
Referendum 8 e 9 giugno, come votare da fuorisede e i quesiti

1 maggio 2025
Eravamo almeno cinquantamila persone a Trapani il 21 marzo scorso, alla trentesima edizione della Giornata della memoria e dell’impegno. Cittadini e cittadine di ogni età, ruolo sociale e professione, in arrivo dall’Italia intera per condividere un momento di vicinanza con i famigliari delle vittime innocenti delle mafie, ma insieme un momento di verifica e rilancio del nostro esserci quotidiano. Chi c’era quel giorno, c’è anche tutti gli altri.
Dovunque ci giriamo vediamo situazioni di sofferenza e minacce alla pace e al benessere delle persone. Però vediamo anche persone determinate a non lasciarsi travolgere dal senso di impotenza e sopraffazione
L’impegno sociale ha bisogno di continuità e concretezza. È bellissimo vedere una piazza traboccante di persone unite dagli stessi ideali, ma quando la piazza si svuota, e le persone si disperdono per le strade tornando ognuna a casa propria, è fondamentale sapere che quell’energia collettiva non sarà invece dispersa.
Partecipare significa fare la propria parte, il proprio pezzetto. L’entità dei problemi da affrontare è enorme ed è normale che ci spaventi: mafie, corruzione, razzismo, ingiustizie sociali, cambiamento climatico, conflitti armati. In Sicilia, come raccontano queste pagine, il pericolo degli incendi e l’angoscia della siccità.
Dovunque ci giriamo vediamo situazioni di sofferenza e minacce alla pace e al benessere delle persone. Però vediamo anche persone determinate a non lasciarsi travolgere dal senso di impotenza e sopraffazione. Qual è il segreto del loro coraggio? Semplice, hanno capito che se il problema “intero” appare insormontabile, preso “un pezzo alla volta” è possibile ottenere dei risultati.
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"Chi gode di un certo benessere, può avere la tentazione di costruire un muro invisibile di protezione. È il muro dell’indifferenza, che crea un senso di isolamento rispetto ai mali esterni"
Partecipare: prendere parte e prendersi una parte di responsabilità. Insieme. Ogni giorno. Perché anche quando non siamo direttamente coinvolti dal problema nell’immediato, non è detto che non lo saremo in futuro. E aspettare che siano sempre gli altri ad agire significa mettere nelle loro mani il nostro destino: rinunciare a una quota della nostra libertà.
Non tutti purtroppo hanno questa lungimiranza. Chi gode di un certo benessere, di una certa tranquillità a livello materiale e sociale, può avere la tentazione di costruire intorno a sé e ai propri cari un muro invisibile di protezione. È il muro dell’indifferenza, che crea un senso di isolamento rispetto ai mali esterni; non ha finestre, al massimo sottili feritoie, attraverso le quali guardare solo una porzione ristretta di mondo: quella di chi ci piace e ci somiglia, che non ci mette in difficoltà. Sappiamo che esistono guerre sanguinose, malattie terribili, disastri ambientali, forme di sfruttamento feroci, fragilità del corpo e dell’anima. Non soltanto in terre lontane ma anche qui, vicino a noi. Però, finché il muro ci impedisce di guardarle, non ci riguardano. Ma questo muro che crediamo di aver eretto come una fortezza si rivela alla lunga una gabbia, che invece di proteggerci ci rinchiude.
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Il muro dell’indifferenza ci tiene prigionieri dell’io: una prigione angusta e soffocante. Perché, non appena qualcosa ci turba – una malattia, un lutto, un insuccesso o un rifiuto capitano a tutti, anche nelle vite più serene – ci scopriamo isolati e incapaci di attivare l’unico vero strumento di salvezza: la relazione. Rifiutare di vedere le fragilità degli altri significa rifiutare di vedere e affrontare le proprie. Chiudersi in un’illusione di autosufficienza materiale e psicologica, ignorando un fatto evidente: siamo tutti interconnessi, tutti con-sorti dentro la grande famiglia umana.
" L’informazione dà poco spazio alle positività e al fermento civile. E il discorso pubblico, specie di questi tempi, tende ad alimentare la visione opposta"
Che bello allora riconoscere il popolo del 21 marzo di Trapani, in tanti altri luoghi e date. Lo ha fatto la redazione de lavialibera, che si è sguinzagliata per mezza Sicilia sulle tracce di un impegno sociale molto più diffuso ed efficace di quanto il racconto mediatico “standard” ci lasci credere. L’informazione dà poco spazio alle positività e al fermento civile. E il discorso pubblico, specie di questi tempi, tende ad alimentare la visione opposta: quella che spinge all’individualismo e alla delega. Il recinto dei deleganti è pericoloso tanto quanto il muro degli indifferenti, perché conduce alla medesima passività nei confronti di un bene comune lasciato alla mercé dei più forti, furbi e spesso disonesti.
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Bisogna cambiare prospettiva! Convincere chi ci sta intorno che l’avvenire non è un tempo minaccioso da attendere, ma siamo noi a costruire il tempo che ci attende. Il futuro è anzi proprio la forma che scegliamo di dare al nostro tempo. Non da soli ma insieme, imparando a essere parte, anziché farci da parte. Cambiare è faticoso. Bisogna affrontare le resistenze dei tanti che "stanno bene così" e, per pigrizia o tornaconto, non desiderano affatto che si cambi. Per scardinare queste resistenze servono conoscenze solide e coscienze inquiete: proprio quelle a cui dà spazio lavialibera. Come già tante volte in passato, in questo numero il giornale raccoglie le voci di chi partecipa. E lo fa assumendosi la sua parte di responsabilità, il suo pezzetto di impegno: quello per un’informazione libera e documentata, capace di uscire dai propri uffici come dai luoghi comuni, dalle visioni stereotipate e dalle letture ideologiche.
Da lavialibera n° 32, Terra bruciata
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