20 gennaio 2022
“La #Cop26 si è conclusa. Ecco un breve riassunto: Bla, bla, bla. Ma il vero lavoro continua fuori da questi padiglioni. E non ci arrenderemo mai, mai”. Con queste parole Greta Thunberg il 13 novembre commentava in inglese la Cop26 su Twitter. L’intento e le buone intenzioni di questo messaggio sono chiare e se questa Cop è stata molto più seguita dalla popolazione rispetto alle precedenti è proprio grazie ai movimenti ambientalisti come Fridays for Future (Fff) e Extinction Rebellion che, a partire dal 2019, sono riusciti a portare alle manifestazioni un numero senza precedenti di cittadini preoccupati per la crisi climatica.
Thunberg provoca, ma ha un risvolto potenzialmente pericoloso, anche per gli obiettivi dei Fridays for future: fa credere che il modo in cui parliamo di temi ambientali non abbia rilevanza pratica
Davvero però la Cop26 è stata “solo parole”? E davvero le parole non hanno importanza? L’argomentazione di Thunberg è provocatoria, ma ha un risvolto potenzialmente pericoloso, anche per gli obiettivi di Fff, perché ci spinge a credere che il modo in cui parliamo di temi ambientali non abbia rilevanza pratica.
Negli ultimi anni è cresciuta molto l’attenzione alle strategie discorsive da parte di chi studia i fenomeni fisici legati alle alterazioni del clima. Oggi troviamo linee guida per aiutare gli esperti nel complicato compito di spiegare in modo divulgativo fenomeni complessi, sgradevoli e difficili da accettare. Tra queste discipline recenti, troviamo anche l’ecolinguistica (Stibbe, 2021), un approccio che ha il duplice obiettivo di studiare da un lato i discorsi distruttivi, come quello del consumismo, dall’altro i discorsi positivi che promuovono l’ambientalismo, per osservare come funzionano e se contengono strategie e assunti che li rendono meno efficaci.
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Proviamo allora a scavare tra le tante parole che sono state dette durante la Cop26 e osserviamo quali strategie discorsive sono state usate in un intervento che è stato apprezzato, diffuso e condiviso molto più degli altri. Mia Mottley, prima ministra di Barbados, ha tenuto un discorso di otto minuti che, a giudicare dalle visualizzazioni (419.614) e dai “like” (9426) sul canale YouTube ufficiale di Un Climate Change ha superato per interesse Barack Obama, Antonio Gutteres, Boris Johnson, Ursula Von der Leyen, Sir David Attenborough. Quali strategie discorsive ha usato Mottley? Perché il suo discorso arriva al pubblico?
Partiamo dall’uso dei pronomi: prevale il concetto di "noi" (“we”, “us” e “our”). Applicando una strategia spesso usata nei discorsi politici, Mottley non si riferisce sempre allo stesso gruppo di persone quando dice we, us o our: a volte si tratta chiaramente dei partecipanti alla Cop26, altre dell’umanità intera, in altre ancora si tratta leader dei paesi “in prima linea” (“on the frontline”).
In molti casi il referente è ambiguo, inducendo così chi ascolta a sentirsi parte e nel contempo a chiedersi chi è esattamente chiamato ad agire. La ministra accusa e elenca, senza giri di parole, i gravi errori del passato, ma non fa accuse specifiche, anzi dice sempre “we” quando dice che se avessimo finanziato la transizione energetica con i 25 miliardi spesi negli ultimi 13 anni per il quantitative easing, oggi saremmo in grado di rispettare il limite di 1,5 gradi.
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Il discorso usa diverse strategie e si nota l’attenzione prestata a ritmo, ripetizioni e pause.
A livello discorsivo, le metafore sono certamente al centro dell’efficacia
Il suo discorso usa diverse strategie e si nota l’attenzione prestata al ritmo, alle ripetizioni, alle pause. Ma a livello discorsivo, le metafore sono certamente al centro dell’efficacia di questo discorso. Osserviamo allora le più significative, partendo dalle metafore di guerra: “in prima linea” – con un riferimento esplicito al cantautore caraibico Eddy Grant – “sotto assedio”, “codice rosso”, “l’armata del clima”, metafore che permettono di accusare i paesi più ricchi per come scelgono di tenere sotto assedio i due terzi del mondo e di mettere in prima linea chi vive ai Caraibi, in Africa, in America Latina e nel Pacifico a morire per primi, come i soldati in guerra.
L’analisi di una metafora va fatta in due passaggi. Prima si pensa a una descrizione semplice del dominio sorgente, l’immagine che usiamo per parlare di qualcos’altro, per esempio l’assedio. Quali sono le sue caratteristiche fuori dalla metafora? Ci sono due fazioni in guerra, una è chiusa in una fortificazione e può resistere per un tempo determinato, l’altra vuole invadere la fortificazione e, a sua volta, tenta di resistere il più a lungo possibile fuori dalle mura. Ha accesso a risorse che possono essere rinnovate e questo è il punto di forza che la distingue dalla fazione assediata.
