Luciano Mottola, sindaco di Melito Di Napoli, arrestato il 18 aprile 2023 (Facebook)
Luciano Mottola, sindaco di Melito Di Napoli, arrestato il 18 aprile 2023 (Facebook)

Il sindaco di Melito di Napoli arrestato per voto di scambio tra clan e politica

Un'inchiesta della Direzione investigativa antimafia ha portato agli arresti di alcuni amministratori e politici di Melito di Napoli accusati di voto di scambio politico-mafioso per aver ottenuto l'appoggio della camorra attraverso il clan Amato-Pagano: soldi, lavoro e candidature per ottenere le preferenze dei residenti delle case popolari

Daniela De Crescenzo

Daniela De CrescenzoGiornalista

19 aprile 2023

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Dimenticate la politica, scordatevi le ideologie, i sogni, i progetti: a Melito di Napoli, come in altri comuni italiani, a decidere le elezioni sono i clan di mafia. Ieri la Direzione investigativa antimafia di Napoli ha portato in carcere sedici persone, tra cui il sindaco Luciano Mottola e il presidente del consiglio comunale Rocco Marrone, e ha costretto agli arresti domiciliari altre due. L'ipotesi dell'accusa, formulata dai pm antimafia Giuliano Caputo e Lucio Giugliano con la procuratrice Rosa Volpe nei confronti di molti indagati, è voto di scambio politico-mafioso. L'inchiesta è la riprova di quello che nel comune a Nord di Napoli, che si definisce "città nemica della camorra" (vedi la foto sotto), tutti sapevano da tempo: a comandare sono gli uomini del clan di camorra Amato-Pagano che da tempo hanno sostituito i Di Lauro, i quali nel dopoterremoto avevano costruito buona parte delle abitazioni dei melitesi.

Melito, ricostruita dai Di Lauro, controllata dagli Scissionisti 

"Città nemica della camorra". Il cartello all'ingresso di Melito Di Napoli (Fotogramma dal video della Dia)
"Città nemica della camorra". Il cartello all'ingresso di Melito Di Napoli (Fotogramma dal video della Dia)

Il primo a spiegare come stavano le cose era stato il collaboratore di giustizia Rosario Pariante, uno dei sette soci della società creata a Scampia dai Di Lauro per comprare e vendere stupefacenti. Nelle sue dichiarazioni, riportate in un’ordinanza del 2018 firmata dai pm Stefania Castaldi ed Henry John Woodcock, il pentito spiega che i Di Lauro negli anni Ottanta avevano costruito "tutta Melito" riciclando nell’edilizia i proventi della droga attraverso società di comodo e costruttori compiacenti. Poi la cittadina di circa 37mila abitanti, a partire dalla prima faida di Scampia, è passata di mano finendo nel controllo delle diverse fazioni degli Scissionisti che si sono contesi il territorio a colpi di mitraglietta. 

Intanto al Comune si succedevano le amministrazioni con sindaci e compagini politiche diverse, ma con un unico comun denominatore: essere ostaggio dei clan che fanno eleggere i sindaci, ma li fanno anche cadere. Come siano andate le cose negli ultimi venti anni lo spiega del resto chiaramente il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, Isabella Iaselli, nell’ordinanza che ha colpito il sindaco Mottola, eletto nel 2021 con una coalizione di centro destra con liste civiche e Fratelli d'Italia, ma anche il presidente del consiglio comunale Marrone e il consigliere di FdI Antonio Cuozzo.

Si parte dal 2003 quando l’ex sindaco di Melito di Npali, Alfredo Cicala, poi condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso, nella veste di responsabile della Margherita nella zona, tentò di osteggiare il candidato Bernardino Tuccillo a favore di Giampiero di Gennaro, poi risultato vincitore della competizione elettorale. “Da quel momento – scrivono i pm – dopo un primo periodo di commissariamento, si alternano in qualità di sindaco Amente Antonio e Carpentieri Venanzio”. Ma a comandare restano sempre loro, i clan, che tengono in pugno i consiglieri (li hanno fatti eleggere loro) e possono quindi far cadere l’amministrazione in qualunque momento. Il numero fatidico è sempre il 13: tredici firme raccolte in consiglio e il sindaco va a casa.

