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26 giugno 2025
Sono pesanti, molto pesanti, le condanne inflitte dalla Corte d'assise di Vicenza al termine del processo a 15 ex manager della Miteni, l'industria chimica con sede a Trissino (Vicenza) che ha contaminato le acque e i terreni delle aree circostanti con i pfas. Le pene inflitte a 11 imputati – accusati a vario titolo di avvelenamento delle acque, disastro ambientale e bancarotta fraudolenta – sono addirittura superiori alle richieste della pubblica accusa.
La pena più alta, 17 anni, è andata a Luigi Guarracino, direttore operativo di Miteni dal 2009 al 2012 e poi amministratore delegato fino al 2015. A lui erano contestati i primi due reati. Stessa condanna anche Brian Anthony Mc Glynn, ex dirigente di Ausimont (che gestiva anche lo stabilimento di Spinetta Marengo, ad Alessandria) passato poi a Miteni. Assolti da ogni accusa tre imputati italiani e un dirigente giapponese. Gli avvocati difensori hanno lasciato il Palazzo di giustizia senza rilasciare dichiarazioni.
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Per i legali delle parti civili è "una sentenza storica": si tratta della prima sentenza nell'ambito di quello che è ritenuto il più grande processo in Europa per la contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche. Si tratta di composti chimici indistruttibili usati nell'industria per realizzare materiali resistenti al fuoco e all'acqua, ma che possono provocare gravi problemi di salute: disfunzioni ormonali e tiroidee, tumori e malattie nelle donne incinte e nei neonati.
Il ministero dell’Ambiente, che si è costituito parte civile nel processo attraverso l’Avvocatura dello Stato, aveva chiesto un risarcimento di 56 milioni di euro, ma i giudici hanno riconosciuto un indennizzo da 58 milioni. Con la sua sentenza, la Corte d'assise ha riconosciuto alla Regione Veneto sei milioni di euro di indennizzi. Di circa 844mila euro è l'indennizzo all'Agenzia regionale per l'ambiente del Veneto (Arpav). La curatela fallimentare – rappresentata dall'avvocato Enrico Ambrosetti – ha richiesto 15 milioni di euro di risarcimento al cui interno ci sono anche le richieste degli ex lavoratori della società, in attesa degli ultimi stipendi e del trattamento di fine rapporto. I giudici hanno stabilito che i condannati dovranno darne 4,8 milioni.
Per i trenta comuni della zona rossa, quella dove l'inquinamento da pfas è più forte, i giudici hanno riconosciuto in media 80mila euro ciascuno (e non 30mila, come scritto in una precedente versione, ndr). 50mila euro per organizzazioni come Legambiente, Medici per l'ambiente, Medicina democratica e altri, 25mila gli euro per i sindacati Cgil e Cisl.
Gli imputati in questo processo sono 15 ex manager di Miteni e delle società che, nel tempo, si sono succedute nel controllo, come la giapponese Mitsubishi Corporation fino al 2009 e poi l’europea International Chemical Investors, proprietaria della filiale italiana che controllava Miteni dal 2009 al fallimento.
Molte le accuse a loro rivolte dalla procura di Vicenza. La prima riguarda l'avvelenamento di acque aggravato in concorso perché – questa l'ipotesi accusatoria – “concorrevano a cagionare l'avvelenamento delle acque destinate all’alimentazione umana”, in particolar modo della falda acquifera sotto l’area industriale e le “acque superficiali circostanti comunque destinate al consumo”. L’industria disperdeva nel suolo e nel sottosuolo “vari composti chimici”, interrando rifiuti e scarti, ma anche per la “carente tenuta degli impianti”. Alcune aziende consulenti di Miteni avevano rilevato l’inquinamento e l’impresa, anziché prendere provvedimenti per prevenire il propagarsi della contaminazione, risanare l’area e informare le autorità, nascondeva i dati e chiedeva agli esperti di rivedere le loro analisi.
La seconda accusa è quella di disastro ambientale “dal quale derivava un pericolo per la pubblica incolumità”, la diffusione e l’accumulo di pfas e pfoa tra la popolazione esposta ai composti “con conseguente aumentata incidenza di effetti sanitari indesiderati quali l'aumento di livello del colesterolo nel siero umano”, e non solo.
Alcuni dirigenti, soprattutto quelli dell’ultimo periodo di attività di Miteni prima del fallimento, sono anche accusati di abbandono di rifiuti e di inquinamento ambientale perché provocavano o non prevenivano la diffusione di alcune sostanze, che poi si propogavano su una superficie molto vasta.
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Per alcuni, infine, c'è anche l'accusa di bancarotta fraudolenta, sia perché non avevano mai registrato nei bilanci un fondo per i rischi che l’azienda correva sul piano ambientale, sia perché avevano valutato a caro prezzo il valore degli immobili, che in realtà, visto l’inquinamento, era quasi nullo. Di fronte a questo dissesto finanziario, la società è stata dichiarata fallita il 9 novembre 2018. Alla Miteni, come responsabile civile (sarà cioè chiamata a risarcire, se riconosciuta colpevole) è contestato il non aver adottato un modello organizzativo adatto a prevenire l’inquinamento.
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