9 ottobre 2023
Quand’è che una nazione perde la sua innocenza? Secondo il sentire popolare condiviso e sostenuto da molti intellettuali, negli Stati Uniti è successo a Dallas, il 22 novembre 1963, con l’assassinio del presidente John Fitzgerald Kennedy. Fu un brutto risveglio per gli americani, che con quei colpi di fucile si resero conto che il sistema in cui avevano riposto la loro completa fiducia non era poi così perfetto, non era così innocente.
Nei tribunali il percorso difficile delle vittime del profitto
Dopo aver soppresso il suo martire, quello stesso sistema fece di tutto, riuscendovi, per nascondere la verità, per non permettere al suo popolo di ottenere giustizia. Gli americani si accorsero che Camelot, quel fantastico regno armonioso guidato da re Artù e dai cavalieri della tavola rotonda, non solo non c’era più, ma forse non era mai esistito.
Fu un brutto risveglio per molti che in un attimo smisero di credere alla favola che la loro democrazia fosse perfetta, incapace di commettere crimini perfino ai loro danni, mentre in realtà aveva più a cuore giochi politici, interessi economici rispetto al benessere del popolo. Quella macchia di sangue non fu mai cancellata e rimane un monito per capire che la realtà è molto più complicata e che nessuna istituzione è mai al di sopra di ogni sospetto. Non deve esserlo per non rischiare di tracimare nella dittatura.
Il 1963 è l'anno dell'assassinio di Kennedy. Una macchia di sangue che fa capire come nessuna istituzione è mai al di sopra di ogni sospetto
Ma preservare la memoria, non è certo un’impresa facile, soprattutto in una società affamata di consumismo che ha bisogno di mettere da parte il passato e giustificare tutto per raggiungere i suoi scopi primari: il potere, anche a livello mondiale, e l’egemonia dei soldi sulla giustizia. Cosa può aiutare a ricordare, a difendere la memoria? A volte basta davvero poco, per esempio una fotografia, come suggerito nel refrein Bookends (fermalibri) di Simon and Garfunkel, con dichiarati riferimenti a Dallas.
Time it was, and what a time it was, it was
A time of innocence, a time of confidences
Long ago, it must be, I have a photograph
Preserve your memories, they're all that's left you.
(Il tempo è passato, e che tempo era,
un tempo di innocenza, un tempo di confidenze.
Molto tempo fa, deve essere stato. Ho una fotografia.
Custodisci i tuoi ricordi, sono tutto quello che ti resta).
Quando l’Italia ha perso la sua innocenza? Successe poco più di un mese prima dell’assassinio di Kennedy, esattamente il 9 ottobre con la strage del Vajont. Il 1963 è stato un anno particolarmente difficile nel nostro Paese. Il 3 giugno era morto Giovanni Battista Roncalli, il “papa buono” della speranza, sempre dalla parte degli ultimi; il 30 dello stesso mese vi era stata la strage di Ciaculli (Palermo) e per la prima volta le istituzioni dovettero ammettere l’esistenza della mafia. Il boom economico, cominciato quattro anni prima, era ormai arrivato al suo apice e stava per dare il passo alla congiuntura: l’offerta di posti di lavoro si ridusse drasticamente, l’inflazione schizzò a due cifre, molte famiglie patirono notevoli difficoltà economiche.
Il 1963 è stato un anno difficile nel nostro Paese. Era morto Giovanni Battista Roncalli, il “papa buono” della speranza, e vi era stata la strage di Ciaculli (Palermo), con le istituzioni che per la prima volta ammisero l’esistenza della mafia
La strage del Vajont (1910 morti di cui 487 bambini sotto i 15 anni) rappresentò l’equivalente dell’assassinio di Kennedy. Anche da noi la verità sulle responsabilità di quel crimine venne nascosta. Il crollo del fragile Monte Toc nel lago artificiale creato dalla costruzione della diga, voluta a tutti i costi da una potente impresa privata, finanziata dallo Stato e costruita con la sua colpevole complicità venne attribuito alla natura maligna.
