Credits: Markus Spiske/Unsplash
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Perché non saremo all'incontro dei Fridays for future coi media

Lavialibera è stata invitata alla conferenza su giornalismo e clima organizzata dal Meeting europeo dei Fridays for future, con Repubblica e Green&Blue, Fatto Quotidiano, Nazione, Tpi, Corriere della Sera, Stampa e LifeGate. Ecco perché non parteciperemo

Elena Ciccarello

Elena CiccarelloDirettrice responsabile lavialibera

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25 luglio 2022

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Lavialibera è stata invitata alla conferenza internazionale su giornalismo e clima organizzata dal Meeting europeo dei Fridays for future di Torino, con Repubblica e Green&Blue, Fatto Quotidiano, Nazione, Tpi, Corriere della Sera e LifeGate. Non ci saranno, invece, piccole e medie testate come Altreconomia, Jacobin, Valori, Nuovaecologia, tra le altre, che in questi anni hanno mostrato un’attenzione costante alle questioni ambientali, alle loro cause e ricadute sociali.

L’urgenza è sotto gli occhi di tutti e anche l’informazione può fare la sua parte nei modi che le sono propri: osservare, raccontare e dare voce

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Abbiamo deciso di non partecipare all’evento, mentre saremo presenti alle altre iniziative del Climate social camp, dove si parlerà di acqua, migrazioni, agricoltura, pratiche di lotta e diritti negati, salute ed ecoansia e parteciperanno, tra le molte adesioni, associazioni, attiviste e attivisti, esperti ed esperte di cui potete leggere anche su lavialibera (Comitato No Eni di Civitavecchia, Associazione Ansia da Cambiamento Climatico, Roberto Mezzalama, Mamme Nopfas, Mediterranea…).

Da oggi fino al 29 luglio movimenti, organizzazioni, delegazioni e attivisti da tutto il mondo si incontrano a Torino per discutere di ambiente e crisi climatica. Sono previsti due appuntamenti, il Climate social camp e il Meeting europeo dei Fridays For Future, che si svolgeranno in parallelo e insieme animeranno il corteo che sfilerà per le strade del capoluogo piemontese nella giornata conclusiva di venerdì 29. La città è stata scelta come sede del nuovo incontro internazionale dei Fridays for future durante il primo meeting di Losanna, nel 2019, ma la pandemia ha fatto slittare l'appuntamento fino a quest'anno. "Torino detiene il triste primato di avere l'inquinamento atmosferico più alto d'Europa" spiegano gli organizzatori del Fridays. Le temperature elevate e la siccità di questi mesi ne hanno poi fatto la sede ideale per discutere di "una crisi planetaria con effetti ecologici, sociali ed economici altamente impattanti", come è scritto nel programma dell'iniziativa. Gli eventi sono divisi in due parti: al campus Luigi Einaudi, una delle sedi dell'Università di Torino, si terranno le sessioni del meeting europeo dei Fridays for future, che si svolgeranno prevalentemente a porte chiuse, con la sola partecipazione delle delegazioni interne all'organizzazione, mentre al Parco Colletta si tiene il Climate social camp, con incontri, conferenze e proiezioni aperte all'intera cittadinanza. 



"Crediamo nella collaborazione tra attori ecologisti e movimenti sociali che si impegnano su questioni intersettoriali locali, regionali o internazionali. I movimenti che hanno aderito all'assemblea del Climate Social Camp studiano i legami tra il cambiamento climatico, la devastazione ambientale e gli impatti sulla società e sui diritti civili e dei lavoratori, utilizzando diverse prospettive e lenti di analisi. Riteniamo che il networking sia fondamentale per rafforzare il movimento globale per la giustizia sociale sul clima" si legge ancora nel programma del Climate social camp. 


Il contesto che ci ha messo davanti a una scelta

La presentazione delle iniziative ecologiste fa riferimento al ruolo dei media e dei giornali, con toni negativi e sostanzialmente condivisibili. “L’unico finto modo che governi e lobby industriale perseguono per affrontare la crisi climatica è la strumentalizzazione dell’informazione e il greenwashing” dice l’invito al corteo di venerdì 29. Le delegazioni dei FFF si incontreranno il 26 e il 27 luglio per discutere di un tema valutato come sensibile: “Il rapporto con i media è importante per diffondere e amplificare il messaggio sulla crisi climatica, ma spesso questa ricerca dell'attenzione mediatica può distorcere il movimento, spingendolo a diventare qualcosa di diverso e più mainstream, per il desiderio di soddisfare le richieste o le aspettative dei media tradizionali. Come possiamo occupare gli spazi mediatici senza perdere la necessaria radicalità e urgenza del cambiamento, evitando di adattarci ai loro modelli?”.

