Contro l'ideologia del merito, un'educazione controvento

Nel libro "L'asino mancino", il professore di pedagogia Paolo Vittoria ripercorre la sua personale storia prima di allievo (anche bocciato) e poi di insegnante per mettere in discussione un sistema basato su individualismo e competizione. Un'educazione "controvento"

Paolo Vittoria

Paolo VittoriaProfessore di pedagogia

6 aprile 2025

Vivendo al fianco di studentesse e studenti, sento che si respira un’aria molto pesante per quanto riguarda l’attesa, l’aspettativa, l’ansia. Un modello didattico che induce all’individualismo e alla competizione – il tanto decantato sistema delle competenze – gioca un ruolo decisivo in questo malessere. Del resto, se continuiamo ad utilizzare con naturalezza un vocabolario dove invitiamo ad accumulare, spendere, certificare competenze, crediti e debiti, cosa potremmo aspettarci? Così, attraverso il libro L’asino mancino. Archeologia di un’educazione, ho deciso di prendermi gioco dell’ideologia del merito, dell’eccellenza, raccontando da “prof” le mie fragilità, insicurezze di studente, e non solo.

"Sono convinto che l’eccellenza e il merito non siano il punto di vista più giusto per capire l’educazione, che un sorriso valga molto di più di una lode o della certificazione di una competenza"

Le difficoltà a scuola sono iniziate molto presto, già ai primissimi passi in cui non riuscivo a scrivere. Oggi comprendo che non sapevo scrivere perché ero mancino e, per mera superstizione, sono stato “istruito” come tanti altri, all’uso della mano destra. Quindi il mio esordio in una scuola che non segue i processi cognitivi del bambino, ma impone delle assurde forzature, è stato certamente faticoso, come la salita per un asino. Fabrizio De Andrè la descriverebbe come una creuza, una mulattiera.

Non me la sono vista meglio negli anni a seguire dove cercavo un senso tra bocciature e rimandi. Il cammino l’ho trovato, anzi lo cerco ancora, nell’insegnamento e nella scrittura dove prendo spunto da alcune vicende personali, anche goffe, da incontri, viaggi ma anche bocciature (non solo didattiche, ma esistenziali) come opportunità per parlare di scuola a partire dall’ultimo banco, dove generalmente sceglievo di rifugiarmi. Perché sono convinto che l’eccellenza e il merito non siano il punto di vista più giusto per capire l’educazione, che un sorriso valga molto di più di una lode o della certificazione di una competenza. Anche perché l’apprendimento non andrebbe certificato, ma avrebbe solo bisogno di trovare gli spazi e i tempi giusti. Ed allora… via libera a tutti gli asini, perché siano liberi di viaggiare.

Serve una scuola all'altezza della Costituzione, scrive Franco Lorenzoni

Un asino come professore

Le prime volte hanno tutte un sapore speciale. E non si tratta solo di amore. Pensiamo anche ai bambini: è il festival delle prime volte. La prima volta che gattonano; la prima volta che camminano; la prima volta che sorridono, e così potremmo continuare di volta in volta. La primavera richiama al senso della prima volta, delle prime volte. Sbocciano i fiori come se non fossero mai esistiti eppure erano lì ad aspettare il primo sole per rivedere la luce. E così i frutti sugli alberi che magari sono secolari, ma ogni frutto ha nuova vita perché la stessa natura si rigenera. Ogni volta che entro in aula per me è come se fosse la prima. La prima volta che supero quella condizione di alienazione in cui mi trovavo e che rappresentavo simbolicamente in modo contestatario relegandomi all’ultimissimo banco, proprio all’angolo dove le due pareti potevano sorreggere il mio collo piegato per assopirmi.

