20 novembre 2024
Chiede di fare “una mossa in più”, di avere “coraggio” perché “c’è un’urgenza” tra le tante del paese: “Ci sono dei momenti della vita in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo morale e civile. Dobbiamo unire di più le nostre forze”. È l'invito rivolto ai parlamentari da don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e di Libera, ascoltato oggi, 20 novembre, dalla commissione antimafia in merito al protocollo “Liberi di scegliere”, programma che permette alle donne (e ai loro figli) nate e cresciute in famiglie mafiose di abbandonare quei contesti e vivere in sicurezza. “Porto il mio piccolo contributo soprattutto per accompagnare chi vuole uscire dalle mafie, dalle forme di violenze e criminalità. Ci sono donne che si stanno ribellando a tutto questo. Questo numero si sta allargando e sta crescendo. Chiedono di cambiare vita e sottrarsi a un destino che è segnato”.
Gli editoriali di Luigi Ciotti su lavialibera
Ciotti ha voluto innanzitutto ricordare chi aveva messo in atto, decenni fa, iniziative simili. Ha fatto i nomi di don Italo Calabrò – il prete che si prese cura di bambini e madri in fuga dalle guerre di ‘ndrangheta – e del giudice Ilario Pachì, che firmò i primi affidamenti di giovanissimi figli di mafiosi a famiglie e organizzazioni estranee a quel mondo, come ad esempio il Gruppo Abele o la Caritas tedesca. “Con la morte di don Italo Calabrò si è interrotta una parte di quel percorso”. C'è stato poi bisogno del lavoro del giudice Roberto Di Bella al Tribunale per i minorenni a Reggio Calabria per ricominciare, grazie al sostegno della Conferenza episcopale italiana, percorsi che hanno portato alla nascita di "Liberi di scegliere".
Don Italo Calabrò, pioniere dell'antimafia sociale
Le donne che lasciano le famiglie mafiose per aderire al progetto "sono solo una cinquantina, ma immaginate cosa voglia dire mettersi contro quei contesti. Però è un numero che contamina positivamente”
Don Luigi Ciotti ha ricordato anche la storia di Lea Garofalo, donna che aveva lasciato il marito ‘ndranghetista per mettere al riparo se stessa e la figlia Denise. Una donna poi uccisa e fatta sparire proprio dal compagno. “Mi ricordo questa donna carica di tensione che mi ferma sullo scalone di questo palazzo e mi ha chiesto: ‘Per piacere, mi può consigliare e dare un avvocato’. Era delusa di alcune mortificazioni subite. Le indicai un avvocato che era nell’associazione, Enza Rando (ora senatrice Pd, ndr), e l’abbiamo accompagnata e anche supplicata di non andare dal marito”. Lea Garofalo era animata da una “sana testardaggine” che l’ha spinta a lasciare quel circuito criminale, ma anche a tornare dal compagno per esigere denaro. L'ultimo incontro le fu fatale.
Al funerale di Lea Garofalo, ha ricordato ancora Ciotti, “abbiamo poi scoperto che erano venute altre donne. Ce l’hanno detto loro. Era una speranza, che si era frantumata improvvisamente, ma hanno visto che c’era qualcuno disposto a dare loro una mano”. Così ora “il numero delle donne (che aderiscono al protocollo, ndr) sta crescendo – ha detto rispondendo a una domanda –. Sono solo una cinquantina, ma immaginate cosa voglia dire mettersi contro quei contesti. Però è un numero che contamina positivamente”.
Il 26 marzo il magistrato Di Bella aveva detto in Antimafia che ci “sono circa 150 minori già attualmente tutelati, 30 le donne entrate nel progetto, sette le donne diventate collaboratrici o testimoni di giustizia, e due ex boss con ruoli apicali nella ‘ndrangheta e nella mafia che hanno avviato percorsi per proteggere i loro figli”.
“Queste donne non vogliono soldi, vogliono dignità e libertà. Vogliono cercarsi un lavoro loro, vogliono mandare i bambini a scuola senza che vengano rintracciati”Don Luigi Ciotti
Oggi il presidente di Libera ha invitato a “fare di più e in fretta, visto che il numero di donne che chiedono una mano è cresciuto”: “Queste donne non vogliono soldi, vogliono dignità e libertà. Vogliono cercarsi un lavoro loro, vogliono mandare i bambini a scuola senza che vengano rintracciati”. Perché finora “abbiamo dovuto fare dei lavori con dei presidi, tutto precario, tutto con molte difficoltà. C’è chi ha accettato e chi no. E quando arrivano all’età dell’università, (i figli, ndr) hanno dovuto iscriversi con loro cognome e questi li cercano”.
