Resistere nel sud Pontino è complicato. I pochi luoghi di incontro e attivismo sono lo specchio di un territorio che fatica a trovare la propria identità
Tra le campagne di Fondi c’è un posto che non conosce la frenesia del mercato, il rumore del viavai dei tir, le contrattazioni al ribasso. L’unico suono che accompagna incessante la vita al monastero San Magno è lo scorrere dell’acqua. Le persone vi giungono per le ragioni più diverse: chi in cerca di pace, chi di un letto, chi di un luogo in cui pregare. Un angolo di tranquillità, dove ha sede anche il presidio di Libera del sud Pontino, gestito da don Francesco Fiorillo.
Un baluardo in un territorio in cui si rischia di rimanere spaesati tra Roma e Napoli, in una terra di confine dove l’associazionismo e la voglia di fare spesso si scontrano con il silenzio e l’abitudine. Comunità come quella del monastero, gruppi e movimenti che si battono per i beni comuni, associazioni di volontariato e parrocchie, provano a creare comunità lì dove la società tende a sfilacciarsi.
Sul cancelletto sempre aperto del monastero si legge: "Entra, ti aspettavamo". Superandolo, ci si immerge in un’oasi di alberi, con punti di sosta, il grande edificio di roccia e la chiesa che svetta. I frequentatori lo definiscono un porto di terra, luogo di rinascita e di preghiera sulla via Francigena. Un gruppo di volontari ne sostiene le attività, prendendosi cura dei suoi spazi, ideati per fermarsi e riflettere, scelti come luogo di cura dell’anima anche da cantanti come Simone Cristicchi. Nel giardino spiccano centinaia di mandorli, piantati da genitori che hanno perso i figli e che qui si incontrano per provare a elaborare il lutto. Per don Fiorillo, si tratta di «un luogo di impegno sociale e contemplazione» dove riunire la comunità.
Oltre la crisi idrica
Neppure quando manca l’acqua nei rubinetti, o ne esce solo fango, è facile radunare le persone in piazza e protestare. "Questo è un territorio strano, le persone vogliono essere spensierate", dice Daniela Cardelli, dell’Associazione cittadini per la tutela dei beni comuni di Formia. La storia che racconta è quella di una lotta iniziata nel 2017, quando a causa di una carenza idrica la disponibilità d’acqua nelle case si è ridotta a poche ore al giorno.
Neppure quando manca l’acqua nei rubinetti, o ne esce solo fango, è facile radunare le persone in piazza e protestare
Un'emergenza durata tutta l’estate. Le scarse rassicurazioni dell’allora sindaco Sandro Bartolomeo hanno portato alcuni cittadini a bloccare la strada Litoranea, che collega Roma a Napoli. La protesta pacifica aveva lo scopo di denunciare i disservizi di Acqualatina, il gestore del servizio idrico nella zona di riferimento di Formia (Ato4) e i piani di costruzione di ulteriori pozzi. Il problema, secondo i manifestanti, risiede nella malagestione della rete, che presenta tassi elevatissimi di dispersione, ancora oggi vicini al 70 per cento.
Disagio che non si risolve con la costruzione di nuove infrastrutture, ma con il risanamento degli impianti già esistenti. A favore delle ragioni dei manifestanti, la consapevolezza di vivere un territorio tra i più ricchi d’acqua nella zona, con due fonti sui monti Aurunci, Capodacqua e Mazzoccolo. La protesta ha raccolto l'adesione di appena 300 persone, poche rispetto alla popolazione colpita dall’interruzione del flusso, pari a circa 100mila abitanti. Secondo Cardelli, la causa dello scollamento tra i disservizi e la contestazione in piazza ha a che fare con la disillusione e lo scarso senso civico.
"Ci si adatta. Dinanzi a un problema tutti si guardano attorno ma non si vede nessuno". Di fatto, superata la crisi, le persone che monitorano le scelte di Acqualatina e delle amministrazioni sono rimaste in poche, una decina, tra cui nessun giovane. "In questo modo – commenta Cardelli – le perdite e i problemi di depurazione vanno in bolletta a carico degli utenti. Ora tutti i progetti puntano sulla digitalizzazione, ma è inutile avere i contatori intelligenti se poi l’acqua non arriva".
Ragazzi in alto mare
A chiedere di più sono anche i giovani di Formia, che sembrano navigare a vista in una realtà immobile. Ne abbiamo incontrati due che frequentano la Caritas cittadina per svolgere il periodo di alternanza scuola-lavoro (Pcto). "C’è una mentalità da grande paese, più che da piccola città", dice Giulia Orefice, al quarto anno di liceo classico.
Per lei, "la sensazione è quella di non essere partecipi di nulla. Quando nasci sei già inserito in un gruppo sociale. Quelli della Formia bene, ad esempio, crescono in cerchie selezionatissime". In un contesto dove le regole sono già stabilite, la voglia di cambiamento ha lasciato il posto all’abitudine di non curarsi dei problemi, perché irrisolvibili o ritenuti troppo grandi. "Ci sono dei quartieri poveri, ma non se ne occupa nessuno", chiosa Giulia.
Per Giacomo Speziale, che frequenta l’istituto nautico, "si vive in uno stato di prepotenza diffusa e mancano i posti di aggregazione. Per divertirsi bisogna bere e spendere un sacco di soldi, ma anche i bar che frequentavamo ormai sono stati colonizzati da adulti che sembrano passare il tempo a ubriacarsi e fingere spensieratezza. C’è un grande bisogno di apparire, anche se le cose non vanno bene le persone indossano vestiti firmati. Chi riesce cambia giro, ma non sempre è possibile".
C’è un grande bisogno di apparire, chi riesce cambia giro, ma non sempre è possibile
Dai loro racconti emerge la disillusione e, soprattutto, la convinzione di dovere andare via. Sia Giulia che Giacomo faticano a trovare dei motivi validi per restare. "Non mi viene in mente niente di bello su Formia", continua la ragazza, che vorrebbe trasferirsi da qualche parte per proseguire gli studi. "Avremmo bisogno di qualcosa che ci convinca a rimanere, e invece qui sogniamo tutti di partire. È un peccato, intorno a noi c’è tanta bellezza ma solo in pochi se ne accorgono".
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