15 febbraio 2022
La Corte costituzionale ha bocciato il quesito del referendum per depenalizzare la coltivazione "casalinga" della cannabis e alcuni reati legati all'uso delle droghe leggere. Il presidente della Consulta, Giuliano Amato, lo ha reso noto nel corso di una conferenza stampa mercoledì 16 febbraio. Amato ha affermato che le formulazioni sottoposte dai sostenitori della campagna Cannabis legale, se approvati, avrebbero provocato delle storture e violato i trattati internazionali: "Il referendum non era sulla cannabis, ma sulle sostanze stupefacenti. Si faceva riferimento a sostanze che includono papavero, coca, le cosiddette droghe pesanti. E questo era sufficiente a farci violare obblighi internazionali".
I giudici della consulta hanno dovuto valutare otto quesiti che i promotori vorrebbero sottoporre agli elettori. C'erano i sei quesiti sulla giustizia promossi dai Radicali e dalla Lega: di questi ne sono stati accolti quattro. C'era quello sull’eutanasia, proposto dopo una tradizionale raccolta firme, ma bocciato dagli "ermellini". Infine c'era quello sulla cannabis, voluto dalle associazioni Luca Coscioni, Meglio Legale, Forum Droghe, Società della Ragione, Antigone e da alcuni rappresentanti dei partiti +Europa, Possibile e Radicali italiani. Per chiedere un referendum su quest’ultimo ambito, i promotori hanno raccolto 630mila sottoscrizioni nell’arco di un mese anche grazie alla firma digitale, come previsto da un emendamento voluto da Riccardo Magi di +Europa.
Nonostante gli sforzi e nonostante Amato, nei giorni scorsi, avesse richiamato i colleghi a impegnarsi "al massimo per consentire, il più possibile, il voto popolare” ed "evitare di cercare a ogni costo il pelo nell’uovo per buttarli nel cestino", gli "ermellini" non hanno potuto esimersi dal rilevare dei difetti nei quesiti sull'eutanasia e sulla cannabis. "È incredibile questa decisione della corte costituzionale dopo che il referendum è stato sottoscritto da 600mila cittadini. Dopo la decisione sull'eutanasia di ieri possiamo dire che in questo paese è impossibile promuovere dei referendum. La corte costituzionale ha fatto quello che il presidente Amato ha detto pochi giorni fa che non andava fatto, cioè cercare il pelo nell'uovo", ha commentato Riccardo Magi, deputato e presidente di Piu' Europa, davanti alla Consulta.
La questione, ora, resta in mano al parlamento dove giace una proposta di legge – approvata dalla commissione Giustizia della Camera – che depenalizza la coltivazione di quattro piante di cannabis.
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Innanzitutto non si tratta di legalizzare la cannabis in maniera generale e incondizionata. Il quesito proposto agisce in maniera chirurgica su alcuni aspetti del Testo unico degli stupefacenti (Dpr 309/90), cercando di “attenuare le pene rispetto a fatti che, anche secondo recenti sentenze della Cassazione, non mettono in pericolo l’ordine pubblico e la sicurezza, né ledono la salute individuale e collettiva”, scrivevano su Il manifestoGiulia Crivellini e Letizia Valentina Lo Giudice, avvocatesse che hanno lavorato alla formulazione del quesito.
Il quesito referendario valutato dai giudici della Consulta prevede:
l’abrogazione del verbo “coltiva” dal comma 1 dell’articolo 73, che depenalizza la coltivazione (quindi non sarà non più punibile);
l’abrogazione delle pene detentive da 2 a 6 anni dal comma 4 dello stesso articolo 73 per quanto riguarda produzione, vendita, cessione e altre condotte ma relativamente alle sostanze indicate nelle tabelle II e IV del testo sugli stupefacenti (prodotti della cannabis e altre droghe leggere), lasciando però in vigore le multe da migliaia di euro;
l’abrogazione di alcune sanzioni amministrative previste dall'articolo 75, in particolare la sospensione della patente, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli, oltre che del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori.