Nel secondo passaggio mappiamo tutte queste informazioni sul dominio target, cioè la cosa di cui vogliamo parlare davvero – in questo caso i due terzi del mondo – e stabiliamo quali sono le caratteristiche condivise da sorgente e target. Questo processo avviene normalmente a livello inconscio ogni volta che sentiamo una metafora. Ha un grande potere comunicativo perché lavora con le emozioni, è poco, o per nulla, razionale e permette all’oratore di implicare messaggi senza dirli in modo esplicito.
Mottley offre una soluzione attraverso una metafora, “una spada in grado di tagliare questo nodo Gordiano”, una spada che “è già stata forgiata” e che è quella “che abbiamo bisogno di forgiare”. C’è una doppia metafora in questa espressione, oltre all’ovvio richiamo all’energia e all’efficacia di Alessandro Magno – e quindi l’invito a perseguire l’obiettivo senza esitare e perdersi nelle difficoltà – c’è una spada che va ancora forgiata e che sembra dover avere poteri speciali, forse un po’ come quelle de Il Signore degli Anelli. Non basta quindi qualcuno che non esiti a usarla, servono poteri speciali e questi poteri, dice Mottley, sono nelle mani delle “banche centrali dei paesi più ricchi”, descritti implicitamente come in grado di creare denaro dal nulla, come per magia.
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Di solito le metafore con le piante e la loro crescita sono positive: Mottley parla invece di "piantare i semi della nostra comune distruzione"
Altre metafore complesse danno forza all’appello della ministra. “Il nostro mondo è di fronte a un bivio”, bivio che chiaramente rappresenta la scelta tra la strada giusta da intraprendere e quella sbagliata. Se scegliamo la strada sbagliata “permetteremo al percorso dell’avarizia e dell’egoismo di piantare i semi della nostra comune distruzione”. Ecco quindi che una volta scelto il percorso sbagliato non siamo più noi, “il nostro mondo”, ad agire, ma è il percorso stesso che assume il ruolo di agente e pianta i semi. Osserviamo qui un’inusuale metafora riferita alle piante e alla loro crescita, inusuale perché le metafore delle piante sono prevalentemente usate per concetti positivi (crescere, fiorire, svilupparsi, mettere radici, spuntare) e quando sono usate per concetti negativi, come qui, tendono a esprimere idee particolarmente orribili. Riescono a farlo in modo efficace proprio grazie al contrasto con la positività che di solito le caratterizza. Dicevamo che è il percorso a diventare agente, proprio come, una volta fatte le scelte sbagliate e superato il limite di 1,5 gradi, noi umani perderemo la capacità di agire e potremo solo restare a osservare e subire le conseguenze generate dall’avarizia e dall’egoismo.
“Il treno è pronto a partire” dichiara Mottley con una metafora usata comunemente per parlare di un’occasione da non perdere e che non si ripresenterà. “Possiamo lavorare con chi è pronto ad andare” dice, però poi implica che si tratta di un treno su cui sarà possibile salire ancora per un po’ e che chi è già sul treno dovrebbe “circondare chi non è pronto e ricordare loro” che è “la loro gente, non la nostra”, che “sono i loro cittadini ad avere bisogno di averli sul treno il prima possibile”.
“Una condanna a morte”, questa la metafora per descrivere il limite di 2 gradi, una condanna a morte per le persone di Antigua e Barbuda, delle Maldive, di Dominica e Fiji, del Kenya, del Mozambico di Samoa e Barbados. Una condanna a morte, fuor di metafora, è normalmente applicata a criminali imputati di azioni gravissime. Le persone che sarebbero condannate dal raggiungimento di 2 gradi sopra i livelli preindustriali, invece, sono tra le meno responsabili per la crisi climatica. “Questo è immorale. Ed è ingiusto” aveva detto nei primi minuti del discorso, usando il verbo essere. Il verbo essere descrive fatti e non opinioni, anche se la sua – per quanto condivisibile – è un’opinione. Mottley sceglie il verbo essere per sottolineare da quale parte sta la moralità in questa situazione.
“Quante altre voci e quante altre foto dobbiamo vedere su questi schermi senza riuscire a muoverci?”, dice Mottley. Sembra di ascoltare Dylan
Ci sono riferimenti intertestuali alla Bibbia “per chi ha occhi per vedere, per chi ha orecchie per ascoltare, e per chi ha un cuore per sentire” e passaggi che ricordano Blowing in the Wind di Bob Dylan “Quante altre voci e quante altre foto dobbiamo vedere su questi schermi senza riuscire a muoverci?”. Chiude il discorso con un appello che ha anche l’efficacia data dall’allitterazione “need our actions now – not next year, not in the next decade”.
Mia Mottley, una donna, non bianca, ministra di uno dei paesi tra i meno responsabili ma tra i più toccati dalla crisi climatica ha portato sul palco della Cop26 uno dei discorsi più seguiti e condivisi dell’evento. Le sue argomentazioni sono molto vicine a quelle dei movimenti ambientalisti, la differenza sta nella narrazione che non crea un “noi, ambientalisti dalla parte del giusto” e “voi, politici che non fate nulla”, ma attribuisce in modo più graduale le responsabilità e il potere di cambiare le cose, chiamando in causa tutti noi, ognuno con la sua possibilità di agire.
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