Crimine dei potenti, una questione di prospettiva
La stampa del tempo, anche le sue firme più autorevoli (Bocca, Montanelli e Buzzati) si mobilitarono per dimostrare che non vi era stata alcuna responsabilità umana, cosa poi smentita nei processi dell’Aquila e dalla Cassazione che condannarono persino lo Stato per “omicidio colposo plurimo con l’aggravante della prevedibilità” (marzo 1971), seppur con pene lievi che non sfiorarono le responsabilità dei vertici.
Il dopo tragedia fu inoltre un susseguirsi di truffe legalizzate, cioè leggi fatte ad hoc per permettere alle stesse élite economiche che avevano causato la strage di arricchirsi, quello poi strategicamente ricordato come “il miracolo del Nord Est”. I superstiti (alcuni avevano perso 60 famigliari) vennero liquidati con quattro soldi (molti tornarono a fare le valige ed emigrare), umiliati, raccontati dalla stampa come ubriachi, comunisti, cinici a cui stava a cuore soltanto arricchirsi con i loro morti. Si tappò loro la bocca e tutti quelli che si misero dalla loro parte per raccontare le verità scomode furono in qualche modo pesantemente puniti dai poteri, non solo del tempo. Parlare di Vajont nel modo corretto è ancora pericoloso oggi, a 60 anni di distanza e certe verità non sono mai state indagate.
Il dopo tragedia fu un susseguirsi di truffe legalizzate, cioè leggi fatte ad hoc per permettere alle stesse élite economiche che avevano causato la strage di arricchirsi
Il Vajont fu la prima strage contemporanea in cui la nostra democrazia si rivelò imperfetta, disposta a compiere crimini nel nome del profitto e a proteggere i responsabili. Anche da noi, come in America, la Memoria è difficile da preservare. Eppure basterebbe poco. Non serve deporre fiori al cimitero di Fortogna, recitare messe, o stringere la mano a Sergio Mattarella. A lui va dato credito di essere stato il primo e unico presidente della Repubblica ad aver avuto la sensibilità di arrivare personalmente a Longarone per portare ufficialmente le sue scuse a nome dello Stato italiano. Successe soltanto due anni fa e questo la dice lunga sulla difficoltà delle istituzioni ad ammettere le proprie colpe.
Ricordare solamente il passato non significa fare Memoria. Al Vajont il nostro Paese ha perso la sua innocenza una volta per sempre. Da allora ci sono state e continuano ad esserci altre stragi avvenute sempre con il ripetersi dello stesso peccato originale, la volontà di tutelare il profitto: Viareggio, Ponte Morandi e Torre Piloti a Genova, Rigopiano, le morti sui luoghi di lavori, le zone a rischio per terremoti, inondazioni e frane non messe in sicurezza, le bonifiche dall’amianto non eseguite.
Dal Vajont ci sono state e continuano ad esserci altre stragi avvenute sempre con il ripetersi dello stesso peccato originale, la volontà di tutelare il profitto
Di queste tragiche vicende si deve parlare, è questa la fotografia di cui parlavano Simon e Garfunkel per evitare che la storia si ripeta. Per onorare quei 1.910 corpi straziati del Vajont bisogna non dimenticare che furono omicidi. E si fa persino fatica a non definirli dolosi, vista la loro prevista e prevedibile causa. I morti, è un dato di fatto, fanno parte del conteggio nei bilanci delle imprese, pubbliche o private che siano.
Reati dei colletti bianchi, crimini invisibili
Domani può capitare a tutti noi di allungare la lista delle vittime di questo modello di società. Ma anche la nostra indifferenza uccide. Dobbiamo smettere di credere di vivere a Camelot e cominciare a lottare davvero, tutti uniti, per cambiare le cose. La Memoria non è tale se non è scomoda.
Crediamo in un giornalismo di servizio per la cittadinanza, in notizie che non scadono il giorno dopo. Aiutaci a offrire un'informazione di qualità, sostieni lavialibera
La tua donazione ci servirà a mantenere il sito accessibile a tutti
Record di presenze negli istituti penali e di provvedimenti di pubblica sicurezza: i dati inediti raccolti da lavialibera mostrano un'impennata nelle misure punitive nei confronti dei minori. "Una retromarcia decisa e spericolata", denuncia Luigi Ciotti
La tua donazione ci servirà a mantenere il sito accessibile a tutti