Ciotti: "Se l'informazione è povera, è anche colpa nostra"

Serve un'assunzione di responsabilità collettiva, altrimenti il declino e il suo impatto negativo sulla società continueranno senza freni

Luigi Ciotti

Luigi CiottiDirettore editoriale lavialibera

1 settembre 2025

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L’informazione ci aiuta a dare forma alla realtà che viviamo, accompagnandoci oltre la percezione immediata delle cose a noi più prossime. Non basta a renderci cittadini consapevoli e impegnati, ma rappresenta il primo, fondamentale passo per diventarlo. Se, anziché accedere a una visione chiara e accurata di ciò che ci accade intorno, ne abbiamo un’idea superficiale, manipolata o distorta, la nostra possibilità di capire il mondo sarà compromessa. Per non parlare della possibilità di cambiarlo.

Ecco perché l’informazione di qualità è un elemento centrale della democrazia! Non un beneficio facoltativo, ma una precondizione assoluta. Oggi purtroppo questo nesso non ci appare più così scontato e anzi rischia di trasformarsi nel suo esatto opposto, con molti canali piegati a veicolare notizie false o falsificate, a uso e consumo di poteri corrotti. Proprio come accade nei peggiori regimi autoritari, che chiamano “informazione” la propaganda politica. 

Travolti dal flusso di informazioni 

Come siamo arrivati a questo punto? Non sta a me fare un’analisi di dinamiche complesse, che hanno molto a che vedere con la digitalizzazione e quindi la moltiplicazione delle fonti, l’accelerazione dei messaggi, la sovrapposizione delle opinioni ai fatti e quindi anche la perdita di controllo sulla veridicità. Se tutto “fa notizia”, nulla ha il tempo di essere approfondito e la nostra attenzione risulta parcellizzata, martellata da stimoli costanti che non sa rielaborare. Nell’ultimo periodo assistiamo inoltre al crescere del ruolo dell’intelligenza artificiale, i cui effetti non siamo ancora in grado di prevedere, ma certamente non saranno lievi. 

Se un tempo essere informati significava trattenere le notizie abbastanza a lungo per connetterle tra di loro, adesso per molti significa invece "cavalcare l'onda" della notizia de momento e commentarla in tempo zero

Se un tempo essere informati significava trattenere le notizie abbastanza a lungo per connetterle tra di loro e collocarle dentro al quadro della vita civile, così che contribuissero a darle senso, adesso per molti significa invece “cavalcare l’onda” della notizia del momento e commentarla in tempo zero, pronti a passare alla successiva. Con gli strumenti digitali, l’informazione è diventata un flusso che ci cattura al mattino appena svegli e non ci abbandona fino a sera, mescolando politica internazionale e pettegolezzi, cronaca, catastrofi naturali e ricette. 

Ripeto: non sono certo io a poter dire quali meccanismi, e quanto intenzionali, hanno guidato questa trasformazione. Che accanto ad alcuni vantaggi – maggiore pluralismo e immediatezza, la possibilità anche per le persone con pochi mezzi di far sentire la propria voce – ha portato con sé tante criticità. Ma una cosa mi sento di dirla. È inutile dare la colpa al sistema. Prendersela soltanto coi potenti, gli editori, i social, la rete. Se l’informazione si è impoverita in qualità e significato è anche responsabilità di tutti noi cittadini e cittadine che nel tempo abbiamo accettato come ineluttabile l’impoverimento di chi l’informazione la “fa”.

Le due minacce a Giancarlo Siani

Giancarlo Siani durante un incontro pubblico
Giancarlo Siani durante un incontro pubblico

Quarant’anni fa moriva ammazzato un giovane cronista napoletano, Giancarlo Siani. Un ragazzo che aveva l’istinto innato del giornalista. Si occupava di cronaca locale con la stessa serietà con cui le grandi firme di allora seguivano le vicende politiche nazionali e internazionali. E in particolare si interessava di criminalità organizzata: quella camorra i cui traffici impattavano sulla vita della sua città in maniera assai più pervasiva di quanto non risultasse dalle semplici cronache giudiziarie

Il problema, Giancarlo l’aveva capito e cercava di trasmetterlo attraverso i suoi pezzi, non erano solo le faide e i delitti di sangue, ma l’enorme furto di bene comune e di democrazia che quel sistema criminale perpetrava ai danni di tutti i napoletani e non solo. Questa consapevolezza, questa abilità nel portare alla luce i risvolti nascosti dell’agire mafioso, i clan non gliela perdonarono. Fu ucciso sotto casa, a soli 26 anni, per metterlo a tacere.

Ma già prima dell’omicidio, la voce di Giancarlo subiva un altro tipo di minaccia. Perché quel professionista così serio non era considerato un “vero” giornalista. Del giornalista non aveva le tutele economiche né giuridiche: era un precario, un “manovale” dell’informazione, miseramente retribuito e non sempre autorizzato a firmare i propri pezzi. Forse, con una situazione contrattuale dignitosa sarebbe stato ucciso comunque. Ma fa ancora più male sapere che prezzo altissimo ha pagato… qualcuno pagato così poco per il suo prezioso lavoro.

Proteggere il giornalismo che ha valore

Ecco il tema: ci lamentiamo giustamente delle pecche dell’informazione e degli effetti che può avere nella società attuale. Ma siamo capaci invece di riconoscere le iniziative editoriali di valore, proteggerle e promuoverle? Siamo disposti a pagare il giusto prezzo per chi si ribella alla superficialità, all’ovvietà, alla transitorietà delle notizie, e continua a voler produrre un’informazione documentata, al servizio della verità? Oppure accettiamo che siano ancora una volta le persone più serie a pagare, magari non con la vita ma con lo svilimento delle loro qualità professionali, con l’angoscia di affrontare accuse pretestuose da parte di chi ha ruoli di potere, con la delusione di vedere le proprie inchieste marginalizzate, relegate in una nicchia “di settore”, fra cose considerate “noiose”?

Ecco il tema: ci lamentiamo giustamente delle pecche dell’informazione e degli effetti che può avere nella società attuale. Ma siamo capaci invece di riconoscere le iniziative editoriali di valore, proteggerle e promuoverle?

Nel 1993 decidemmo di dedicare alla memoria di Giancarlo Siani la rivista Narcomafie, primo tentativo di offrire un’informazione approfondita e accessibile sui temi della criminalità organizzata. Oggi anche l’esperienza de lavialibera si rifà al suo esempio umano e professionale. La sua storia trasmette fierezza e determinazione. Ma anche la certezza che, senza un’assunzione di responsabilità collettiva, il declino dell’informazione e il suo impatto negativo sulla società continuerà senza freni. Azioniamolo allora insieme questo freno, nel nome della verità e della democrazia.

Da lavialibera n° 34, Il giornalismo che resiste

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