Foto di Pandav Tank/Unsplash
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Decreto Caivano, la punizione non può essere la cura

Il testo approvato dal Consiglio dei ministri prevede l'inasprimento delle pene per i giovani autori di reato, quando invece bisognerebbe intervenire sul benessere psicologico di ragazzi e ragazze

Andrea Oleandri

Andrea OleandriResponsabile comunicazione di Antigone

29 settembre 2023

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Durante l’ultima estate diversi fatti di cronaca hanno avuto come protagonisti ragazze e ragazzi, spesso minorenni. Gli ultimi due casi, che hanno portato il governo a intervenire, sono gli episodi di violenza sessuale di gruppo avvenuti a Palermo e Caivano. Da qui l’intervento legislativo con il decreto Caivano (o decreto baby gang), approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 7 settembre e che ora il parlamento dovrà convertire in legge.

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Punire è meglio che curare

Non è la prima estate in cui episodi che riguardano ragazzi catalizzano l’attenzione di  media a pubblico. Era già successo l’anno scorso, tanto che a inizio agosto Matteo Salvini, all’epoca all’opposizione, aveva annunciato una proposta di legge della Lega per ritardare il conseguimento della patente agli autori di episodi di violenza. “Se ti comporti male, non avrai la patente a 18 anni”, disse l’attuale ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Dell’annunciata stretta sulla patente non c’è traccia nel decreto governativo, che prevede una serie di misure che scardinano l’impostazione che negli ultimi decenni è stata data al sistema della giustizia minorile, comprensibile guardando all’utilizzo del carcere.

Un passo indietro

Anche per i reati più gravi l’entità delle condanne non è mai stata elevata e sempre si sono cercate alternative come l’affidamento alle comunità. L’obiettivo è evitare di tenere completamente separati dal mondo esterno ragazze e ragazzi: una netta divisione dentro/fuori che in molti casi, invece, è prerogativa del sistema degli adulti.

Il diritto penale, in questa impostazione, aveva fatto un passo indietro rispetto al bene supremo del ragazzo, così come stabilito nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell'adolescenza del 1989. Alla base c’era il fatto che per quanto grave fosse il comportamento, una fase così cruciale dello sviluppo doveva guardare più alla finalità riabilitativa della pena anziché a quella retributiva. Insomma, un approccio pedagogico dove la cura è prioritaria sulla punizione. E nel tempo ha funzionato. 

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Il carcere per i minori è diventato sempre più residuale. Lo scorso 31 agosto i minori e i giovani adulti presenti in uno dei 17 Istituti penali per minorenni (Ipm) in Italia erano 436, al netto degli oltre 15mila in carico ai servizi della giustizia minorile. Negli ultimi 15 anni il numero è sempre stato compreso tra circa 300 e 500 persone. Sempre a fine agosto, invece, erano 910 i giovani nei centri di accoglienza o comunità, ministeriali o private.

Al 31 agosto i minori e i giovani adulti presenti negli Istituti penali per minorenni erano 436, al netto degli oltre 15mila in carico ai servizi della giustizia minorile

Sul numero delle presenze in Ipm pesa molto il dato degli stranieri. Benché siano il 22 per cento del totale di chi è preso in carico dalla giustizia, rapresentano al contempo il 51,4 per cento degli ingressi in carcere. Spesso la loro presenza, così come per gli adulti, è legata a diversi fattori tra cui l’assenza di una rete all’esterno che consenta loro di scontare la pena in misure alternative, anche nelle fasi di custodia cautelare. 

Non è un'emergenza

Un calo di presenze e un andamento costante delle stesse che ha trovato riscontro anche in un numero di reati piuttosto contenuto. Se si guarda al 2016, come riportando i dati dell’Istat, i minori fermati e arrestati erano stati 34.366; nel 2019 erano scesi a 29.544, mentre nel 2020, complice la pandemia di covid e le chiusure forzate, sono stati 26.271. 

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Nel 2021 il dato è tornato a salire, con 30.405 fermati o arrestati. Per il 2022 non sono ancora disponibili i numeri, ma è stato segnalato un ulteriore aumento che riporterebbe il numero in linea con quello del 2016. Dunque, quello della delittuosità dei minori è tutto fuorché un’emergenza. Emergenza, invece, è quella che segnalano alcuni servizi che si occupano di salute mentale e di minori.

Telefono Amico, che dal 1967 offre supporto a chi si trova in un momento di crisi, soprattutto per prevenire gesti estremi, ha segnalato che la sua utenza è raddoppiata dalla pandemia ad oggi, crescendo soprattutto per i giovani. Mentre l’Istat, con dati fermi al 2021, dice che la percentuale di adolescenti in cattive condizioni di salute mentale è del 20,9 per cento, quando nel 2019 era del 13,8 per cento.

Telefono Amico, che offre supporto a chi si trova in un momento di crisi, ha segnalato che la sua utenza è raddoppiata dalla pandemia ad oggi

Dinanzi a questi numeri, prima di convertire in legge il decreto – prevedendo daspo, fogli di via, sequestri di telefoni o tablet, l’ammonimento del questore già dai 12 anni, l’aumento delle pene per i reati legati alle droghe (cosa che varrà anche per gli adulti), la più facile applicazione della custodia cautelare (anche in carcere) – i parlamentari dovrebbero fermarsi a riflettere se l’emergenza sia davvero criminale o, invece, non ci sia un problema diverso, che riguarda il benessere psicologico di ragazzi e ragazze che questo provvedimento affronta nel peggior modo possibile, con la punizione anziché con la cura.

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