31 marzo 2022
Przemysl è una cittadina polacca di 60mila abitanti nell’estremo sud est della Polonia, distante meno di 15 km dal confine con l’Ucraina. Antico crocevia di popoli, nelle ultime settimane l’elegante stazione ferroviaria di eredità asburgica è diventata uno dei centri principali dell’emergenza migratoria che sta investendo il Paese. Qui arrivano i treni provenienti da Leopoli, e sempre qui fanno tappa i rifugiati in arrivo dal vicino valico di Medyka. Da quando è scattata la crisi, l’interno dell’edificio si è trasformato in una bolgia.
Circa un milione e mezzo di ucraini ha già oltrepassato il confine, ma il numero potrebbe salire a cinque milioni. A Varsavia, nel giro di due settimane, la popolazione è aumentata di 250mila persone
La prima impressione atterrisce: decine di corpi stanchi, sguardi smarriti, persone aggrappate alle poche prese disponibili per ricaricare il telefono. A terra, borse e borsoni, coperte e trasportini per gli animali. Tuttavia, il caos di Przemysl è stranamente ordinato. Un’ala della stazione è stata riservata alla prima accoglienza, dove gli sfollati possono sedersi e ricevere un pasto caldo. Sull’altro lato, un corridoio gremito di persone introduce all’infermeria. Al centro, c’è il grande atrio affollato da parenti, amici e conoscenti venuti a prendere i loro cari, ma anche da chi è giunto qui in macchina per offrire un passaggio a Katowice, Cracovia, Varsavia, fino ad arrivare a Praga e Berlino.
La nostra cronaca al confine tra Polonia e Bielorussia
Se la situazione a Przemysl è caotica ma gestibile, più complicata è quella di Medyka, dove file chilometriche costringono la gente a restare all’addiaccio per molte ore, a volte per più di un giorno. Sono quasi un milione e mezzo le persone entrate in territorio polacco dall’inizio del conflitto e si pensa che in poco tempo possano arrivare a 4-5 milioni.
I migranti sono discriminati in base alla loro nazionalità: ai cittadini ucraini è consentito viaggiare gratuitamente sui treni delle ferrovie polacche, mentre gli stranieri devono pagare il biglietto
Il piano di accoglienza originario prevedeva l’apertura di nove centri lungo la frontiera, ma con il passare dei giorni si è reso necessario ampliare la rete anche alle città. A Varsavia, nel giro di due settimane, la popolazione è aumentata di 250mila persone, quella di Cracovia di 100mila. Un ritmo insostenibile, tale da indurre il sindaco della capitale polacca, Rafal Trzaskowski, a invocare l’aiuto dell’Unione europea e delle Nazioni unite. A farsi carico dell’accoglienza è soprattutto la comunità: migliaia di cittadini hanno aperto le porte delle loro case agli sfollati, alberghi e pensioni sono stati riconvertiti in ricoveri, ma non è più sufficiente. Trzaskowski lamenta una mancanza di coordinamento da parte del governo, tuttavia di recente è stato approvato un disegno di legge che offre ai rifugiati la possibilità di soggiornare legalmente in territorio polacco a tempo indeterminato, facilita l’ingresso nel mercato del lavoro e assicura assistenza sanitaria.
Come spiega la giornalista Ewa Siedlecka sul settimanale Polityka, questa legge per certi versi epocale mostra però le due facce del Paese sul fronte dell’accoglienza, essendo riservata esclusivamente ai cittadini ucraini. Dal 24 febbraio, data di inizio dell’invasione russa, molte persone di origine africana e mediorientale residenti in Ucraina hanno cercato rifugio in Polonia. In una situazione già di per sé drammatica, il loro percorso è stato ancora più complicato. Diversi testimoni hanno denunciato abusi e maltrattamenti al confine. Secondo questi racconti, l’accesso ai valichi di frontiera è stato organizzato dividendo le persone in base alla provenienza: da una parte i cittadini ucraini, dall’altra gli stranieri.
Bruno, originario del Congo e residente in Ucraina da otto anni, ha finalmente raggiunto la stazione est di Varsavia. "È vero, per gli africani è stato più difficile, c’è stata una disparità di trattamento rispetto agli ucraini. Abbiamo dovuto aspettare molto più a lungo prima che ci lasciassero passare, ma non ho avuto problemi nonostante avessi con me solo una foto del passaporto". Le difficoltà sono state altre, ad esempio trovare un mezzo di trasporto. Gli autobus che fanno la spola tra il confine e le stazioni tendono a far salire prima gli ucraini che gli stranieri e per ovviare a questo tipo di problemi, alcune associazioni hanno organizzato dei bus che raggiungono la frontiera per recuperare chi rimane a terra.
Più spese militari, meno diritti sociali e giustizia ecologica
Inoltre, i cittadini ucraini possono salire gratuitamente sui treni delle ferrovie polacche, mentre gli stranieri devono pagare il biglietto. "Questo padiglione - indica Bruno - è destinato solo ai cittadini di nazionalità ucraina, io invece devo restare qui. Prima si è avvicinato un volontario, mi ha detto che più tardi tornerà per darmi indicazioni su dove potrò passare la notte".
