30 maggio 2024
Disuguaglianze, collasso climatico e guerra sono oggi le tre più grandi minacce alle nostre vite: colpiscono sempre più persone e si autoalimentano grazie ad un sistema economico, sociale e culturale interessato esclusivamente al profitto ed alla produttività. A pochi giorni dalle elezioni che determineranno la composizione del nuovo Parlamento europeo, però, queste tre sfide non sono al centro del dibattito della campagna elettorale. Anzi, non c’è stato nessun confronto pubblico, ampio e trasparente sulle principali questioni che stanno a cuore alla maggioranza degli italiani come al resto degli europei. A denunciare l’assenza di qualsiasi confronto sono soprattutto le realtà sociali, comitati territoriali, associazioni, sindacati, cittadinanza attiva, quella società in movimento che si è resa conto in questi anni, sperimentandolo sulla propria pelle, di quanto sia strutturale e sistemica la crisi nella quale siamo immersi in questa parte del mondo da almeno 15 anni. E quanto gravi siano le conseguenze sulla democrazia, sempre più sbiadita, intermittente, recitativa.
Pur di non affrontare le grandi questioni dei nostri tempi si è preferito militarizzare il dibattito, rischiando di rendere ancor più apatica, spaventata e depressa l’opinione pubblica. Sonnambuli senza memoria, i nostri governanti consegnano il nostro futuro ai comparti militari-industriali-energetici-finanziari. Sono questi interessi a guidare le scelte politiche. Questo denunciano le inchieste condotte in questi anni, come quella recentemente pubblicata da L'Espresso insieme ad altre testate internazionali, che mostra che quasi due eurodeputati su tre esercitano altre attività oltre al proprio mandato, spesso in ambiti su cui poi sono chiamati a esprimersi e votare in aula. Insomma, c’è un conflitto d’interessi che lega la politica alle principali attività economiche responsabili della crisi: agrobusiness, armi, fossili, nucleare, allevamenti intensivi, chimica, e così via. Per chi lavora il deputato europeo? Viste le scelte fatte, non certo per il bene comune e l’interesse generale.
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Avremmo invece un disperato bisogno di discutere quali siano le politiche sociali in grado di sconfiggere le disuguaglianze, per garantire casa, lavoro, servizi, scuola, salute. Di co-programmare e co-progettare insieme a lavoratori, comunità e istituzioni locali gli investimenti necessari per garantire la riconversione ecologica da promuovere su quei territori dove insistono attività produttive inquinanti e vecchie filiere energetiche. Perché sappiamo che è la riconversione, non la transizione energetica, l’unica strada possibile per creare lavoro, garantire salute pubblica e difendere clima e biodiversità. Del resto per questi obiettivi erano stati destinati gli oltre 200 miliardi del piano NextGenerationEU per il nostro Paese. Non certo per inceneritori, rigassificatori e megaprogetti come il ponte sullo stretto.
Ma più di tutto, come cittadini ed abitanti di questo pianeta avremmo dovuto e voluto parlare della questione che più di tutte sta a cuore all’umanità: la pace. Perché la pace è la precondizione per tutto il resto, e mai come ora sembra una conquista a rischio, in un momento storico drammatico in cui l’opzione folle di una guerra globale sembra essere stata non solo sdoganata ma fatta propria dalla maggioranza degli attori politici. La campagna elettorale e la pochezza dei programmi ci dicono che le classi dirigenti politiche italiane ed europee hanno fatto scelte che vanno nella direzione opposta rispetto a quella di cui abbiamo bisogno: austerità per le politiche sociali, enormi investimenti su chimica e armi e fine del green new deal. Ci stanno preparando alla guerra modificando la base produttiva, gli assetti costituzionali, cancellando i diritti sociali, criminalizzando dissenso e solidarietà.
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Il conformismo garantisce consensi facili per vittorie facili. Ma senza prospettive di cambiamento.
