gruppo su minori. Tuttavia – riflettono i giudici baresi – eliminare questa possibilità rieducativa sarebbe contraria ai principi della Costituzione. Il 14 gennaio i magistrati della Corte hanno discusso la questione in una camera di consiglio.

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I processi baresi per le violenze sessuali su minori

La questione è sorta all’inizio del 2024 nel corso di due processi distinti. In uno, un giovane è accusato di aver violentato – insieme ad altri due amici giudicati separatamente – una ragazzina che non aveva ancora compiuto 14 anni di età, costretta a compiere alcuni atti con uno dei tre ragazzi. L’imputato e un amico “non solo hanno assistito in maniera impassibile a ciò che mi stava accadendo – ha raccontato la giovane ai magistrati –, ma hanno aiutato P. a bloccarmi per poi farmi sedere agli scalini ove è stato consumato l’atto sessuale”. Un caso per alcuni aspetti simile a quello avvenuto al Parco Verde di Caivano, dopo il quale il governo emanò il decreto per inasprire le sanzioni della giustizia minorile. Nel secondo processo, un altro ragazzo è accusato di violenza sessuale su minore e omissione di soccorso perché aveva approfittato dello stato di semi-incoscienza di una ragazzina toccandole le parti intime.

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In entrambi i processi gli avvocati difensori hanno chiesto la sospensione del processo affinché i loro giovani assistiti possano usufruire della messa alla prova. Nel frattempo, però, è entrato in vigore il decreto Caivano secondo cui non ci si può avvalere di questo strumento giuridico “in relazione a determinate tipologie di reato, tra le quali la violenza sessuale di gruppo commessa ai danni di persona di minore età e dunque aggravata”, si legge nelle ordinanze. In parole povere, per casi come questi, la richiesta di messa alla prova deve essere sempre respinta, aprendo all'unica strada della carcerazione senza la possibilità di valutare caso per caso la situazione del ragazzo.

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Le due ordinanze del tribunale per i minorenni

Il processo minorile “è volto principalmente al recupero del minore deviante, mediante la sua rieducazione e il suo reinserimento sociale” e per questa ragione “il giudice è chiamato, di volta in volta, a esaminare la personalità del minore imputato”Tribunale per i minorenni di Bari

Gli avvocati difensori hanno chiesto ai giudici di sollevare la questione di illegittimità costituzionale della nuova norma contenuta nel decreto Caivano. I pubblici ministeri hanno ritenuto la questione rilevante e “non manifestamente infondata” e così anche il Tribunale per i minorenni: “La recente riforma impedisce al Collegio di entrare nel merito della valutazione circa la sussistenza dei presupposti per l’accesso alla messa alla prova” e lo farebbe “in contrasto con tutto l’impianto normativa che regola il processo penale minorile e che trova il proprio fondamento costituzionale nell’articolo 31, comma secondo, della Costituzione”, scrivono i giudici ricordando che il processo minorile “è volto principalmente al recupero del minore deviante, mediante la sua rieducazione e il suo reinserimento sociale” e per questa ragione “il giudice è chiamato, di volta in volta, a esaminare la personalità del minore imputato”.

In entrambe le ordinanze si ricorda come la messa alla prova sia “uno dei principali strumenti che consente al giudice di valutare compiutamente la personalità del minore, sotto l’aspetto psichico, sociale e ambientale, anche ai fini dell’apprezzamento dei risultati degli interventi di sostegno disposti” perché se il giovane è avviato verso un ravvedimento e un cambiamento, allora al termine di quel percorso il tribunale può ritenere “estinto” il reato: fine del processo, nessuna condanna. “Parrebbe infatti sommamente ingiusto punire un soggetto che, all’esito di un positivo percorso di messa alla prova, abbia conseguito un totale mutamento di vita e sia divenuto ‘altro’ rispetto a quello che ha commesso il reato”, ricordano i giudici sottolineando come questo strumento abbia ridotto il rischio di recidiva, motivo per cui “prevedere un catalogo di reati (tra cui la violenza sessuale di gruppo aggravata) in relazione ai quali privare l’imputato della possibilità di accesso a questo importante istituto di recupero e reinserimento sociale, costituisce un vulnus non solo di tutela e protezione del minore autore del reato ma anche di tutela dell'intera collettività contro i rischi di una possibile recidiva”.

I magistrati baresi ricordano anche che la Corte costituzionale, il 28 aprile 2017, aveva già dichiarato non legittime norme che prevedono nei confronti dei minori “un rigido automatismo, fondato su una presunzione di pericolosità legata al titolo del reato commesso, che esclude la valutazione del caso concreto e delle specifiche esigenze del minore”. “Preme sottolineare come l’emergenza non possa giustificare la compressione di diritti fondamentali della persona, in questo caso di minore età, nell’ottica di una asserita generica ed indiscriminata tutela della salute e della incolumità pubblica”, affermano i giudici.

I pareri degli avvocati

Il 14 gennaio c’è stata la camera di consiglio dei giudici per valutare la questione. L’Unione delle Camere penali italiane, l’associazione più rappresentativa degli avvocati penalisti, è intervenuta per affermare l’incostituzionalità della norma, “frutto di una concezione per lo più ‘vendicativa’ del diritto penale, in questo caso ancora più grave perché applicata alla giustizia minorile”: “Gli effetti perversi di questa logica iniziano già drammaticamente a manifestarsi”, afferma l’associazione dei penalisti sottolineando l’aumento degli ingressi negli istituti penitenziari minorili. “C’è uno stravolgimento della giustizia minorile – aggiunge l’avvocato Gian Luca Totani, componente della giunta nazionale dell’Ucpi e dell’Osservatorio della giustizia minorile –. Anche se i reati sono aberranti, i presunti colpevoli devono passare attraverso un percorso rieducativo o, in certi casi, educativo”.

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La questione sarà rilevante anche per il processo in corso davanti al tribunale per i minorenni di Napoli che vede imputati quattro ragazzi coinvolti negli stupri ai danni delle due cuginette di Caivano. Due maggiorenni e tre minori sono già stati condannati in primo grado: in particolare, i tre minorenni hanno avuto pene tra i nove e i dieci anni. Nel procedimento ancora in corso i difensori hanno chiesto ai giudici di valutare la messa alla prova e il collegio ha stabilito di rinviare la trattazione del processo in attesa della decisione della Corte costituzionale. "Laddove la Consulta decidesse che si debba reintrodurre la messa alla prova per questi reati gravi, dovremo rispettare la decisione – afferma l'avvocatessa Clara Niola, che assiste la famiglia di una delle due giovani vittime di violenza –. Dobbiamo sempre pensare da operatori e giuristi del campo della giustizia minorile".

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