Mirandola. Foto: Sofia Nardacchione
Mirandola. Foto: Sofia Nardacchione

Viaggio nell'Emilia del terremoto, dieci anni dopo

Alle 4 di mattina del 20 maggio 2012, una scossa di magnitudo 5.9 colpisce la pianura padana emiliana. Da allora, si è preferito rimettere in sesto gli edifici privati. Il punto sulla ricostruzione dei comuni più colpiti dal sisma, tra scelte politiche, finanziamenti e infiltrazioni mafiose

Sofia Nardacchione

Sofia NardacchioneGiornalista freelance

20 maggio 2022

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“La fine è ancora lontana”. “Non siamo alla fine della ricostruzione, quello che abbiamo intorno lo racconta chiaramente”. “Credo che ci vorranno almeno altri sei o sette anni prima di poter dire che è tutto ricostruito”. Nelle città e nei paesi al centro del cratere del terremoto del 2012 in Emilia i cantieri occupano ancora le piazze e le strade: sono la prima cosa che si vede quando si entra nei centri storici. Intorno, però, ci sono case ricostruite e, nelle periferie delle città emiliane, nessun container, nessuna tendopoli né moduli abitativi: quasi la totalità delle persone è tornata nelle proprie case. 

Sisma nel Centro Italia, quattro anni dopo 

Dieci anni fa il paesaggio era completamente diverso. Erano le 4.03 del 20 maggio 2012 quando la prima scossa di magnitudo 5.9 ha colpito la pianura padana emiliana: l’epicentro è Finale Emilia, comune della bassa modenese.

Alle 4.03 del 20 maggio 2012, la prima scossa di magnitudo 5.9 colpisce la pianura padana emiliana: l’epicentro è Finale Emilia, comune della bassa modenese

Da quel momento lo sciame sismico è continuato, fermandosi definitivamente solo quattro anni dopo, ma, prima, altre due scosse devastanti: quelle del 29 maggio alle 9.00, con epicentro nella zona compresa fra Mirandola, Medolla e San Felice sul Panaro, e alle 13. Il bilancio è grave: ventotto morti, interi paesi distrutti, 42mila sfollati, danni per più di 13 miliardi di euro. 

Nella ricostruzione la scelta è diversa da comune a comune, mantenendo un’attenzione particolare: puntare subito sull’edilizia privata, per far tornare il prima possibile a casa gli sfollati, e far ripartire il prima possibile il lavoro, in un territorio che produceva allora il 2,4% del PIL nazionale.

Gli obiettivi immediati della ricostruzione erano due: far tornare a casa gli sfollati e far ripartire il lavoro

Una scelta rappresentata dai dati pubblici della ricostruzione, presenti sul portale della Regione Emilia-Romagna: per le opere pubbliche sono stati ad oggi assegnati 817.643.275,80 euro per 2.300 interventi, per gli interventi privati invece sono 5.059.517.013,30 euro i soldi assegnati per 13.368 interventi. Il paesaggio che si vede oggi nelle città della zona rossa è il frutto di quella scelta: una ricostruzione che ha funzionato e che ha reso possibile il rientro veloce nelle case dei cittadini delle zone terremotate, ma che ha lasciato per ultima l’edilizia pubblica e, quindi, i luoghi culturali e di aggregazione. “Chi narra che la ricostruzione in Emilia è stata straordinaria ha tutte le ragioni del mondo per poterlo fare, ma io mi domando: a che prezzo abbiamo dovuto accogliere e accettare questa narrazione?”, afferma Francesco Dondi, giornalista de La Gazzetta di Modena. “Con il senno di poi – continua – dico che qualcosa all’interno della ricostruzione pubblica dei paesi non ha funzionato e ci troviamo così con centri storici comunque vuoti, con piccole attività commerciali in grossissima difficoltà perché non c’è neanche l’attrattività dei servizi comunali o dei servizi basilari del welfare”. 

