30 giugno 2021
Da fine aprile in Colombia, dopo la riforma fiscale proposta dal governo, migliaia di giovani e meno giovani, attiviste o semplici persone manifestano contro il governo, considerato attento soltanto agli interessi delle élite. “Se un popolo scende a protestare nel mezzo di una pandemia vuol dire che ha un governo più pericoloso del virus”, è una spiegazione che si sente spesso in questi tempi in America Latina: il Covid, seppur ancora molto diffuso nel paese, sembra essere l’ultimo dei problemi e lo sciopero generale, “el paro nacional”, continua da quasi due mesi con ripercussioni importanti sulla popolazione e sui diversi settori di un’economia già fragile. Mery Martínez, giovante attivista, geologa e appassionata di fotografia da anni componente della Red Alas, il coordinamento internazionale promosso da Libera in Centro e Sud America, racconta cosa sta avvenendo nel paese.
Qual è la fotografia del paese di questi ultimi mesi?
"Il 28 aprile è scattata una giornata di proteste pacifiche che ha visto coinvolti più di 560 comuni del territorio nazionale. Con il passare dei giorni la protesta si è ampliata"
Già nel 2019 la terribile crisi economica e sociale che attraversava il paese aveva innescato grandi mobilitazioni. Pressante la richiesta al governo di dare seguito agli accordi di pace firmati tra il governo e le Farc (un'organizzazione guerrigliera comunista, ndr), di far cessare gli assassinii selettivi di leader sociali e dei firmatari degli accordi. (leggi qui l'articolo). Le proteste hanno subito una battuta d'arresto con la pandemia, ma nel frattempo la crisi ha raggiunto livelli devastanti, il divario sociale si è ampliato, provocando sempre meno opportunità per i giovani, il fallimento delle piccole e medie imprese e l'ulteriore impoverimento della popolazione già vulnerabile. Circa 21 milioni di persone vivono in condizione di povertà, in un contesto di corruzione sistemica e diffusa che coinvolge anche i settori impegnati nella gestione della pandemia.
In questa situazione d’emergenza, e con uno Stato vicino alla bancarotta, il governo di Ivan Duque ha presentato lo scorso aprile una riforma che prevede l’aumento della base fiscale imponibile, l’aumento delle tasse sui prodotti di base e l’imposta sul reddito a chi guadagna più di 2,4 milioni di pesos al mese (circa 663 dollari), questo in un paese dove il salario minimo è di 234 dollari (tanto che la proposta era già stata bocciata dai sindacati). Di fatto si chiedeva a una popolazione già provata di sopperire alla crisi economica.
Così, il 28 aprile 2021, è scattata una giornata di proteste pacifiche che ha coinvolto più di 560 comuni del territorio nazionale. Con il passare dei giorni il fronte della protesta si è ampliato: sono state chieste le dimissioni del ministro delle Finanze e del presidente, l'adempimento degli accordi di pace, il ritiro della riforma sanitaria, l’accesso ad un’istruzione pubblica gratuita, un impegno sulla giustizia sociale e sulla riduzione delle disuguaglianze, lo smantellamento dei reparti antisommossa e una riorganizzazione della polizia.
Come ha reagito il governo?
"Il governo continua a negare il dialogo, prendendo tempo e diffondendo discorsi d’odio contro chi protesta"
Fin dall'inizio i cortei e i punti di incontro delle mobilitazioni sono stati presi di mira con azioni di una violenza spropositata, a oggi si registrano almeno 70 morti, migliaia di feriti con armi da fuoco, decine di persone scomparse, denunce di aggressioni sessuali compiute dalle forze di polizia, detenzioni illegali, attacchi contro i presidi sanitari organizzati vicino alle proteste, oltre che contro la stampa nazionale e internazionale.
Il governo continua a negare il dialogo, prendendo tempo e diffondendo discorsi d’odio contro chi protesta, azione che ha persino portato gruppi di civili ad attaccare i manifestanti con armi da fuoco, davanti agli occhi complici della polizia. L’atmosfera che si percepisce tra la popolazione è di ansia e paura, ma anche di profonda rabbia tra chi voleva cambiamenti positivi.
Quali sono i territori del paese e le fasce della popolazione più colpite?
Sono coinvolte principalmente le grandi città, ma in generale tutto il territorio. Le rivolte si stanno spostando dalle periferie al centro delle grandi città, aree che fino ad oggi erano tenute sotto il controllo delle istituzioni. Le fasce della popolazione più colpite sono quelle scese in piazza, tra giovani, studentesse e studenti, la classe media in generale, ma anche tutti coloro che subiscono quotidianamente le conseguenze di un sistema basato sull’ingiustizia sociale e l’impunità.
