Aggiornato il giorno 18 novembre 2022
Alla Cop27, la conferenza delle Nazioni unite sul cambiamento climatico, l’economia è l’indiscussa protagonista. Per contenere le emissioni di anidride carbonica e limitare le conseguenze dell’inquinamento, i 197 paesi che dal 6 al 18 novembre si riuniscono a Sharm el-Sheikh, in Egitto, necessitano di denaro. Servono con urgenza investimenti e finanziamenti per quei stati che più di altri hanno pagato e continuano a pagare i danni causati dai cambiamenti climatici.
Non mancano le proteste: contro il greenwashing – l’ecologismo di facciata – dopo che la multinazionale Coca Cola è stata inserita fra i main sponsor dell’evento; per la scelta di organizzare la conferenza in Egitto, dove il governo presieduto da Abdel Fattah al-Sisi limita l’azione degli attivisti. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni partecipa all’inaugurazione della conferenza il 7 e l’8 novembre, nonostante abbia eliminato il ministero della Transizione ecologica, sostituito dall’ibrido dicastero ambiente-sicurezza, assegnato a Gilberto Pichetto Fratin. Una scelta in linea con il programma elettorale di Fratelli d’Italia, secondo il quale “l’ecologia attenta non può voltare le spalle all’imprenditoria”.
Mentre a Sharm el-Sheikh si discute di società civile ed energia, il mondo raggiunge gli otto miliardi di persone. Lo stima l’Organizzazione delle nazioni unite che avverte: “È responsabilità condivisa prenderci cura del nostro pianeta”. Con questa crescita nella popolazione (solo 11 anni fa eravamo un miliardo in meno) la questione si sposta più che mai sulle risorse. Così il tema dell’energia diventa sempre più centrale.
Abbiamo raggiunto gli 8 miliardi di persone sulla Terra. Ora è responsabilità di tutti prenderci cura del pianeta
Tra le discussioni, anche quella sul cosiddetto idrogeno verde, prodotto sfruttando l’elettricità in eccesso dalle fonti rinnovabili. Una fonte su cui anche l’Italia sta puntando molto, visti anche gli incentivi provenienti da Bruxelles. Nonostante un ridimensionamento dei finanziamenti – si è passati da 4,2 a 2,6 miliardi di euro – rimane comunque un pilastro della transizione. Il suo sviluppo conviene all’intero settore energetico, tanto che proprio oggi alla Cop27 il gruppo della Banca mondiale lancerà un’iniziativa per promuovere la diffusione dell’idrogeno a basse emissioni di carbonio nei paesi in via di sviluppo, la Hydrogen for Development Partnership (H4D). Cambiare marcia sembra oggi più urgente.
Si apre la seconda settimana di lavori alla Cop27 con al centro del dibattito due temi: identità di genere e acqua. Su questo secondo filone di interesse si concentrano molte preoccupazioni, visto che la scarsità della risorsa unita all’inquinamento mettono a repentaglio non solo la fertilità dei territori ma anche la stabilità geopolitica di alcune zone del pianeta. Un esempio ha a che fare proprio dall’Egitto, paese ospitante della conferenza. Si tratta della Grand Ethiopian Renaissance Dam, la grande diga della rinascita: un progetto dello stato etiope per rilanciare lo sviluppo del Paese, ricorrendo all’energia generata dal Nilo bianco, affluente del fiume che poi sfocia nel Mediterraneo. Si tratta di un’infrastruttura lunga 1800 metri, che crea un lago artificiale che contiene 74 miliardi di metri cubi di acqua. Un trampolino industriale che però ha anche grandi ombre, tra cui la mancata ricezione d’acqua proprio allo Stato di Al-Sisi e al Sudan. Il governo del Cairo si è da subito detto contrario alla costruzione, ma nemmeno la mediazione dell’Unione africana ha portato ai risultati sperati. La diga, intanto, è stata inaugurata, con il rischio che zone prima verdi vengano mangiate dal deserto.