In questo contesto FFF ha organizzato una conferenza aperta, programmata il 29 pomeriggio, dal titolo: “La grande cecità: come raccontare i cambiamenti climatici nei media”. Invitati a parlare al tavolo alcuni dei big dei quotidiani nazionali: il direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, il direttore del supplemento di Repubblica Green&Blue, Riccardo Luna, la direttrice della Nazione, Agnese Pini, il vicedirettore del Fatto Quotidiano, Salvatore Cannavò, vicedirettrice del Corriere della Sera, Barbara Stefanelli, Giulio Gambino, direttore Tpi, Tommaso Perrone, direttore di LifeGate, Massimo Giannini, direttore della Stampa. E lavialibera, attraverso la sua direttrice. Il tipo di evento e la selezione degli ospiti ci hanno messo di fronte a una scelta.

Fonti di finanziamento, debolezze dell’informazione e mancata orizzontalità

Dal nostro punto di vista, sono tre le questioni principali su cui sarebbe interessante un ampio confronto.

  • Le fonti di finanziamento (e la proprietà) dei giornali. Lo dicono bene le attiviste e gli attivisti del clima riuniti in questo momento a Torino: le redazioni che vivono grazie ai finanziamenti dei colossi industriali o dei gruppi che hanno interesse nelle energie fossili, non sono libere di raccontare le malefatte dei loro padroni. Così si moltiplicano sui quotidiani gli articoli che raccontano puntualmente la cronaca, o “l’emergenza” della crisi climatica, magari con riferimento alle responsabilità individuali di chi lascia il rubinetto aperto mentre si lava i denti, senza un’analisi strutturale e sistemica delle responsabilità e delle ragioni più profonde (e quindi delle soluzioni di lungo corso, anziché le misure tampone) che alimentano il disastro in cui stiamo vivendo. In una parola, anche sui giornali assistiamo a operazioni di greenwashing sempre più subdole e diffuse.
     
  • Le debolezze di un mondo dell’informazione che arranca nel racconto delle fasce più deboli della popolazione, su questioni socio-ambientali, ma non solo. Il giornalismo vive da anni una crisi economica e di fiducia che ne ha messo in discussione il ruolo all’interno degli ordinamenti democratici. Negli anni è finito nel tritacarne il senso attribuito al lavoro di mediazione, di ricerca e racconto di ciò che accade. Per ragioni complesse, che qui non abbiamo tempo di approfondire, si sono radicate sottovalutazioni e indifferenza nei confronti di una funzione sociale ritenuta inutile e a tratti persino dannosa. A volte, anche per ignoranza dei costi che richiede un’informazione di qualità e per una mancata consapevolezza sul profilo delle prime vittime di questo collasso: i senza voce, chi non ha potere né rappresentanza, chi rischia con maggiore facilità di restare preda del ciarlatano di turno. Ciò produce un racconto asimmetrico del mondo, dove hanno maggiore visibilità i già rappresentati e garantiti. Quando parliamo di crisi del giornalismo, parliamo anche di crisi della democrazia. Risolvere la seconda, passa anche dalla soluzione della prima.
Quando parliamo di crisi del giornalismo, parliamo anche di crisi della democrazia. Risolvere la seconda, passa anche dalla soluzione della prima
  • La mancanza di orizzontalità e ascolto reale. La guerra per la sostenibilità dei giornali ha favorito la diffusione di notizie veloci e poco approfondite, quelle che parlano alla pancia del pubblico o che suscitano facili indignazioni. I giornalisti, sempre più precari e proletarizzati, il più delle volte non sono nelle condizioni di allontanarsi dalla scrivania, di studiare e incontrare le persone. La distanza tra l’informazione e la strada forse non è mai stata così grande. 

A lavialibera sentiamo l’urgenza della crisi climatica, ma anche sociale, economica e culturale che stiamo vivendo. La redazione è convinta, come le e gli attivisti ambientali che a migliaia in questi giorni si riverseranno a Torino, che l’urgenza del cambio di passo richieda una buona dose di radicalità e la proposta di nuovi modelli, anche giornalistici. 

Il confronto che ci piacerebbe

Sono queste le ragioni principali per cui non saremo presenti al tavolo della conferenza del 29 luglio. Non per sottrarci al confronto, ma per provare a stimolarne uno più articolato e inclusivo. 

Siamo sinceramente grate e grati a FFF per aver coinvolto lavialibera nell’iniziativa e averci offerto così la possibilità di esprimere la nostra posizione sul rapporto tra informazione e temi ambientali. È vero, stiamo esprimendo il nostro pensiero in modo irrituale, non partecipando alla conferenza. Date le condizioni, questa lettera pubblica ci sembra il modo più rispettoso, onesto e coerente di rispondere alla richiesta che ci è stata fatta e che apprezziamo. In questo momento sentiamo più forte l’esigenza di un altro tipo di confronto. 

Speriamo si creino presto, nel futuro più prossimo, nuove e diverse occasioni per avviare una discussione sul ruolo del giornalismo nel racconto della crisi climatica, magari anche con il coinvolgimento dei delegati FFF, delle e degli attivisti del Climate social camp e delle numerose testate nazionali più sensibili all’argomento (e non in conflitto di interessi). L’urgenza è sotto gli occhi di tutti e anche l’informazione può fare la sua parte nei modi che le sono propri: osservare, raccontare e dare voce. Ma per fare la differenza, voi ce lo insegnate, bisogna cominciare a essere diversi. 

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