C’è un altro punto che spesso manca nella narrazione pubblica di una ricostruzione in buona parte riuscita: le infiltrazioni mafiose. Dopo il sisma la Regione Emilia-Romagna istituisce le cosiddette “white list” – cioè elenchi di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a rischio di inquinamento mafioso – in settori che riguardano la ricostruzione post-terremoto: tutti coloro che intendono operare nell'ambito della ricostruzione devono chiedere di essere iscritti in una delle white list. Anche se in quantità molto minore rispetto ad altri terremoti, le presenze e gli interessi mafiosi ci sono stati e hanno avuto un impatto concreto su alcuni dei comuni terremotati. Vediamo cosa è successo comune per comune.

San Felice sul Panaro

“Ho vissuto a Bologna la  scossa del 29 maggio: le persone  erano in panico, camminavano sotto i portici cercando di capire cosa fosse successo. Ho vissuto a lungo in questo clima di incertezza e terrore, perché tra il 20 e il 29 maggio si sono susseguiti  nove giorni di scosse, piccole e grandi, e lo sciame sismico si è interrotto solo dopo quattro anni. C’era sempre paura che tornasse”. Antonella Cardone oggi è direttrice di sulpanaro.net, testata giornalistica locale, e vive a San Felice sul Panaro, comune della bassa modenese di poco più di 10mila abitanti, epicentro della seconda scossa, quella del 29 maggio.

“La ricostruzione oggi è al 90%, l’edilizia privata è a posto, tutte le case praticamente sono state ricostruite, gli edifici pubblici anche. Cosa resta indietro? Le chiese, i punti storici e culturali”Antonella Cardone - direttrice de sulpanaro.net

“La ricostruzione oggi è al 90 èer cent6, l’edilizia privata è a posto, tutte le case praticamente sono state ricostruite, gli edifici pubblici anche. Cosa resta indietro? Le chiese, i punti storici e culturali”, racconta Cardone. E continua: “I problemi che lascia la ricostruzione sono tanti: c’è ad esempio il problema dell’amianto, che è un problema gigantesco”.

Amianto a San Felice sul Panaro.
Amianto a San Felice sul Panaro.

Appena fuori dal centro di San Felice c’è un grande spazio commerciale, “Ri-Commerciamo”, costruito dopo il terremoto per ospitare le attività commerciali che non avevano più uno spazio perché distrutto dalle scosse: pronto per essere inaugurato nel 2012, aprirà solo un anno dopo. Il motivo: le fondamenta contengono amianto. Un aspetto che accomuna questo luogo con altre zone di San Felice: nella zona industriale del comune della bassa modenese c’è una vera e propria montagna alta decine di metri e contenente tonnellate di detriti provenienti dagli edifici distrutti dal terremoto. Anche qua è stato trovato amianto. E così in aree vicine ai campi di accoglienza dove vivevano le persone che avevano perso la propria casa nel terremoto, scuole, cimiteri, parchi pubblici, tra i comuni della bassa modenese e reggiana.

'Ndrangheta: 700 anni di carcere al maxiprocesso Aemilia

Sono tutti luoghi che sono finiti all’interno di Aemilia, il maxiprocesso alla ‘ndrangheta emiliana e, nel corso delle indagini, risultano essere legati in particolare a un personaggio: Augusto Bianchini. Secondo gli investigatori, nei luoghi dei cantieri dove ufficialmente lavora la Bianchini Costruzioni srl, azienda dell’imprenditore di San Felice sul Panaro, sarebbero state effettuate operazioni non consentite di recupero e miscelazione di grandi quantitativi di rifiuti, senza procedere alla distinzione dei rifiuti non pericolosi da quelli pericolosi: tra questi, anche quelli contenenti amianto, che sarebbero stati mischiati con terre da scavo prima di essere utilizzati nella ricostruzione. Cantieri dove lavorava anche la presenza ‘ndranghetista al centro di Aemilia: “La ditta Bianchini - si legge nella carte del processo - era asservita alle richieste ed alle attività della cosca calabro-emiliana, che per il tramite di Bolognino Michele e di Giglio Giuseppe puntava sulle potenzialità economiche ed industriali della regione (sfruttando anche la stessa ditta Bianchini) per attuare le proprie strategie imprenditoriali e finanziarie ed infiltrarsi nel settore edilizio e dei trasporti emiliani, approfittando tra l’altro proprio ed anche della ricostruzione post-sisma”. Per questo, Bianchini è stato condannato in via definitiva a 9 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.