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Stando a quanto riferito da Amato nel corso della conferenza stampa, il primo quesito sarebbe intervenuto sulla coltivazione delle sostanze inserite nelle tabelle I e III del Testo unico sugli stupefacenti e si tratterebbe quindi legato all'eroina e alla cocaina, non alla cannabis, inserita nella tabella II. Tutto questo sarebbe contrario a quanto previsto dai trattati internazionali in materia, a cui le leggi italiane devono conformarsi.
Hanno quindi fatto loro uno degli argomenti sollevati dal Comitato per il No alla droga legale che aveva chiesto e ottenuto la possibilità di intervenire nel corso della camera di consiglio di martedì con un intervento ad opponendum (cioè contrario). Il comitato, presieduto da Angelo Vescovi, medico e professore che in passato ha condotto una battaglia contro la procreazione assistita.
Secondo questo comitato, costituito il 21 dicembre scorso, il referendum avrebbe alcuni effetti negativi. In particolare, sostengono che permetterebbe anche la coltivazione del papavero da oppio e della coca. “L’evidente maggiore remuneratività derivante dal dedicare un appezzamento di terreno alle piante di cannabis invece che al basilico o ai pomodori trasformerà agricoltori spinti dall’esclusivo intento di profitto in emuli dei talebani o di narcos latino-americani, con possibilità di spaziare all’oppio e alla coca”, si legge sul sito del comitato. Tuttavia – per dirne una – non considerano che per ottenere eroina e cocaina bisognerebbe avviare una “raffinazione” che rimarrebbe vietata dalla legge.
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"Le motivazioni addotte dal presidente Amato e le modalità scelte per la comunicazione sono intollerabili – ha commentato Marco Perduca, presidente del Comitato Referendum Cannabis –. Il quesito non viola nessuna convenzione internazionale tanto è vero che la coltivazione è stata decriminalizzata da molti paesi, ultimo tra questi Malta. Il riferimento del presidente alle tabelle è fattualmente errato: dall'anno della bocciatura della legge Fini Giovanardi (2014) il comma 4 è tornato a riferirsi alle condotte del comma 1, comprendendo così cannabis. La scelta è quindi tecnicamente ignorante e esposta con tipico linguaggio da convegno proibizionista". "Alcune delle motivazioni che abbiamo ascoltato hanno dell'incredibile", è il commento del deputato Magi a Radio Capital: "Il presidente Amato ha detto che siamo intervenuti sul comma 1 dell'articolo 73 che non riguarderebbe solo la cannabis, ma il comma 4 riporta le stesse condotte del comma 1 – spiega Magi –. Il comma 1 dell'articolo 73 riguarda con una serie di condotte la tabella 1 e 3; il comma 4, che riguarda la tabella 2 e 4, quindi dove c'è la cannabis, dice che per le stesse condotte di cui al comma 1 si applica quest'altra pena. Non potevamo che intervenire sul comma 1, semplicemente perché il comma che riguarda la cannabis dice 'per le stesse condotte di cui al comma 1".
Quella stabilita dalla Corte costituzionale è la quarta decisione sfavorevole sul tema. Come ha ricordato Giulia Crivellini nel corso del convegno "Referendum Cannabis - Le buone ragioni del diritto" il 4 febbraio scorso a Roma, "con tre diverse pronunce, rese nel 1981, nel 1993 e nel 1997, la Consulta affrontò i giudizi di ammissibilità delle richieste di referendum popolare per la parziale abrogazione della legge 22 dicembre 1975, n. 685, nel primo caso, e di alcune disposizioni del Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, negli ultimi due". In due casi, come nella decisione odierna, "i quesiti furono giudicati inammissibili in virtù degli obblighi di penalizzazione o di sanzione previsti all’interno di Trattati internazionali, quali le Convenzione unica sugli stupefacenti di New York del 1961, la Convenzione sugli psicotropi di Vienna del 1971 e la Convenzione delle Nazioni unite contro il traffico illecito di stupefacenti del 1988, ratificate dal nostro paese". Negli ultimi anni, a livello internazionale molte norme sulla cannabis sono cambiate, ma forse non in maniera sufficiente per la Consulta.
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