Yujia Hu, in arte Theonigiriart
Yujia Hu, in arte Theonigiriart

Cittadini cinesi in Italia: dare senso a una generazione

Yujia Hu, in arte Theonigiriart, è un sushi artist che non sa scegliere tra la cittadinanza italiana e quella cinese. La comunità asiatica è una delle più restie a chiedere la cittadinanza. Lo fanno 5 ogni 100 aventi diritto. Una questione di tradizione e di peso geopolitico

Natalie Sclippa

Natalie SclippaRedattrice lavialibera

10 dicembre 2021

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"Se Pechino ammettesse la doppia cittadinanza, vorrei averle entrambe: italiana e cinese. Aspetto che ci sia questa possibilità", racconta Yujia Hu, creatore che trasforma il sushi in opere d’arte. Nato in Cina nel 1988, si è trasferito in Italia compiuti gli otto anni, raggiungendo i genitori, arrivati nella penisola sette anni prima, e si è stabilito a Milano. Il crinale su cui si gioca l’integrazione dei e delle giovani cinesi nel nostro Paese sta tutto in questo bivio: rimanere un cinese in Italia o diventare un italiano di origine asiatica? La Repubblica popolare governata da Xi Jinping non ammette doppia cittadinanza e ciò obbliga le nuove generazioni cresciute in Italia a una scelta non facile. 

Secondo i dati del ministero dell’Istruzione e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nel 2020 soggiornano regolarmente in Italia 301.073 cinesi, che rappresentano l’8,3 per cento sul totale dei residenti non comunitari

Secondo i dati del ministero dell’Istruzione e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nel 2020 soggiornano regolarmente in Italia 301.073 cinesi, che rappresentano l’8,3 per cento sul totale dei residenti non comunitari, la terza per numero di presenze, dopo Marocco e Albania. Sono 78.876 i minori di 18 anni. Tra gli studenti, l’84,7 per cento è nato in Italia, con un aumento di 27mila unità – il 91,5 per cento – dall’anno scolastico 2010/2011 al 2019/2020. Per loro l’integrazione è anzitutto scegliere il modo in cui farsi chiamare.

"Sono Yujia Hu. Il nome è importante, perché definisce la persona. Se ci si fa chiamare in un altro modo, si perde la tradizionalità, che non è per forza una brutta cosa: mi serve per mantenere l’equilibrio tra dove sono nato e dove sono". Hu ha le idee chiare e un progetto artistico che ne ha fatto un creativo del sushi: nelle sue mani il cibo prende la forma dei giocatori di basket, delle scarpe della Nike, fino ai personaggi di Squid Game. Theonigiriart è la sua pagina su instagram. Lo incontriamo in via Sarpi, a Milano, cuore della Chinatown meneghina. Ha compiuto tutti gli studi, scegliendo il liceo artistico, che ha abbandonato al quarto anno per aiutare la famiglia nel loro ristorante, "come succede a molti primogeniti".

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Cittadinanza sì, cittadinanza no 

Hu ha mantenuto il passaporto di nascita, come molti altri connazionali. "Tanti lo tengono perché sono orgogliosi della patria. A volte può essere un’emozione superficiale. Poi ci sono cittadini italiani che “vivono da cinesi”, come mio fratello, che conserva ritmi e mentalità". La comunità cinese è una delle più restie a chiedere la cittadinanza. Secondo i dati 2020-2021 di Istat, ogni 100 stranieri ci sono in media 29 nuovi cittadini, mentre per la collettività sinodiscendente sono solo 5 ogni 100. 

"Tanti lo tengono perché sono orgogliosi della patria.  Poi ci sono cittadini italiani che vivono da cinesi, come mio fratello, che conserva ritmi e mentalità"

Lui non si sente legato a quella terra lontana. Parla la lingua, ma non la sa scrivere e tre anni fa ha visitato il Paese, l’ha vissuto “come turista”. "Il web ci dà la possibilità di non avere confini e arrivare ovunque, come l’arte. Possiamo essere chiunque. Non voglio definirmi cinese o italiano. Il Paese è accogliente, poi ci sono sempre quelli con i pregiudizi. Come quando telefoni per un affitto: finché parli in italiano va tutto bene, poi dici il nome e cominciano i problemi. A me non è mai capitato, ma è successo a persone a me molto vicine".

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Conflitto generazionale

"Non è solo un pezzo di carta, ma una priorità. Il nostro Paese è già multietnico. Prima ce ne accorgiamo, prima riusciremo ad avere una visione per il futuro"Jada Bai - Insegnante e mediatrice

Jada Bai, docente di lingua e cultura cinese e mediatrice linguistica, si spende per dare voce alla minoranza cinese in Italia, sfatando pregiudizi attraverso il racconto delle tradizioni e dei modi di fare. Partendo dall’esperienza di questi anni, spiega che tante volte esiste un vero e proprio scontro tra ciò che i giovani vivono e il ricordo nostalgico dei loro genitori. "In questo momento, la Repubblica popolare è grande e potente. Tanti pensano che tornare possa offrire loro opportunità di lavoro. Se qui ci si sente stranieri, i ragazzi possono vivere nel mito portato dai loro genitori. Questo complica ancora di più la ricerca e la formazione dell’identità". Sulla questione della cittadinanza, è chiara. "Se ci fosse, i giovani di seconda generazione vivrebbero già con i piedi per terra. Penserebbero: “La scuola italiana mi ha educato, quindi non solo mi sento cittadino, ma ho anche il passaporto”".

Alla fine, Bai spiega come si tratti "di dare senso a una generazione: non è solo un pezzo di carta, ma una priorità. Il nostro Paese è già multietnico. Prima ce ne accorgiamo, prima riusciremo ad avere una visione per il futuro. Allo stato attuale, siamo un po’ miopi". La riforma non sarebbe solo il mezzo per arrivare al riconoscimento di una parte della comunità “di fatto” italiana, ma anche orgoglio e sollievo. "Le nuove generazioni di immigrati, se avessero il diritto di voto, potrebbero sbilanciare le elezioni. Sono nati e cresciuti qui, con un certo livello di cultura. Non hanno bisogno della pietà di nessuno e non hanno paura di aver lasciato tutto per ricominciare una nuova vita". Anche lei ha deciso di rinunciare al passaporto cinese e diventare italiana, vivendo nella penisola da quando aveva quattro anni.

Soluzioni multiculturali

Scegliere non è sempre facile. Da una parte, può esserci la voglia di far parte del Paese a cui senti di appartenere, in cui magari si è cresciuti; dall’altra, non si può non notare il salto economico e tecnologico dello Stato asiatico e voler beneficiare di alcuni vantaggi geopolitici. "Fino a 10 anni fa, poteva essere considerato uno Stato del terzo mondo; oggi, lo scenario è completamente diverso per chi nasce e cresce nella “diaspora”", commenta la docente, mentre l’instagrammer ammette: "Si evolve velocemente e attrae. Ma i giovani in Cina spesso sono dipendenti da social e giochi. Preferisco vivere qui la mia universalità".

Da lavialibera n°11 2021

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