“La ditta Bianchini era asservita alle richieste ed alle attività della cosca calabro-emiliana, che per il tramite di Bolognino Michele e di Giglio Giuseppe puntava sulle potenzialità economiche ed industriali della regione per attuare le proprie strategie imprenditoriali e finanziarie ed infiltrarsi nel settore edilizio e dei trasporti emilianiProcesso Aemilia

I reati ambientali

Intanto, mentre le zone contenenti amianto non in tutti i casi sono state bonificate ma solo protette - come nel caso della “montagna” che svetta nella zona industriale a pochi chilometri dal centro storico - la vicenda di Bianchini, anche dopo la sentenza definitiva di Aemilia, continua a essere discussa nei tribunali emiliani: Augusto Bianchini, che ha messo a disposizione della ‘ndrangheta la propria impresa, sarebbe riuscito a lavorare nella prima fase della ricostruzione post-terremoto grazie anche all’intervento di rappresentanti dello Stato. A fare luce su quest’ultimo aspetto è il processo White List, che vede tra gli imputati 12 persone – la maggior parte che hanno o hanno avuto ruoli istituzionali – accusate di minacce a corpo amministrativo dello Stato e rivelazione di segreti d’ufficio per aver tentato di eliminare l’interdittiva antimafia all’imprenditore. Le imprese dell’imprenditore erano infatti state escluse dalla white list a causa dei suoi rapporti con esponenti della mafia: allora, secondo l’accusa, a intervenire in suo favore erano stati non solo l’ex vice prefetto di Modena e un funzionario dell’agenzia delle Dogane, condannati in primo grado, ma anche l’ex senatore Carlo Giovanardi, sulla cui immunità deciderà la Corte costituzionale. Le vicende giudiziarie legate a Bianchini non finiscono ancora qui, perché ce n’è un’altra che riguarda Finale Emilia.

Così Giovanardi cerco di aiutare i Bianchini

Finale Emilia

“Dopo la prima scossa del 20 maggio ce ne sono state tante altre. Si sentiva un boato che arrivava dal centro della terra e faceva muovere l’asfalto, i lampioni. La mattina del 29 maggio ne arriva una violentissima e di nuovo sono uscito di casa fuggendo”. Francesco Dondi, giornalista della Gazzetta di Modena, racconta così quello che è successo a Finale Emilia, epicentro della scossa di terremoto del 20 maggio.

Finale Emilia è una città simbolo del sisma: l’immagine della torre dell’orologio spezzata a metà viene pubblicata, nel maggio del 2012, su tutti i giornali. Oggi quella torre è completamente spezzata, relegata nell’angolo della piazza e ancora chiusa tra i ponteggi, così come la maggior parte degli edifici pubblici

Una città simbolo del sisma: l’immagine della torre dell’orologio spezzata a metà viene pubblicata, nel maggio del 2012, su tutti i giornali. Oggi quella torre è completamente spezzata, relegata nell’angolo della piazza e ancora chiusa tra i ponteggi, così come la maggior parte degli edifici pubblici, come il municipio, il teatro, l'ospedale, le vecchie scuole. Discorso diverso vale per l’urbanistica, per la ricostruzione privata: Finale da questo punto di vista sta tornando ad essere un gioiellino estetico". 