Sono 636 e rappresentano una delle più grandi delegazioni presenti alla Cop27, la conferenza sul clima che si sta svolgendo a Sharm el-Sheik, in Egitto. Stiamo parlando dei lobbisti dei combustibili fossili. Un numero che è aumentato del 25 per cento rispetto all’anno scorso, quando se ne contavano circa 500. Nella riunione annuale più importante sul tema del cambiamento climatico – e in particolare in questa edizione, che ha come fulcro della discussione il risarcimento dei danni ai paesi più colpiti dalla crisi ambientale e l’implementazione degli accordi presi durante le scorse edizioni – la presenza di così tanti esponenti di industrie che basano i loro profitti su fonti energetiche fossili mette in allerta. C’è il rischio, infatti, che aziende come queste rallentino o fermino la transizione verso le rinnovabili. Ma non ci sono solo interessi privati: 29 governi, infatti, hanno incluso personale delle compagnie fossili direttamente all’interno delle delegazioni ufficiali. Tra questi, molti paesi africani, come Congo, Gambia, Ghana, Chad, ma anche Canada e Brasile. Nonostante gli appelli del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che annunciava la tolleranza zero su azioni di greenwashing, alla prova dei fatti le cose potrebbero tingersi ancora di verde petrolio.
Il giorno di lavori è unico, i temi sono due: la quinta giornata della Cop27 è dedicata a scienza e future generazioni, che potrebbe essere quella dei grandi inascoltati. Da un lato la comunità scientifica che per anni ha denunciato l’aumento delle emissioni di anidride carbonica, rimanendo però all’angolo. L’ultimo report dell’International panel on climate change (Ipcc, il gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico fondato nel 1988 dalle Nazioni unite allo scopo di fornire ai decisori politici basi scientifiche sul cambiamento climatico) pubblicato ad aprile non lascia spazio all’inazione. “Si prevede – si legge sul documento – che le emissioni globali di gas a effetto serra raggiungeranno il picco tra il 2020 e il 2025 se si utilizzano modelli che mantengono il limite del riscaldamento a 1,5°C.” Le conseguenze, in caso si mancasse l’obiettivo concordato nell’Accordo di Parigi del 2015, sono catastrofiche: “Senza un rafforzamento delle politiche, si prevede che le emissioni di gas a effetto serra aumenteranno oltre il 2025, portando a un riscaldamento globale mediano di 3,2 [da 2,2 a 3,5] °C entro il 2100”.
“Senza un rafforzamento delle politiche, si prevede che le emissioni di gas a effetto serra aumenteranno oltre il 2025, portando a un riscaldamento globale mediano di 3,2 [da 2,2 a 3,5] °C entro il 2100”
E i giovani? Nei documenti ufficiali della Cop27 sembrano al centro del processo di cambiamento, vista “l’importanza di garantire che le voci [delle ragazze e dei ragazzi] siano ascoltate e le loro opinioni prese in considerazione”. Le parole sono del ministro egiziano per gli affari esteri Sameh Shoukry, ma contrastano con le scelte del governo del Cairo, maglia nera in materia di diritti umani. Le proteste, anche a Sharm el-Sheikh non si sono fatte attendere: i Fridays for Future hanno contestato la conferenza, con slogan contro i combustibili fossili. Ma l’emblema di questa giornata sono i Scientist Rebellion, scienziati e accademici che denunciano la crisi climatica attraverso azioni di disobbedienza civile. Sahmim Wasii Nyanda, attivista del gruppo, chiede che si vada oltre quello che Greta Thunberg, un anno fa, ha definito “Il solito bla bla bla”. “Chiediamo – dice Wasii Nyanda – che il Nord globale bandisca i jet privati, tassi chi viaggia e paghi per il fondo di ‘Perdite e danni’ per i Paesi vunerabili”.
