Aggiornato il giorno 7 luglio 2024
Aggiornamento: Gli infissi dell'oratorio sono stati ritrovati, abbandonati vicino al depuratore del paese. Completamente integri. Il rinvenimento sembra dimostrare il fatto che non si è trattato di un semplice furto ma di un gesto intimidatorio, che ha un chiaro messaggio: "Noi possiamo fare quello che vogliamo".
Hanno rubato gli infissi, una fotocopiatrice e danneggiato la recinzione in ferro all’esterno del giardino dell‘oratorio parrocchiale San Francesco di Assisi a Gioiosa Ionica, realizzato in una villa confiscata alla ‘ndrangheta e assegnato alla diocesi di Locri-Gerace. Un episodio grave, perché dietro al furto c’è la volontà di colpire un simbolo della legalità. “Si è trattato di un gesto vile che offende tutta la comunità di Gioiosa e i tanti ragazzi che frequentano l’oratorio parrocchiale”, ha commentato il vescovo di Locri-Gerace don Franco Oliva.
Cosa sono i beni confiscati alle mafie
La stessa villa – confiscata ad Antonio “Titta” Femia, ex broker della droga al servizio delle cosche e dei cartelli sudamericani, dal 2015 collaboratore di giustizia – il 26 settembre del 2016 era stata incendiata, pochi giorni prima che venisse consegnata al comune di Gioiosa Ionica, per essere poi essere affidata alla diocesi e alla parrocchia di San Nicola di Bari.
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Grazie all’impegno di tanti volontari, l’immobile era stato riparato e ripulito, quindi era stato inaugurato l’oratorio, preziosissimo per le attività coi giovani. “Hanno agito con grande professionalità, smontando gli infissi senza danneggiarli. Sicuramente ci è voluto tempo. E nessuno ha visto niente”, ha aggiunto don Franco, ricordando come la villa si trovi in una zona dove risiedono molte famiglie legate ai clan.
Sabato 13 luglio è in programma una fiaccolata di solidarietà con una raccolta di fondi per rimettere a posto l’oratorio. Il vescovo ha assicurato ai ragazzi che presto potranno ritornare a usufruire della loro struttura. “Il bene confiscato e assegnato alla diocesi era stato convertito ad attività sociali e forse un riutilizzo del genere ha offeso qualcuno. Chi opera nell’oscurità della notte nuoce al futuro della comunità e toglie la speranza ai più giovani. L’arroganza dei violenti e dei criminali non giova a nessuno”.
Sabato 13 luglio è in programma una fiaccolata di solidarietà con una raccolta di fondi per rimettere a posto la struttura
Soltanto nel 2017 Locri aveva ospitato la Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, alla quale aveva preso parte anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. L’anno successivo don Franco era stato eletto nell’ufficio di presidenza di Libera, la prima volta per un vescovo. Ma è soprattutto sull’utilizzo dei beni confiscati a fini sociali che in questi anni la diocesi è diventata un esempio da record. Sono ben sette gli edifici sottratti alla ’ndrangheta e ora gestiti dalle parrocchie in paesi come San Luca, Locri, Gioiosa Ionica, Platì, Siderno, Ardore, luoghi famosi per storie negative di ‘ndrangheta. E non è finita, perché altri quattro beni sono stati assegnati ad associazioni legate al mondo cattolico.
Alloggi per studenti nelle case confiscate
Un impegno confermato dalla recente istituzione, con un decreto del 1° marzo 2022, da parte del vescovo Oliva, di una Commissione diocesana per l’attuazione delle linee guida No ad ogni forma di mafie! promulgate dalla Conferenza episcopale calabra il 15 settembre 2021. Tra i compiti della Commissione, presieduta da don Tonino Saraco, parroco di Ardore e responsabile diocesano della Pastorale sociale e del lavoro, c’è proprio “individuare strade di progettualità innovativa ed efficace per un uso consapevole ed effettivo dei tanti beni confiscati/sequestrati alla criminalità organizzata, affiancando i comuni e gli altri soggetti istituzionali che li detengono e sostenendo le parrocchie e gli altri enti ecclesiali e il mondo dell’associazionismo”.
Grazie al nuovo rettore, che è sempre don Tonino Saraco, il vento è cambiato al Santuario della Madonna di Polsi, un tempo luogo simbolo della ‘ndrangheta. Si tratta di un birrificio, un uliveto di 4.500 piante in un’area rurale tra Siderno e Agnana, una coltivazione di fichi in un bene confiscato sito nel comune di Ardore Marina preso in gestione proprio dal Santuario.
Il paese di San Luca cerca un'immagine diversa
“Questi progetti - sottolinea don Tonino – puntano a valorizzare il nostro territorio e soprattutto creare nuove opportunità di lavoro”. A tal proposito, va ricordato che, in collaborazione con la Caritas diocesana, al Santuario sono stati assunti due ex detenuti, per dare loro una possibilità di riscatto e di integrazione sociale. Feste senza mafie Un impegno molto chiaro confermato nel recente documento del vescovo dal titolo Pietà popolare, tesoro prezioso della nostra Chiesa, che fissa le disposizioni diocesane sulle feste religiose.
Così si denuncia il “condizionamento della cultura mafiosa che strumentalizza la pietà popolare e la rende veicolo di corrotta ostentazione piuttosto che di vera adorazione” e il “pericolo di infiltrazioni di mafiosi o di persone ad essi contigue e il condizionamento di modelli, di linguaggi e comportamenti, che sono espressione di una mentalità mafiosa, ben lontana dal lessico del Vangelo”.
Aggiungendo che “di fronte alle interferenze di interessi economici e politici che si servono indebitamente del sentimento religioso e creano una pericolosa sovrapposizione tra manifestazioni della pietà popolare e aspetti folkloristici, tra feste religiose e sagre profane, non si può restare indifferenti”. Il documento denuncia, inoltre, come “taluni fedeli, per lo più poco praticanti o appartenenti ad associazioni mafiose, utilizzino le immagini religiose per ragioni scaramantiche e superstiziose e non per fede. Come quando si porta con sé l’immagine sacra per ostentazione, dissimulando una religiosità che non c’è, mancando la pratica religiosa o peggio nutrendo progetti di male”.
Un documento della diocesi fissa le regole per le feste religiose, così da evitare condizionamenti mafiosi
A proposito delle processioni, finite spesso al centro anche di inchieste della magistratura, si legge: “È proibita durante il percorso la raccolta di offerte in denaro, non vanno appesi alle statue banconote o oggetti preziosi”. Gesti che i mafiosi usavano e usano per dimostrare il loro potere. Inoltre si avverte che “è fatto divieto, anche nei momenti di sosta, di far girare le statue verso case o edifici privati, ad eccezione di ospedali e case di cura”. Stop, dunque ai famosi “inchini”.
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Infine, per quanto riguarda i portatori delle statue religiose, si sottolinea che “non siano persone aderenti ad associazioni condannate dalla Chiesa o che abbiano avuto condanne penali per reati di mafia o abbiano in corso un processo penale per i medesimi reati”. E va fatto di tutto per rispettare “le disposizioni dei vescovi calabresi che esortano a fare di tutto perché sia superato ogni pericolo di infiltrazioni di soggetti collusi con la mafia”.
Così “è raccomandabile consultarsi con le forze dell’ordine in modo riservato e rispettoso ed avvalersi della loro collaborazione prima di definire l’elenco dei portatori. Questo atto previo scongiura sorprese indesiderate”. Disposizioni chiare e definitive che segnano davvero un cambio di passo, ben compreso dai mafiosi. Che reagiscono.
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