Afragola, clan e politica campano sugli abusivi 

I patti illeciti delle ultime elezioni a Melito di Napoli

Nel 2020 il sindaco Amente viene minacciato da due giovani che a bordo di uno scooter e con il volto coperto gli ordinano di lasciare il posto di sindaco prima di essere "sfiduciato"

Succede nel 2011 ad Amente e poi nel 2013 e nel 2017 a Carpentieri. Una storia vista e rivista e così quando nel 2020 Amente, di nuovo sindaco, viene ancora minacciato, comprende immediatamente di essere a grande rischio e corre dai carabinieri. Racconta, si ricorda nell’ordinanza, di essere stato avvicinato da due giovani che a bordo di uno scooter e con il volto coperto gli avevano ingiunto di lasciare il posto di sindaco prima di essere "sfiduciato". Poi il primo cittadino muore di Covid e ne prende il posto il vice sindaco Luciano Mottola, ma nel 2020 il consiglio viene sciolto nuovamente per le dimissioni dei soliti tredici consiglieri. Il prefetto nomina un commissario prefettizio per la provvisoria amministrazione e si va alle elezioni dell’ottobre 2021.

I protagonisti della vicenda non lo sanno, ma questa volta gli inquirenti seguono in diretta la campagna elettorale attraverso al trojan installato nel telefonino di Emilio Rostan, che nell’inchiesta figura come la “mente” dell’intera vicenda, colui capace di stringere i patti con il clan di camorra. Il nome di Rostan, imprenditore edile e padre dell'ex deputata di Forza Italia Michela Rostan (passata dal centrosinistra a Italia Viva, e infine nel partito del centrodestra, estranea alle indagini), era già comparso nell’indagine a carico dell'ex sindaco mafioso Cicala, di cui era socio nelle imprese di costruzioni.

Dalle intercettazioni risulta evidente un aspetto: chi controlla le piazza di spaccio della zona di edilizia popolare, il clan Amato-Pagano, controlla anche i voti, fondamentali per diventare sindaco, e così chi viene eletto diventa anche ostaggio del clan. Per fornire il suo appoggio, il clan – rappresentato da Salvatore Chiariello detto Totore o' Boxer e Vincenzo Nappi – stringeva un accordo con Vincenzo Marrone, padre del candidato sindaco Nunzio Marrone. Il patto prevedeva la candidatura di tre persone di fiducia nel clan nelle liste, denaro e "l'impegno a soddisfare future esigenze", si legge nell'ordinanza.

Cosa è il voto di scambio politico-mafioso?

Le elezioni, come prevede la legge, si svolgono in due turni: nel primo turno l'organizzazione camorristica sostiene l’aspirante sindaco Nunzio Marrone (non indagato), che però non va al ballottaggio, dove si scontrano Mottola, appoggiato dal centrodestra, e Dominique Pellecchia, sostenuta da Pd e M5s. A questo punto i voti delle cosiddette “palazzine” diventano dunque determinanti e per accaparrarselo Rostan stringe un accordo coi boss (promettendo, ad esempio, posti di lavoro in due aziende del settore ecologico) e passa alle minacce. A una candidata al consiglio comunale, Antonella Liuzzi, viene impedito di fare campagna elettorale: se non obbedirà, le dicono, le faranno chiudere il negozio e la butteranno fuori di casa. Alla fine vince Mottola per 387 voti, mentre Nappi, uomo del clan ritenuto il garante del patto elettorale, viene ucciso il 23 gennaio 2023 mentre mangia in un ristorante.

L'indagine ha fatto emergere anche un presunto episodio di inquinamento dei voti per l'elezione del consiglio della Città metropolitana di Napoli, a cui possono partecipare soltanto gli eletti delle amministrazioni comunali: secondo gli inquirenti, il consigliere di Melito Massimiliano Grande (finito ai domiciliari) ha ricevuto duemila euro da Emilio Rostan per votare la Lista Grande Napoli il 13 marzo 2022.

La politica chiede il commissariamento di Melito

Appena è scattata l’inchiesta l’ex senatore Sandro Ruotolo (Pd), che già aveva presentato un’interrogazione parlamentare sulla situazione di Melito, ha sottolineato che "ci sono migliaia di cittadini a cui viene sospesa la democrazia. Comuni come Castellammare di Stabia e Torre Annunziata sono già stati sciolti per infiltrazioni della camorra”. E sembra difficile dargli torto visto che dal 1991 ad oggi, come risulta dal sito dell’associazione Avviso Pubblico, sono stati 354 i decreti di scioglimento degli enti locali per mafia: di questi solo 24 sono stati annullati. Il deputato M5S Federico Cafiero de Raho, ex procuratore nazionale antimafia, ha chiesto "una commissione prefettizia che faccia luce sulle irregolarità commesse". Secondo Enza Rando, senatrice Pd e responsabile contrasto alle mafie della segreteria del partito, "gli arresti a Melito per reati di scambio elettorale politico mafioso sono un campanello d'allarme oltre che una conferma del fatto che le organizzazioni criminali non smettono di voler mettere le mani sul governo del territorio anche a costo di manovrare la libertà del voto, che rappresenta la più alta espressione democratica del nostro Paese". 

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