La finanza è al centro delle discussioni della quarta giornata di lavori della Cop27 e, più in generale, fa da sottofondo a tutta la conferenza. L’obiettivo principale dei partecipanti è trovare un modo per concretizzare e implementare le decisioni prese negli ultimi anni, in particolare con l’Accordo di Parigi (la cui entrata in vigore risale al 2016) e gli Accordi di Glasgow dell’anno scorso. Lo scorso anno, proprio in occasione della Cop26 e per accelerare la transizione verde, l’inviato speciale delle Nazioni unite per l’azione per il clima e la finanza Mark Carney aveva lanciato la Glasgow financial alliance for net zero, un’alleanza di banche, assicuratori, proprietari di patrimoni, gestori patrimoniali, fornitori di servizi finanziari e consulenti di investimento che si erano impegnati a raggiungere impatto ambientale zero.
Poteva essere una svolta verde, invece, a un anno dalla creazione, l'alleanza finanziaria per raggiungere impatto ambientale zero si è già spaccata
Poteva essere una svolta verde, invece non se n’è fatto nulla. Il gruppo autogestito, a un anno dalla creazione, si è già spaccato, mostrando la difficoltà di un settore che fa fatica a staccarsi dai combustibili fossili, specie in questo momento di crisi energetica. Ed ecco che l’impegno di Mark Carney per impegnare 130 trilioni di dollari in investimenti per arginare il cambiamento climatico è rimasto solo un sogno.
Non tutti gli eventi delle conferenze internazionali hanno la stessa importanza. Ce ne sono alcuni che attirano una platea più ampia e a cui si riserva uno spazio più grande. Non è successo alla Cop27, per una delle riunioni più attese della giornata: quella dei delegati dei governi sulla definizione degli strumenti finanziari a sostegno di perdite e danni, tema su cui verte tutta la Conferenza delle parti e su cui avrebbe puntato anche il Paese ospitante, l’Egitto. La sala si è riempita e molti sono rimasti alla porta, di fatto senza poter prendere parola su una questione cruciale, ovvero l’istituzione di un nuovo strumento finanziario ad hoc per ripagare gli Stati più colpiti dalla crisi climatica.
In ogni caso, la prima bozza di proposta – che sarà poi perfezionata in altre riunioni articolate durante le due settimane di incontri – verte su alcuni punti fondamentali, tra cui l’accessibilità e le scadenze. I 78 Stati promotori sanno che, anche se la proposta dovesse essere accettata nella sessione plenaria, ci vorrebbero poi anni ad attuarla. Ecco perché i partecipanti stanno iniziando a calcolare perdite e danni stimati, per arrivare preparati ai nuovi vertici.
“Serve una giusta transizione energetica” ha detto la presidente Giorgia Meloni durante il suo discorso alla cerimonia di apertura. Sottolineando lo sforzo che sta facendo l’Italia - con l’aumento del contiributo dei finanziamenti alla lotta al cambiamento climatico - ha poi messo l’accento sull’energia. Citando le misure Re-power Eu - piano con cui la Commissione europea vuole “rendere l’Europa indipendente dai combustibili fossili russi ben prima del 2030, a seguito dell’invasione dell’Ucraina” - Meloni ribadisce l’obiettivo di ridurre le emissioni nette di gas serra almeno del 55% entro il 2030 e raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
La premier sostiene che è possibile raggiungere i traguardi solo in due modi: aumentando la produzione di energia all’interno del nostro Paese e cercando partner anche nel continente africano (nessun accenno invece alla possibilità di riduzione dei consumi). Sul fronte del gas, il “governo del fare” ha le idee chiare. Il consiglio dei ministri ha dato il via libera per aumentare l’estrazione di gas in Adriatico, a partire dalle nove miglia dalla costa.