In circolo per creare relazioni

Se l’educazione si costituisce come luogo di dibattito e, confronto, domande e inquietudini, si rende possibile l’espressione individuale e collettiva

Il primo banco mal lo sopportavo, sia perché mi metteva inesorabilmente di fronte alla cattedra, sia perché rappresentava un’adesione a un modello che la scuola proponeva in quel contesto e di cui non condividevo quasi nulla. In genere venivo interpellato o per l’interrogazione o per qualche richiamo.

Quando il dito della prof scorreva lungo il registro dall’alto in basso e arrivava negli ultimi cognomi un brivido gelido mi attraversava assumendo diverse temperature. Quando scendeva, oltrepassava il mio nome e risaliva tiravo un sospiro di sollievo, ma era tutto un “bluff” perché poi scendeva ancora e... tac! Colpito e affondato: il mio cognome riecheggiava in tutta l’aula fredda e umida. “Vittoria (servirebbero tre t perché quella era la pronuncia esatta con fare minaccioso) vieni alla lavagna”. Oltretutto, tranne che alle scuole elementari, non ci chiamavano mai per nome.

Quindi, via la cattedra, banchi e sedie in circolo, quando è possibile visto che – purtroppo – la tendenza è quella delle sedie fisse. In ogni caso stare in circolo, al di là della disposizione geografica, significa vivere di relazione, stare nella relazione. Se l’educazione si costituisce come luogo di dibattito e, confronto, domande e inquietudini, si rende possibile l’espressione individuale e collettiva che già inizia dal rispetto del chiamare gli studenti per nome e questo vuol dire lavorare affinché scuola e università siano spazi autenticamente democratici. D’altra parte, un Paese non è realmente democratico se non lo sono le sue istituzioni educative.

Il prof Matteo Saudino, in arte Barbasophia: “La scuola deve essere politica”

Insegnare dev’essere un’azione felice

L’insegnante, stando in dialogo con i propri studenti, quindi in un processo circolare e dialogico, per cui sempre aperto e imperfetto, si rigenera nello stesso atto di imparare e insegnare

Quello che scrutavo dall’ultimo banco era un metodo che portava a una conoscenza sempre uguale a sé stessa: situata in un luogo e in un tempo da cui non ci si muove in nome di un mero immodificabile trasferimento di nozioni. Studentesse e studenti così non si formano come soggetti della costruzione e ricostruzione della conoscenza, ma come oggetti di un discorso già preparato per loro. Così non si formano menti pensanti, ma teste obbedienti incapaci di portare il proprio vissuto interiore nell’esperienza di apprendimento. L’insegnante, sebbene in un ruolo diverso, è in realtà vittima dello stesso processo ed è per questo che molti dei miei professori non erano felici di insegnare.

Insegnare, invece, è un’azione felice perché porta a una continua rigenerazione: come la primavera, come la natura, come le invisibili cellule che ci permettono di vivere. L’insegnante, stando in dialogo con i propri studenti, quindi in un processo circolare e dialogico, per cui sempre aperto e imperfetto, si rigenera nello stesso atto di imparare e insegnare. Perché quello che sa, appena entrato in aula, non lo sa più visto che si confronta con il sapere di altre persone che sanno altre cose o che hanno una sapienza, una saggezza diversa sugli stessi oggetti di conoscenza. In questo sì, è importante che si riconosca anche come un asino, sia per la forza di caricare forti pesi sul dorso, sia per l’umiltà di sottoporre la propria conoscenza o saggezza alla saggezza o conoscenza di altre persone che devono essere messe nella condizione non solo di apprendere, ma di insegnare apprendendo.

Lavorare sulla saggezza

Parliamo di saggezza o conoscenza come due elementi differenti e dialoganti. Oggi comprendo che Dona Maria (che ha insegnato il portoghese in Brasile, nda) aveva pochi elementi di conoscenza della lingua, ma una saggezza infinita in grado di far crescere qualsiasi conoscenza a dismisura. In questo senso la saggezza sarebbe in un senso lato, il fermento, il lievito della conoscenza. Senza di essa la conoscenza non si coltiva. D’altra parte, la conoscenza serve ad esempio a saper leggere uno spartito senza cui la saggezza della musica non troverebbe espressione. La scuola, quella scuola, dava solo conoscenze ma senza lavorare sulla saggezza. Ed erano anche conoscenze abbastanza neutre – senza sapore.