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Finale Emilia è colpito anche da un’altra scossa, metaforica, che condizionerà  sia la vita politica sia l’andamento della ricostruzione nel comune: l’arresto  il 28 gennaio 2015 di Giulio Gerrini, capo ufficio ai lavori pubblici, anch’egli all’interno dell’operazione Aemilia. Gerrini sarà condannato in via definitiva a 2 anni e 4 mesi per abusi d’ufficio plurimi commessi tra il 2012 e il 2015 e in particolare per aver favorito la Bianchini Costruzioni srl, affidandogli alcuni appalti senza seguire il normale iter: come si legge nelle motivazioni della sentenza, “Il gup riteneva compiutamente accertato che l’imputato avesse favorito le imprese di Bianchini Augusto, Bianchini Alessandro e Braga Bruna negli appalti conferiti in materiale edile e di smaltimento rifiuti a seguito del terremoto in Emilia, mettendoli prima del tempo al corrente dei termini stabiliti dalla Regione, concordando con essi preventivamente le strategie di intervento ed i progetti e così favorendo gli stessi e se medesimo, cui veniva riservato il 2 per cento dell’importo a base d’asta dei lavori commissionati quale progettista, direttore dei lavori e responsabile della sicurezza: ruolo che di fatto egli non svolgeva, o per cui ometteva comunque i dovuti controlli”.

"L’arresto di Giulio Gerrini – afferma Dondi – è stato un grossissimo problema operativo per il paese: aveva tra le mani tutta la ricostruzione. Dopo l’arresto tutta la macchina burocratica del Comune di Finale Emilia si blocca, nessuno fa più niente, nessuno si assume la responsabilità di prendere decisioni e la macchina si ferma". E così, dopo una ricostruzione partita velocemente, nel comune tanto è ancora da fare. 

Mirandola

"Dopo la prima scossa abbiamo allestito uno studio mobile della radio per continuare a trasmettere. Dopo pochi giorni è arrivata l’autorizzazione a rientrare: per noi il terremoto era finito lì. La seconda scossa è stata pesante, la sede della radio è al sesto e settimo piano del nostro palazzo e l’oscillazione è stata paurosa.

“I nostri ascoltatori che abitavano fuori dal cratere sismico telefonavano per chiedere di cosa c’era bisogno e noi siamo riusciti in questo modo a mettere in contatto le persone e a procurare quello che serviva”Alberto Nicolini - presidente di Radio Pico

Dopo esserci allontanati, ci siamo trovati in una situazione kafkiana: la radio continuava ad andare come se nulla fosse successo". A raccontare la situazione durante le scosse di terremoto a Mirandola, comune di 24mila abitanti in provincia di Modena, è Alberto Nicolini, presidente di Radio Pico: “I nostri ascoltatori che abitavano fuori dal cratere sismico telefonavano per chiedere di cosa c’era bisogno e noi siamo riusciti in questo modo a mettere in contatto le persone e a procurare quello che serviva”.

Mirandola, epicentro della seconda forte scossa, è una delle zone più colpite dal terremoto: qua le attività del centro storico sono state spostate e il cuore del comune è rimasto spopolato per anni. Nonostante la maggior parte delle persone siano tornate nelle loro case, come negli altri comuni del cratere, ancora oggi il centro storico è quasi vuoto, le chiese in costruzione, ponteggi e cantieri occupano le vie principali. Per altri aspetti, invece, la ricostruzione è stata veloce, in nome della produttività del territorio: "L'hanno chiamato “il terremoto dei capannoni” – spiega Nicolini – perché i capannoni della zona sono crollati e in alcuni casi hanno fatto vittime. Mirandola è un distretto importante per la produzione di dispositivi medici, è secondo nel mondo, e se il dispositivo medico manca all’ospedale, l’ospedale non fa la terapia.

Il 70 per cento dei dializzati italiani fa terapia tre volte alla settimana utilizzando dispositivi fabbricati nel mirandolese

Il 70 per cento dei dializzati italiani fa terapia tre volte alla settimana utilizzando dispositivi fabbricati nel mirandolese. Quindi, il dato più significativo che mi piace ricordare è che negli ospedali italiani non si è perso un giorno di dialisi perché qui noi non ci siamo mai fermati". E così è stato anche in altri comuni e in altre fabbriche e luoghi di lavoro: "Gran parte dei morti che ci sono stati nel terremoto Emilia – afferma Antonella Cardone – erano operai e lavoratori che erano tornati in fabbrica e che avevano avuto rassicurazione che la fabbrica era sicura. Invece poi la seconda scossa l’ha fatta crollare".

