12 settembre 2023
Il sistema politico italiano soffre da sempre di un male oscuro. Oscuro non perché sconosciuto, ma perché negato o quanto meno sottovalutato. La sua origine è sicuramente legata a numerosi fattori, eppure la sua causa principale è la non piena accettazione del contenuto della nostra democrazia, della sua forma di Stato e di governo, dei suoi principi di uguaglianza sostanziale. Ne discende una diffusa incultura democratica che colpisce anche le classi dirigenti, i parlamentari, i componenti del governo, il mondo dell’informazione.
Sopravvive un blocco, fortemente conservatore, che non si è mai rassegnato a vivere in un Paese regolato dalla Costituzione “più bella del mondo”. Potremmo ripercorrere la storia della Repubblica italiana ed evidenziare le tante manifestazione di questo male oscuro, i tanti sintomi che si sono manifestati nel tempo. Per esempio, ricordando le evidenze rappresentate dal terrorismo, dalle stragi, dalla criminalità mafiosa, dalle massonerie deviate, dai tentativi di colpi di Stato orchestrati da esponenti delle istituzioni collusi, dai tanti fatti e misfatti mai chiariti, per soffermarci poi su comportamenti, scelte e parole di alcuni rappresentati delle istituzioni.
"La vera differenza tra le democrazie e i regimi illiberali non sta nella normale alternanza al potere in virtù del consenso elettorale, ma nella certezza che chiunque sia chiamato a esercitarlo legittimamente lo faccia nel rispetto di regole condivise e accettate da tutti"Rosy Bindi
Un’affermazione tra le più ricorrenti portata a sostegno delle scelte di governo è: abbiamo vinto le elezioni e ora tocca a noi onorare gli impegni che ci siamo assunti in campagna elettorale. Il copyright di questa affermazione va sicuramente riconosciuto a Silvio Berlusconi che, a partire dal 1994, l’ha ripetuta spesso per legittimare le sue scelte più controverse. Ma negli anni ha avuto molti seguaci che, anche nell’attuale governo, stanno dando prova di aver appreso fin troppo bene la lezione. La vera differenza tra le democrazie e i regimi illiberali non sta nella normale alternanza al potere in virtù del consenso elettorale, ma nella certezza che chiunque sia chiamato a esercitarlo legittimamente lo faccia nel rispetto di regole condivise e accettate da tutti, a prescindere dall’orientamento politico.
Mi preoccupa l’umiliazione quasi quotidiana delle fondamentali regole della Costituzione, come il fastidio e il disprezzo per le istituzioni di garanzia
Personalmente non condivido pressoché nulla dell’azione dell’attuale governo di Giorgia Meloni, anche perché da sempre appartengo allo schieramento politico avverso, ma ciò che davvero mi preoccupa è l’umiliazione quasi quotidiana delle fondamentali regole della Costituzione. Qualche esempio? Il fastidio e il disprezzo per le istituzioni di garanzia, dalla Corte dei Conti all’Autorità anticorruzione perché, svolgendo i compiti loro assegnati dalla legge, disturberebbero l’attività di governo quando riforma la legge sugli appalti in nome della velocità delle decisioni, ma in realtà spalanca i varchi al condizionamento mafioso.
Ancora: le annunciate e già presentate riforme in materia di giustizia con le quali si vorrebbero abolire il reato di concorso esterno mafioso e l’abuso d’ufficio, affievolendo così la lotta alla corruzione e all’essenza del metodo mafioso. La separazione delle carriere dei magistrati per imprigionare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura inquirente. Per non parlare dello scambio tra presidenzialismo e autonomia differenziata, con il quale si salderebbero in un compromesso devastante per la forma di Stato e di governo contenuto nella Costituzione le battaglie storiche di Fratelli d’Italia e della Lega.
Autonomia differenziata, lo Stato non deve arrendersi
La sindrome non-democratica dell’attuale governo manifesta la sua più preoccupante pericolosità quando si traduce nella negazione dei diritti fondamentali che la Costituzione pone alla base della nostra convivenza: il lavoro, la salute, l’istruzione
E ancora: la concezione dell’Europa non come cedimento di sovranità politica a una entità sovranazionale, come i Padri fondatori hanno voluto, ma come sommatoria conflittuale degli singoli interessi nazionali, che porta persino ad attaccare il Commissario designato dall’Italia perché esercita la sua funzione in chiave europeista e non nazionalista! L’occupazione del potere attraverso il commissariamento di enti indipendenti al quale stiamo assistendo è l’ennesima prova della non conoscenza della distanza abissale che passa tra la funzione di governo e quella di comando.
Il lungo, ancorché parziale, elenco della sindrome non-democratica dell’attuale governo manifesta la sua più preoccupante pericolosità quando si traduce nella negazione dei diritti fondamentali che la Costituzione pone alla base della nostra convivenza: il lavoro, la salute, l’istruzione. E illude le cittadine e i cittadini italiani, i giovani soprattutto, con un populismo giudiziario e torsioni securitarie, con le quali fa credere di risolvere le grandi sfide del momento come la povertà educativa, le disuguaglianze crescenti, l’immigrazione, la svalutazione del lavoro.
Perché allora tanto consenso per l’attuale governo? Accenno a due fattori che secondo me si sono recentemente saldati. Il più antico è appunto quell’ incultura costituzionale diffusa nel popolo italiano che, come ha scelto di essere a lungo governato da forze politiche che hanno sempre considerato la Costituzione il faro della loro azione politica (pur non attuandola mai completamente), si è più di recente affidato a una maggioranza politica che, in virtù della non accettazione della Costituzione, ha prospettato soluzioni facili e ingannevoli alle grandi sfide del presente. Paura e diseducazione democratica sono una miscela esplosiva di fronte al precipitare della crisi ambientale, della povertà crescente, della pressione migratoria, della pandemia, della guerra, della trasformazione degli equilibri geopolitici che stanno registrando il declino dell’occidente e dell’Europa, che si ostina a non risvegliare la sua originalità culturale.
I viaggi di Meloni e Piantedosi per fermare i migranti
È tempo di gettare seme buono nel terreno che l’aratro della storia sta scavando profondamente, ci ricorderebbe Vittorio Bachelet. Il seme buono sono la cultura e l’educazione di tutti, delle giovani generazioni soprattutto; è la lettura comunitaria della Costituzione che ogni realtà educativa dovrebbe fare: la famiglia, la scuola, la Chiesa, le associazioni, il volontariato, la radio e la televisione. Non solo per essere pronti per il prossimo referendum, dopo le modifiche che il Parlamento apporterà alla Costituzione, ma per pretendere che venga applicata e che ci venga restituita la nostra dignità di persone, di cittadine e cittadini liberi e forti.
Da lavialibera n° 22, Altro che locale
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