In Italia come in Europa domina il conformismo. Nasce dalla rinuncia ad andare alle radici delle forme moderne di dominazione ed esclusione, mentre i numeri delle disuguaglianze e della crisi ecologica fotografano in maniera impietosa il collasso non solo del clima, ma della nostra democrazia. Purtroppo, in tanti preferiscono conformarsi. Spesso, anche nei mondi che dovrebbero essere portatori di verità scomode, assistiamo a un inesorabile declino morale. Troppo spesso si preferiscono rendite e posizioni di comodo, tralasciando etica e verità. Anche questo rafforza la cappa di conformismo che sta demolendo giorno per giorno la nostra democrazia. Il conformismo garantisce consensi facili per vittorie facili. Ma senza prospettive di cambiamento. Ma, per quanto la si voglia ignorare, la verità non può scomparire: precarietà, disoccupazione, emergenza abitativa, peggioramento delle condizioni di salute, mancato accesso alle cure, morti sul lavoro, femminicidi, dispersione scolastica, analfabetismo di ritorno, deprivazione materiale, mafie e corruzione, migrazioni forzate, solo per citarne alcune.
In questi tempi di crisi e di democrazia a bassa intensità, di scelte politiche che continuano a impoverire persone e Terra, i movimenti popolari hanno dimostrato di essere l’unica risposta. Non solo perché “odorano di lotta”, come direbbe Papa Francesco, e non si arrendono allo status quo. I movimenti popolari sono gli unici in grado di dare risposte concrete ed efficaci alla nostra condizione materiale, alla nostra solitudine, al nostro senso di invisibilità. Partendo dal disagio e dall’esclusione, rappresentano anche nel nostro Paese l’unica speranza di rigenerare la politica e promuovere finalmente una visione fondata sulle reali necessità di questo nuovo millennio. Una visione orientata all’ecologia integrale, che parte dal riconoscimento delle relazioni inseparabili tra tutte le entità viventi, senzienti e non, sulla Terra. Riconoscerci parte di un tutto, non esseri separati e frammentati in perenne conflitto e competizione. I movimenti popolari sono oggi “tumulto etico”, perché con la loro contro-solidarietà dal basso, la reciprocità, il mutuo-aiuto, la creatività con cui cercano soluzioni a problemi complessi, la progettualità innovativa per affrontare la crisi socio-ambientale, hanno dimostrato concretamente di essere risposta, relazione e visione.
I movimenti popolari funzionano meglio perché conoscono il territorio, le sue fragilità, le sue trame sociali. Sono la risposta al vuoto lasciato dalla politica, abituata ad attraversare le periferie solo in campagna elettorale
Funzionano meglio perché conoscono il territorio, le sue fragilità, le sue trame sociali. L’abbiamo visto durante la pandemia e lo continuiamo a vedere tutti i giorni nelle nostre città: con la loro azione solidale e una politica fondata sull’amicizia e la cura stanno rigenerando intere comunità, costituendo spesso l’unica risposta all’apatia, alla solitudine e alla disperazione. Sono insediamenti sociali che rappresentano la risposta al vuoto lasciato dalla politica, abituata ad attraversare le periferie del Paese, le sue marginalità e le sue ansie solo a ridosso delle elezioni di turno.
I movimenti popolari sono la risposta positiva all’aumentare delle disuguaglianze generate dai conflitti ecologico-distributivi, che ovunque crescono per la necessità del paradigma tecnocratico di controllare risorse, spazio bioriproduttivo, beni comuni, trasporti, rifiuti e loro gestione. Queste lotte per la giustizia sociale e ambientale si stanno saldando anche nel nostro Paese, rafforzando alleanze e nuove consapevolezze sui territori. Stanno sorgendo azioni pratiche, attività di mutualismo, innovazione sociale e proposte politiche in grado di rigenerare le nostre istituzioni, ridando senso e orientamento alla Repubblica. Dai movimenti popolari in questi anni sono infatti arrivate le proposte più interessanti ed efficaci su diritto al reddito, salario, accoglienza, servizi, lavoro, parità di genere, riconversione ecologica, economia di pace, finanza etica, partecipazione e inclusione, assetto costituzionale, solo per citarne alcune.
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Se ascoltati e utilizzati, rispettando le loro forme di autonomia, i movimenti popolari sono l’unica risposta in grado di rigenerare quella parte della politica che è ancora intenzionata a cercare, ma che oggi non ha argomenti, personale e pensiero sufficiente per farlo senza essere parte di una società in movimento. L’abbiamo visto anche a Verona, durante l’incontro voluto da Papa Francesco ad Arena di Pace con i movimenti popolari. Le uniche proposte credibili e concrete per costruire un’economia di pace sono venute dai movimenti. E sono rimaste, per ora, inascoltate. L’occasione delle europee è andata perduta. Dal giorno dopo bisogna augurarsi tutti e tutte che siano i movimenti popolari a riorganizzare l’agenda politica, se non vogliamo che lo faccia la guerra.
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