Eni cerca petrolio in Albania, ma il permesso ambientale non c’è
Adolfo Urso, ministro delle imprese e del made in Italy a Skytg24 ha dichiarato: “Per un governo pragmatico che ha come unico faro l’interesse nazionale, in un momento che richiede di soccorrere il nostro sistema produttivo e sociale, realizzare più gas attraverso gli attuali pozzi e realizzare trivellazioni nel Mar Adriatico centrale, dove possibile, a breve e sopperire ai bisogni delle nostre imprese”. Il 75% della produzione sarà destinato alle imprese italiane con prezzi calmierati. Ma la produzione interna non è sufficiente. Ecco perché gli accordi bilaterali con Stati africani possono essere la chiave di volta per diversificare i Paesi da cui attingere risorse.
Sul fronte del gas, il “governo del fare” ha le idee chiare. Il consiglio dei ministri ha dato il via libera per aumentare l’estrazione di gas in Adriatico, a partire dalle nove miglia dalla costa
Intanto, nemmeno un cenno da parte di Giorgia Meloni sul tema “ Perdite e danni" - finanziamenti da destinare alle aree che hanno subito perdite e danneggiamenti (Loss and damage) a seguito di eventi climatici estremi. La premier si allinea alle altre istituzioni dell’Unione, evitando la creazione di nuovi strumenti finanziari ad hoc, ma continuare sulla strada dell'implementazione di quelli già esistenti
È la domanda che anticipa ogni conferenza sul clima e che rimbomba sempre più forte da quando i Paesi più colpiti dalla crisi - di solito più poveri - hanno iniziato a chiedere a quelli più ricchi di compensare il danno con fondi specifici, per ripagare almeno in parte le conseguenze catastrofiche della crisi climatica. Così, a questa Cop27, la questione del finanziamento al fondo di “Perdite e danni" è già al centro del dibattito. Le prospettive, però, sono molto diverse.
Da un lato, Alok Sharma, presidente della scorsa edizione (che si è tenuta a Glasgow, in Scozia), rivendica i passi in avanti. Dall’altro, alcune delegazioni di Paesi in via di sviluppo durante la sessione di apertura dei lavori, che chiedono si faccia molto di più. Il delegato del Bangladesh ha proposto, vista l’urgenza di agire, il cambio di una regola: scegliere non più attraverso il raggiungimento dell’unanimità, ma attraverso la sola maggioranza dei voti favorevoli. La richiesta non ha però trovato ascolto.
Il clima si scalda anche in un altro momento della discussione, proprio quello che interessa il tema delle Perdite e danni: non si dovrà discutere tutto in queste due settimane, come giàa annunciato da Sameh Shoukry, ministro degli Esteri e nuovo presidente della Cop. Lo slittamento è già stato preannunciato dalla presidenza egiziana, vista l’apertura a “ulteriori discussioni dopo Cop27”.
Il neologismo inglese greenwashing – letteralmente “lavaggio verde” – è utilizzato per indicare le strategie di comunicazione che imprese, organizzazioni o istituzioni politiche usano per costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo ambientale, distogliendo così l’attenzione dai reali impatti negativi delle proprie attività.
La Cop27 di Sharm el-Sheikh è l'ultima tappa di un percorso multilaterale avviato nel 1992 con l’approvazione, a Rio de Janeiro, della prima Convenzione quadro sul cambiamento climatico delle Nazioni unite (Unfccc). Successivamente, nel 1997, è stato approvato il Protocollo di Kyoto (Cop3), il primo trattato internazionale in materia, e l’Accordo di Parigi del 2015 (Cop21), il primo giuridicamente vincolante.
Cop sta per Conferenza delle Parti: è l'organo decisionale più importante della Convenzione sul clima e rappresenta 197 Stati. Si riunisce ogni anno con il compito di revisionare i documenti nazionali e verificare l'attuazione di ciò che viene deciso, nonché il raggiungimento degli obiettivi prefissati. La prima conferenza si è tenuta a Berlino nel 1995 e da allora è organizzata in città che offrono la possibilità di accogliere le delegazioni.