Non sono mancati gli episodi xenofobi. A Przemysl, sono stati aggrediti tre giovani indiani e due ragazzi algerini, mentre la diffusione di alcune fake news sul presunto coinvolgimento di stranieri in reati contro la popolazione locale, ha contribuito a far crescere la tensione. Un fronte delicato è proprio quello legato alla proliferazione di notizie false e di troll informatici di matrice russa. Secondo il quotidiano Gazeta Wyborcza, la Polonia sarebbe al centro della più grande campagna di disinformazione degli ultimi anni. La maggior parte delle news ha come obiettivo proprio gli stranieri e trova l’appoggio in alcune frange dell’estrema destra e delle tifoserie calcistiche. Il fronte politico si è schierato in modo compatto contro l’aggressione russa, ma il rischio che il conflitto alle porte di casa, l’emergenza migratoria e la disinformazione possono corroborare un sentimento nazionalista è certamente elevato.
Nella galassia dell’estrema destra europea, quella polacca è sicuramente una delle più appariscenti. Ogni anno, l’11 novembre, a Varsavia si tiene la Marcia dell’indipendenza. L’evento è organizzato da un’associazione che include movimenti radicali quali Mlodziez Wszechpolska (Gioventù di tutta la Polonia) e Onr (Campo nazionale radicale), che attingono a piene mani nel bacino degli ultrà. Dalla prima edizione del 2010, l’evento è cresciuto in modo esponenziale e in media oggi coinvolge centomila persone provenienti da tutto il Paese, oltre a partiti esteri come l’italiana Forza Nuova. Le parole chiave sono quelle utilizzate dalla destra polacca: Bóg (Dio), honor (onore) e ojczyzna (patria).
E in nome di questi valori, vengono idealmente combattuti i nemici storici, su tutti la Russia, che per secoli ha minacciato e schiacciato l’indipendenza della Polonia, prima con l’Impero zarista e quindi attraverso il blocco sovietico. Il secondo nemico è l’Unione europea, vista come uno “strumento” utilizzato dalla Germania per imporre il suo neoimperialismo economico, che si esprime attraverso valori liberali e progressisti. No, dunque, alle persone Lgbt e all’immigrazione, in particolar modo quella islamica. L’unione di questi elementi, il nemico russo alle porte e l’ondata migratoria rischiano di innescare un cortocircuito già avvenuto lo scorso autunno, in occasione della crisi al confine con la Bielorussia.
Tra la fine dell’estate e la metà di novembre, la Polonia si è trovata a fronteggiare un improvviso flusso migratorio, organizzato e coordinato dal dittatore bielorusso Aleksandr Lukashenko. Alcune migliaia di persone, per la maggior parte curdi iracheni, sono stati accompagnati al confine con Polonia e Lituania, con la promessa di un facile passaggio in Europa. Una vera e propria tratta di esseri umani, a cui Varsavia ha risposto con la massima durezza, respingendo indietro centinaia di persone. Il bilancio finale è stato di venti morti ufficiali, ma è possibile che il numero delle vittime sia più elevato.
Nella galassia dell’estrema destra europea, quella polacca è la più appariscente. I “nemici” sono la Russia e l’Unione europea, quest’ultima accusata di imporre il suo neoimperialismo economico
Da allora sono trascorsi oltre quattro mesi e l’attenzione dei media è calata. È arrivato l’inverno e molti dei richiedenti asilo fermi al confine sono stati rimpatriati. Nel frattempo, la Polonia ha iniziato la costruzione di un muro che dividerà il Paese dalla Bielorussia, un’opera da 350 milioni di euro che taglierà in due la “puszcza” di Bialowieza, ultimo lembo della foresta vergine europea.
Agata Ferenc è una attivista di Fundacja Ocalenie, fra le associazioni che più si sono prodigate per il soccorso dei migranti. "Il numero delle persone è diminuito, ma il flusso è ancora attivo. Sono arrivati nuovi gruppi dall’Iraq, dalla Siria, dall’Africa e dall’India. Alcuni di loro raccontano di essere giunti in Bielorussia dopo aver fatto scalo a Mosca, sappiamo che in questo momento ci sono otto siriani bloccati nei boschi e probabilmente si trovano in pessime condizioni". Chi riesce a passare e non è rispedito indietro, viene accompagnato in un centro per stranieri, dove rimane in attesa che qualcuno valuti la sua domanda. "Le condizioni di quelle strutture sono pessime - spiega Ferenc - in certi casi nella stessa stanza vi sono rinchiuse fino a 25 persone, con pochissimo spazio a disposizione. Ci sono stati anche dei casi di abusi sessuali ai danni dei detenuti, senza alcun controllo delle autorità". La differenza di approccio mostrata dal governo polacco nelle due crisi è stridente. E guardando alla calorosa accoglienza dimostrata in queste ultime settimane, è difficile non pensare a chi non ha ricevuto lo stesso trattamento. Un esempio perverso di solidarietà a metà.
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