Noi invece dobbiamo lavorare sulla saggezza che dà vita alla conoscenza. Mentre le conoscenze possono dividere tra chi ne ha di più e chi ne ha di meno, la saggezza appartiene a tutti: dal professionista a chi non sa parlare bene ma parla con saggezza; da chi parla poco ma agisce con saggezza alla saggezza dei bambini a quella delle persone anziane; dalla saggezza del mondo contadino alla saggezza intrinseca ai proverbi; anche la saggezza di un animale, di un asino, o di un insetto, una formica, una stella. Sono tutte saggezze destinate a crescere, che hanno in sé il seme della crescita e in cui non c’è una gerarchia. Un proverbio contadino può essere utile a un medico e viceversa, senza più o meno. E se c’è una luce della saggezza non è per oscurare gli altri, come nel fallimentare modello competitivo, ma per far luce. Oltretutto considerare che ogni umano – non solo – ma ogni elemento del regno animale, vegetale e minerale ha una saggezza, ci mette nelle condizioni di poter imparare sempre e da tutti, anche dal più piccolo e impercettibile elemento.

Con "Liberi di crescere", nessuno è rimandato

Ascoltare idee diverse

E non c’è insegnamento senza apprendimento. Un elemento però è indispensabile: ascoltare e far vivere le diverse idee. Impossibile che emerga saggezza senza che si possa esprimere un’opinione. Una scuola senza saggezza non è una scuola, ma una fabbrica di nozioni prodotte come in catena di montaggio, pronte per essere impacchettate, immesse e svendute al magnifico mercato delle competenze.


Testo di Primetta Bortolotti

Quando leggiamo un libro ritroviamo sempre anche qualcosa di noi stessi, della nostra storia: vediamo qualcosa di intimamente nostro con gli occhi di un’altra persona che improvvisamente riesce a mettere in ordine tanti nostri pensieri sparsi.

Così è capitato con L’asino mancino, ultimo libro di Paolo Vittoria – (Bibliotheka edizioni, 2024): nelle varie presentazioni nel mondo della scuola, e non solo, ha saputo evocare ricordi ed emozioni, dolore e rabbia, inadeguatezza e tenacia, visioni, poesia, riscatto e scommesse nel futuro.

La prima volta che l’ho incontrato sono rimasta colpita da una frase che forse non era stata scritta per come io l’ho intesa: “Conoscere la storia (ed io aggiungerei la nostra personale e quella del nostro mondo, nda) è come percorrere un fiume controcorrente”, si legge a pagina 30. Questo mi ha fatto ritornare alla mente la fatica e la forza del mio percorso nella scuola pubblica da docente, e poi dirigente, che inizia proprio dall’anno di nascita di Paolo, il 1976.

Dialogo, comunità e immaginazione per un'educazione controvento

Dialogo, comunità e immaginazione. Queste tre parole, che costituiscono il nucleo di un’educazione controvento, critica e capace di liberare le energie e la creatività delle menti, sono state forgiate, plasmate e “mangiate” da tanta scuola pubblica nel corso di questi decenni, forse non riuscendo a fare sistema, ma accendendo scintille di senso e visioni sempre più ostinate. Ed ecco allora le tecniche pedagogiche di Célestin Freinet con il testo libero, il lavoro cooperativo, il tutoring, la scuola comunità delle esperienze ‘Senza zaino’, la partecipazione delle famiglie e del territorio in scuole aperte a tutte le ore, le scuole popolari, la cultura della valutazione del prodotto di gruppo e non della singola performance, le assemblee di classe, il circle time… e ancora tanto altro abbiamo visto, curato, immaginato, sognato fra le mura scolastiche, capaci di trasformarsi da spazi anonimi ad ambienti di apprendimento a 360 gradi.