Per questa ragione le donne vanno protette: “Ci sono donne che abbiamo già spostato 4-5 volte perché, lavorando con magistrati e polizia, hanno sempre collaborato”. La loro condizione è una specie di limbo perché “non sono collaboratrici, le loro testimonianze non sono così incisive anche se hanno abitato quel contesto” e quindi “bisogna trovare un varco nuovo”. Una delle prime iniziative da intraprendere è il cambio di generalità: “Basterebbe un articolo sul cambio anagrafico per l’iscrizione a scuola dei bambini”.
“Sono scelte che aprono una breccia in contesti che sembravano impenetrabili fino a pochi anni fa. Ha dato fiducia ad altre donne, che aspettano, che non ce la fanno più, perché la mafia ha confiscato anche le loro vite e dei loro figli. Non sono abituate a guardare oltre gli alti muri, ma sono messe in crisi dallo ‘scandalo’ di chi ha saputo farlo, perché in quel mondo è ritenuto uno ‘scandalo’ essersi ribellati a quelle organizzazioni”.
"Valeva la pena provarci". Il racconto di una donna che ha aderito a "Liberi di scegliere"
La presidente Chiara Colosimo ha ricordato che il comitato "Cultura della legalità e protezione dei minori" della commissione antimafia presieduto dalla senatrice Pd Enza Rando sta lavorando su alcuni dettagli tecnici. Si tratta di inserire una nuova forma di collaborazione che va istituzionalizzata “perché non si può sempre basarsi sulla fortuna o sulla conoscenza di trovare un preside che nasconda i bambini o di un’associazione che trovi una casa per queste donne e questi minori”. Secondo l'esponente di Fratelli d'Italia la possibilità che il lavoro svolto finora diventi una proposta di legge è “a pochi passi”.
“Stiamo lavorando nel comitato tutti insieme, senza distinzione – ha aggiunto la senatrice Pd –. È importante il cambio di generalità. Senza questo non si può costruire una nuova vita. Su questo il comitato sta lavorando, ma è molto complesso”. C’è poi un’altra difficoltà: “Spesso ci viene detto che questo ‘terzo genere’ potrebbe indebolire l’istituto della collaborazione con la giustizia. Esiste gente che è entrata in questo percorso, è diventata testimone o collaboratore e poi ne ha parlato ai mariti trasmettendo un’inquietudine”. Il deputato del Movimento 5 Stelle, l’ex procuratore antimafia Federico Cafiero De Raho, ha auspicato che lo Stato investa "somme di denaro consistenti", anche “per far comprendere che le famiglie che si allontanano vivono meglio di quelle che stanno dentro”.
Infine Ciotti ha richiamato la politica alle proprie responsabilità. “Alcuni protocolli sono stati firmati dai ministeri competenti, ma poi non s’è mosso nulla”, ha affermato. Sembra un riferimento alla firma del protocollo sottoscritto da cinque ministeri il 26 marzo scorso per ampliare il programma “Liberi di scegliere”, finora frutto di un'intesa tra Dipartimento per le Pari opportunità, tribunale per i Minorenni, procura per i Minorenni e procura di Reggio Calabria e di Catania, Direzione nazionale antimafia e Libera. Il protocollo prevedeva la sua estensione a Napoli e Palermo e il sostegno finanziario dallo Stato, visto che per adesso è stato alimentato soltanto dalla Conferenze episcopale italiana con i fondi dell’8 per mille. “I primi soldi sono arrivati dalla Cei, poi speriamo che i ministeri facciano la loro parte – ha sottolineato Ciotti –. A parole tutti si impegnano, ma poi...”.
Parlando di minori e contesti criminali, Ciotti ha anche contestato certi aspetti del decreto Caivano, a cui lavialibera ha dedicato il suo ultimo numero: “Ho goduto nel vedere che, di fronte a quanto successo, c’è stata subito una risposta con investimenti in strutture, servizi, spazi e opportunità. E sulle altre Caivano del nostro Paese? Qui mi è stato detto che c’è adesso un investimento su altri territori. È importante, ma non può sfuggirmi l’abbassamento dell’età” per perseguire i minori. “Non è quella la strada. La strada è investire di più sui nostri ragazzi”. Aveva ragione don Bosco, afferma: “Chi sbaglia deve rispondere, ma c’è modo e modo”.
E, in conclusione, ha anche ammonito i componenti della commissione antimafia: “Basta con questi attacchi che vengono fatti anche qui – ha detto, forse riferendosi alle critiche rivolte dalla destra agli onorevole M5s Federico Cafiero De Raho e Roberto Scarpinato –. Mettiamoci sul pezzo, c’è un grande bisogno nel paese”.
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