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Il paese in questo momento è diviso?
"La stragrande maggioranza dei colombiani è stanca della corruzione, della povertà, della violenza, ed è per questo che lo sciopero sta continuando"
Gran parte della popolazione sostiene lo sciopero attraverso la partecipazione diretta. La stragrande maggioranza dei colombiani è stanca della corruzione, della povertà, della violenza, ed è per questo che lo sciopero sta continuando. Molti, pur pensando di partecipare a manifestazioni pacifiche, hanno dovuto subire violenze inaudite. Vi è anche una parte della popolazione che non si trova d'accordo con le proteste. Non sono mancati casi di poliziotti e appartenenti a gruppi criminali infiltrati, che per creare disordine hanno danneggiato strutture private o pubbliche con l'obiettivo di generare spaccature e giustificare l'uso eccessivo della forza da parte della polizia.
C'è differenza tra i movimenti di giovani attivisti e le persone da anni impegnate nella difesa dei diritti umani in Colombia?
Credo che non ci sia molta differenza al di là dell'esperienza accumulata con anni di lotte. Le cause strutturali sono rimaste le stesse, legate alle ragioni che decenni fa hanno portato al conflitto sociale e armato. In questi più di 60 anni chi ha pagato questa situazione di instabilità sono stati i territori ai margini, le aree rurali più sperdute del paese la cui popolazione ha vissuto sulla propria pelle i massacri, gli sfollamenti, gli espropri, le violenze dei gruppi armati e paramilitari. Oggi questo malessere profondo si vive anche per le strade delle grandi città. La privazione della propria dignità come essere umani, in sintesi. Chi, tra civili, giovani, donne, studentesse e studenti, ora “combatte” per le strade è disarmato, chiede giustizia e pace, eppure la risposta è violenza e repressione.
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Che ruolo hanno avuto i mezzi di comunicazione?
"La situazione è abbastanza preoccupante, non si presenta una soluzione a breve termine"
I grandi media nazionali, in mano alle famiglie più ricche, hanno sostenuto il governo e hanno criminalizzato la protesta creando un clima di paura. La stampa indipendente ha invece raccontato ciò che accadeva e accade nelle strade, le azioni comunitarie prodotte dal basso. I manifestanti hanno documentato e diffuso le notizie, anche sulle violazioni subite. Anche la stampa internazionale che in questo caso si è fatta sentire, riportando con imparzialità le notizie e riprendendo gli scontri feroci delle forze dell’ordine contro chi manifestava. Grazie a loro, ai social network, ai vari movimenti e organizzazioni per i diritti umani che hanno formato collettivi di comunicazione, abbiamo potuto far conoscere la realtà che i media nazionali vogliono insabbiare. Ciò è stato possibile le prime settimane, poi abbiamo subito la censura sistematica delle informazioni che diffondevamo sulle nostre reti. Addirittura sono iniziati frequenti black-out dell’elettricità e di internet proprio nei momenti in cui erano messe in atto le azioni repressive della polizia, a cui si è aggiunto il divieto da parte dei social di pubblicare contenuti sullo sciopero. Sono queste le ragioni che hanno portato ad avere oggi molte meno informazioni sui casi di violazioni dei diritti umani rispetto alla copertura mediatica ricevuta durante le prime mobilitazioni.
Che prospettive pensi ci siano per il paese?
"Un po’ di speranza nascerà con le elezioni presidenziali del prossimo anno, ma serviranno gli osservatori internazionali"
La situazione è abbastanza preoccupante, non si presenta una soluzione a breve termine, forse a causa della spirale che si è creata, da una parte il rifiuto al dialogo del governo, la corruzione del sistema giudiziario e l'aumento delle violenze di Stato, dall’altra il crescente malcontento sociale. La popolazione non si sente ascoltata e riconosciuta, anzi subisce continui soprusi, aspetto che aggrava il conflitto.
È possibile che un po’ di speranza arrivi con le elezioni presidenziali del prossimo anno, ma sarebbe fondamentale che tale processo fosse accompagnato da osservatori internazionali, considerato il rischio di brogli e sabotaggi. Per il momento l’unica via possibile è continuare a mettere in atto meccanismi di resistenza volti al dialogo e al riconoscimento del diritto alla mobilitazione.
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