Aggiornato il giorno 19 agosto 2024
Una carriola piena di terra, da rovesciare sotto al letto della partoriente. Chi non riesce a capire come funziona lo ius soli dovrebbe farsi una chiacchierata con qualche anziano cittadino senese: potrebbe avere la fortuna di ascoltare questo gustoso aneddoto. Prima che, anche a Siena, la maggior parte delle nascite si spostasse dalle case ai reparti specializzati degli ospedali, l’appartenenza dei bambini alle diverse contrade si decideva appunto in base allo ius soli. Si diventava contradaioli dell’Onda o della Lupa, della Torre o della Tortuga e così via, se si nasceva dentro i confini di quel rione.
Ius culturae, la terza via per la cittadinanza
Ed ecco allora l’espediente: quando capitava che, per ragioni insuperabili, il parto si compisse in un quartiere diverso da quello a cui la famiglia si sentiva legata, c’era chi non esitava a portare qualche badilata di terra della propria contrada nella stanza dove il neonato veniva alla luce, così da aggirare la variabile territoriale. In virtù diquestoius soli inteso proprio alla lettera come “legge del suolo, della terra su cui si nasce”, l’acquisizione dell’identità contradaiola, così importante a Siena, veniva garantita.In Italia oggi avviene l’esatto contrario.
Famiglie arrivate da lontano per i più svariati motivi – spesso fuggite da guerre e persecuzioni, devastanti crisi ambientali o economiche – decidono di far nascere e crescere qua i loro figli. Sognano per loro un futuro tutto italiano, fatto di studio, lavoro, opportunità e legami. E invece scoprono che, in virtù di una rigida applicazione del principio di ius sanguinis (l’acquisizione della cittadinanza se il genitore ne è già in possesso, ndr), i loro piccoli nati sul suolo italiano, italiani non sono. Potranno al massimo diventarlo da maggiorenni, se sapranno destreggiarsi fra mille scadenze e tortuosità burocratiche.
Questo numero de lavialibera si occupa di riforma della cittadinanza e dello ius soli nelle sue declinazioni storiche e geografiche. Ci spiega che è una norma applicata, in forme diverse, in buona parte del mondo e fin dai tempi più antichi. Ci aiuta a riflettere sulle sue implicazioni giuridiche, ma soprattutto su quelle umane. La riforma della cittadinanza osteggiata da tanti, troppi anni da una parte del Parlamento, è una legge che si richiama, prima ancora che a teorie politiche o del diritto, al nostro senso di umanità.
La riforma della cittadinanza si richiama al nostro senso di umanità
Alla nostra capacità di sentire intimamente necessario il consegnare a ciascun bambino che nasce sulla terra un patrimonio intangibile di libertà, dignità e diritti. Mai come oggi, in un mondo sempre più globalizzato e in pericolo, dovremmo sentirci fratelli nel bene e nel male, pronti a collaborare per raddrizzare il nostro comune, faticoso destino di esseri umani. Abbiamo bisogno di costruire una società coesa e responsabile, unita nel rispondere alle enormi sfide ambientali, politiche e sociali del nostro tempo. E invece, per meschinità intellettuale e subdoli interessi di bottega, c’è chi alimenta l’idea di un’Italia divisa e diseguale, a partire dalle culle di ospedale.
Le parole di Lucarelli: colore
Di fronte a problemi come il cambiamento climatico, le disparità economiche crescenti e l’instabilità politica di vaste aree del pianeta, bisogna essere davvero miopi per restare arroccati in difesa di leggi restrittive sull’accesso alla cittadinanza. Ingenui nel ritenere che basti negare questo diritto per chiudere fuori dalla porta dell’Italia le minacce che pressano il mondo intero. Non è solo una battaglia politica, ma dell’intelligenza contro l’oscurantismo, una battaglia di civiltà.
Dobbiamo avere ben chiaro che dietro al testo di riforma periodicamente riproposto al dibattito pubblico e parlamentare, ci sono i nomi, i volti e le storie delle migliaia di giovani che aspettano di diventare cittadini italiani. Ma che, nelle scelte e nei comportamenti, dimostrano di esserlo già.Le leggi rispondono al momento in cui vengono formulate, sono frutto di un certo clima storico e culturale. L’Italia del 2021 è un Paese meta di immigrazione, così come in passato è stato la patria di un popolo di emigranti. Che senso ha garantire determinati diritti ai discendenti di chi è partito,per negarli ai figli di chi adesso arriva? Rifiutare, oggi, una riforma della cittadinanza significa perpetuare una situazione di discriminazione che è in chiara e scandalosa contraddizione con la ratio del dettato costituzionale.
Dietro la riforma ci sono i nomi, i volti e le storie delle migliaia di giovani che di fatto italiani lo sono già
Dal diritto di cittadinanza discendono a cascata, non dimentichiamolo, tanti altri diritti che ai non-cittadini sono concessi in forma temperata, e spesso condizionata all’adempimento di mille pratiche. Beni fondamentali come la salute o l’istruzione devono essere garantiti a qualunque bambino nasca in territorio italiano, a prescindere dalla nazionalità dei suoi genitori. Non possiamo costringere le famiglie a inseguire quei diritti fino al diciottesimo anno di età, a doverseli conquistare in una corsa a ostacoli fatta di burocrazia e scadenze, code agli uffici pubblici e carte bollate. In democrazia, l’educazione viene ancora prima delle leggi, nel costruire la coscienza dei cittadini. E noi che esempio offriamo ai nostri giovani, che crescono e studiano e lavorano insieme, se mostriamo di trattare diversamente chi ha fatto un percorso uguale? Come possiamo pretendere che i ragazzi di origine straniera diventino cittadini responsabili e rispettosi delle leggi, se non siamo capaci di approvare una legge sacrosanta, che sancisce la nostra responsabilità verso di loro? Spero davvero che, dopo molti ritardi e incomprensibili resistenze, sia arrivato il momento di superare questo vergognoso stallo.
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