Christian Raimo: "L'educazione non è un rapporto di dominio"

Imparare dalla propria storia educativa

Questo libro, che compendia la storia educativa e formativa personale di Paolo Vittoria (ma anche lo snodarsi di tante esperienze e momenti della nostra scuola pubblica) ripercorrendo alcune tappe più significative del suo percorso scolastico e formativo, ci invita ad alcune riflessioni che, per concetti contrapposti, ci presentano una sintesi sofferta e lucida di una nuova via di conoscenza, apprendimento, comunità.

Iniziamo dal termine “asino” che dà il titolo al testo. È un termine così emblematico, così abusato nel tempo per irridere e umiliare, eppure tanto significativo nel delineare un animale umile, che sa portare i pesi, sa andare con lentezza verso la sua meta. Asino che Paolo Vittoria ci riconsegna nel dipinto di Umberto Verdirosi, “Il servo padrone”, che illustra una breve fiaba: “C’era una volta un uomo padrone di un asino. Erano amici, si parlavano in silenzio. Era un alfabeto muto che diede i suoi frutti. Per un giorno al mese il padrone diventava servo. Quando gli chiedevano il perché di tale stranezza rispondeva: solo facendo l’asino sono giunto alla saggezza”.

L’asino ci mostra la strada per la saggezza e l’umiltà di “sottoporre la propria conoscenza o saggezza alla saggezza o conoscenza di altre persone che devono essere messe nella condizione non solo di apprendere, ma di insegnare apprendendo”. Ed è proprio in questo modo che “insegnare diventa un’azione felice” in cui “l’umiliazione lascia il posto all’umiltà”, al sapersi riconoscere incompleti, fragili, desiderosi di relazione e dialogo, di comunità accogliente e creativa. Così l’avarizia e l’egoismo trovano un contraltare efficace e solido nella necessità di “uscirne insieme”, come ci ha insegnato don Lorenzo Milani, secondo cui “dicesi maestro chi non ha alcun interesse culturale quando è solo”.

Una scuola che manca gli appuntamenti

Ma “l’asino mancino” ci riporta in un attimo anche ai fallimenti della scuola, alle bocciature, agli appuntamenti cui la scuola non si è presentata. Come è successo a Paolo Vittoria, che ricorda:

“Primo giorno del liceo: mi preparo con lo zaino a tracolla e vado a scuola. In quel periodo si facevano i doppi turni perché le aule non bastavano. Quando arrivo, pieno di emozione, mi indicano l’edificio delle medie, dove si tenevano alcune lezioni. Ero basso di statura e dimostravo meno della mia età: mi presero per un alunno delle medie e finii in un’aula sbagliata. Risultato: mi persi e me ne tornai a casa. Primo giorno: assente, non pervenuto…. Avrei potuto dire che la scuola non si era presentata all’appuntamento?”

Altro fallimento: i professori che dimenticano di averlo bocciato.

“L’anno successivo (alla bocciatura, ndr), non ritrovandomi in classe i prof chiesero agli ormai miei ex compagni:

– Dov’è Vittoria?

– Professoressa lo avete bocciato!, gli risposero.

Non ho mai capito se fosse una provocazione oppure se davvero si erano dimenticati di avermi bocciato”.

Diventare insegnanti in Italia, una lunga corsa a ostacoli che cambia di continuo

Una possibilità di conoscenza e stima

Ma proprio la scuola può anche offrire una possibilità di conoscenza, di stima ritrovata, di senso e di libertà finalmente raggiunta quando il professore di Storia del Rinascimento, nel bocciare lo studente, gli fornisce una spiegazione che restituisce qualcosa di personale, con parole che finalmente parlano all’anima: “Questo ragazzo ha luci di intelligenza in un buio di conoscenze”. Ed ancora, può presentare, in periodo di occupazione, opportunità insperate di conoscenza, scoprendo a lezione, in quelle aule ricche di vita e di studenti in cerca di significati, da Pino e Simona, docenti di filosofia morale, che “la storia è il presente, non il passato… e l’amore immenso per la conoscenza e la cultura”.