In quegli stessi giorni, su frequenze diverse, erano anche altri i discorsi che venivano ascoltati e che parlavano, in altro modo, di produttività: “A Mirandola è caduto un altro capannone” dice al telefono Gaetano Blasco. Antonio Valerio, ridendo, risponde: “Eh, allora lavoriamo là”. E ancora, in risposta: “Ah sì, e allora cominciamo, facciamo il giro. Dobbiamo preparare quattro o cinque società e iniziare a lavorare”. Era martedì 29 maggio quando la telefonata viene intercettata: Gaetano Blasco e Antonio Valerio non sono persone comuni, ma uomini di ‘ndrangheta. Entrambi verranno poi condannati all’interno del processo Aemilia. 

Crevalcore

“Il 29 maggio è stato tremendo, io ero a scuola, a Modena, ma non riuscivo più a sentire né mia madre né mio padre, che erano a Crevalcore, una delle zone più colpite. Vivevamo in un palazzo di cinque piani: ho subito pensato se, dopo la prima scossa, l’edificio avesse retto anche la seconda. Quando siamo tornati, tutto il centro storico era in zona rossa: improvvisamente ci siamo trovati a essere un comune terremotato”. Emma Monfredini oggi è assessora alla Sanità e alle Politiche sociali del Comune di Crevalcore, l’unico comune in provincia di Bologna nella zona del cratere. Il centro, a differenza di Finale Emilia dove il cuore pulsante della città non ha mai chiuso completamente, è stato inaccessibile per anni e oggi, seppur aperto e percorribile, ha ancora diversi cantieri aperti: “Sui privati ormai c’è pochissimo da finire, ma sul pubblico c’è ancora tanto da fare, tra cui i palazzi più importanti: il Comune, il teatro, Porta Modena, che hanno aspettato. È stata una scelta di priorità”, spiega Monfredini. 

Teatro di Crevalcore, in ricostruzione
Teatro di Crevalcore, in ricostruzione

Anche a Crevalcore, poi, ci sono stati problemi di tentativi di infiltrazioni mafiose: l’azienda che aveva l’appalto per la ricostruzione di 12 villette con alloggi Erp (Edilizia residenziali pubblica, ndr) che il Comune avrebbe destinato all’emergenza degli sfollati, la Sagi Immobiliare, viene bloccata dalla prefettura per pericolo di infiltrazioni mafiose: “Quando è arrivata la segnalazione della prefettura – spiega l’assessora – si è fermato tutto e la segnalazione ha quindi funzionato, ma fu un fatto che sottolineò come, anche se l’attenzione è sempre alta, le mafie qua hanno trovato sicuramente un terreno fertile: un terremoto per loro significa soldi. Per il nostro territorio per fortuna quello è stato l’unico caso, la prefettura è intervenuta subito, noi ci siamo fermati e tutto è stato controllato”.

L'appalto per la ricostruzione di 12 villette con alloggi Erp viene bloccato dalla prefettura per pericolo di infiltrazioni mafiose

Storia diversa ha invece avuto la ricostruzione delle scuole elementari: l’appalto era stato vinto dalla Coop Costruzioni, poi fallita. Un caso che, nella ricostruzione, non è isolato: molte imprese che hanno vinto appalti poi non sono riuscite a reggere a livello economico, fallendo e andando così a impattare anche sui tempi della ricostruzione. Così, nel caso di Crevalcore, mentre la scuola è stata ricostruita, il cortile è ancora da concludere.

“L’Emilia-Romagna – conclude Monfredini – viene vista come una regione che non è più in fase di ricostruzione, quando invece avete visto benissimo che non è così. Ho l’impressione che sia un po’ visto come capitolo chiuso, banalmente nell’opinione pubblica: “Gli emiliani si sono rimboccati le maniche”, si dice. Ecco, non si può dire che in Emilia-Romagna basti rimboccarsi le maniche, perché gli anni stanno passando e nessuno ha perso tempo, ma c’è ancora molto da fare: finire alcuni cantieri e altri da cominciare”.

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