E così le esperienze di educazione popolare, di strada, a Napoli, fanno capire quanto sia necessario studiare e formarsi perché non ci si può improvvisare educatori e la realtà deve sempre essere letta e riletta. Disciplina di studio e ricerca crescono all’infinito e cercano nuovi orizzonti.

Così Paolo Vittoria ci porta per mano in una dimensione inedita. Perdersi ha sempre “diverse variazioni sul tema”. A volte “non si sa neanche dove ci si trova, ma si sa precisamente dove si vuol andare. Questo è un tutt’altro che perdersi: si ha una meta, un orizzonte, una linea d’ombra, ma bisogna capire da dove cominciare. Nel mio caso posso dire che il principio è stato il Brasile. Forse era proprio il mio luogo in quel momento: il mio est, anzi il sud da cercare era l’educazione, l’educazione di strada, l’impegno nel sociale, un luogo sconosciuto da dove far partire le mie (in)certezze, una realtà completamente diversa per cambiare lo sguardo, l’orizzonte, e costruire punti di vista inediti, fino a quel punto inattesi”.

È dunque anche tempo di “risposte assurde”, come quella di un giovanissimo Paolo che descrive un metodo per imbalsamare rispondendo in modo goffo a un’interrogazione per poi, d’un balzo, ritrovarlo giovane adulto nel nordest del Brasile, a Recife, dove ci confida di “(aver) trovato un autore che parlava la (sua) lingua”, Paulo Freire, che accompagna lo scrittore nel suo presente a Recife, nel suo passato e nel suo futuro, nella sconfinata certezza che “di certezze non si può vivere”.

“Sorprendersi” è il verbo ricorrente nel conoscere il Brasile, Olinda e Recife e con cui incontriamo Romulo e Dona Maria che hanno insegnato a Paolo la lingua portoghese e l’arte di apprendere.

“Con Romulo, Dona Maria, le ragazze e i ragazzi di Recife compresi il valore potente di una domanda, che si impara davvero quando si vive un’esperienza e poi la si elabora concettualmente. Che insegnare è un grande atto di umiltà, di cura e di amore. Che si apprende quando ci si sorprende, quando non tutto è previsto. Che la scuola la si può creare ogni giorno e non è per niente un luogo fisico. Che gattonare non è un’azione solo dei primi mesi, ma di ogni volta che cerchiamo qualcosa di nuovo, che non siamo nati per soffrire, ma per imparare. Maria non avrebbe mai potuto immaginare che, imparando le prime parole con lei, sarei anni dopo diventato professore all’Università di Rio de Janeiro. A volte mi chiedo se i più grandi maestri non siano quelli che non sanno, o per lo meno non pretendono di esserlo”.

Molto bene, bravo prof. Vittoria, ma – per dirla con gli insegnanti che la bocciarono – “Dov’è Vittoria?”. Per le strade del mondo nonostante la scuola, ma anche grazie alla scuola.

Crediamo in un giornalismo di servizio di cittadine e cittadini, in notizie che non scadono il giorno dopo. Aiutaci a offrire un'informazione di qualità, sostieni lavialibera

La rivista

2025 - numero 31

È tempo di muoversi

NUMERO SPECIALE: Libera compie trent'anni e guarda avanti: l'impegno per l'affermazione della libertà contro ogni forma di potere mafioso è più che mai attuale

È tempo di muoversi
Vedi tutti i numeri

La newsletter de lavialibera

Ogni sabato la raccolta degli articoli della settimana, per non perdere neanche una notizia. 

Ogni prima domenica del mese un approfondimento speciale, per saperne di più e stupire gli amici al bar

Ogni terza domenica del mese, CapoMondi, la rassegna stampa estera a cura di Libera Internazionale