L’Africa ha già ospitato la Cop nel 2016 a Marrakesh, in Marocco, un anno dopo l’incontro di Parigi che aveva segnato uno spartiacque, imponendo ai paesi partecipanti di impegnarsi a mantenere l’aumento delle temperature medie globali, entro la fine del secolo, al di sotto di 1,5 gradi, con un limite massimo di 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali.
In quell’occasione gli obiettivi da perseguire erano due: pianificare le misure e i meccanismi di revisione riguardanti la diminuzione delle emissioni globali e implementare la “finanza globale”, che dal 2020 doveva procedere al risarcimento degli stati che, pur contribuendo solo in piccola parte all’inquinamento del pianeta, pagavano in termini ambientali conseguenze catastrofiche.
Cop26, cosa è stato fatto e cosa manca
Sei anni dopo, la missione della Cop27 è rimettere al centro del dibattito i finanziamenti da destinare alle aree che hanno subito perdite e danneggiamenti – loss and damage – a seguito di eventi climatici estremi (ad esempio, gli uragani) ed episodi che hanno mutato profondamente l’aspetto e l’equilibrio dei territori, come succede con periodi prolungati di siccità. Intervenire a posteriori costa sempre di più: nell’ultimo Adaptation gap report del Programma delle Nazioni unite per l’ambiente, si stima che se si tenesse conto di un periodo che va da oggi al 2050, l’adattamento ai cambiamenti climatici potrebbe costare dai 280 ai 500 miliardi di dollari all’anno, cifra che tiene soltanto conto dei paesi in via di sviluppo.
Anche durante la preCop27 – l’evento preparatorio alla conferenza, che quest’anno si è tenuto a Kinshasa, nella Repubblica democratica del Congo – si è discusso di come spostare il punto di vista dagli interessi dei paesi del G20 a quelli più poveri. La ministra dell’Ambiente congolese Eve Bazaiba ha detto: “Ci serve ossigeno, ma ci serve anche il pane”, denunciando la difficoltà di trovare soluzioni alla povertà estrema in alcuni territori del mondo e di sostenere le conseguenze della crisi climatica. Ai paesi industrializzati si chiedono tecnologia e finanziamenti. “A meno che non venga fatto uno sforzo globale, nessuno riuscirà a sfuggire”, ha esortato Bezaiba.
Per ridurre il divario tra ricchi e poveri, la soluzione era stata individuata in un maxi risarcimento di 100 miliardi all’anno. L'obiettivo è ancora lontano
Per ridurre il divario tra ricchi e poveri, la soluzione era stata individuata in un maxi risarcimento di 100 miliardi all’anno, da distribuire ai paesi più svantaggiati. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) sono stati mobilitati fondi per 83,3 miliardi di dollari nel 2020 e, nonostante un aumento rispetto agli anni precedenti (erano 79.6 miliardi nel 2019 e 78.3 nel 2018) l’obiettivo è ancora lontano.
Una soluzione per migliorare l’analisi dei progetti di finanziamento a livello quantitativo e qualitativo la fornisce l’Accordo di Parigi del 2016. All’articolo 14 si legge come la Cop abbia il compito di “verificare periodicamente l’attuazione dell’accordo, per valutare i progressi collettivi compiuti verso la realizzazione dello scopo per cui esso è inteso e dei suoi obiettivi a lungo termine (definito global stocktake o bilancio globale)”. Questo studio annuale considera tre grandi aree: la mitigazione, l’adattamento e i mezzi di attuazione e sostegno. Quest’anno si decideranno gli ultimi dettagli, visto che il primo bilancio sarà redatto nel 2023 e poi revisionato ogni cinque anni.
La Cop rischia di passare in sordina per molti motivi. Innanzitutto, la contingenza internazionale con l’aggressione russa all’Ucraina, che ha distolto l’attenzione dalla questione climatica, spostando il focus sulla crisi energetica. Ci sono poi due temi che riguardano l’organizzazione dell’evento: il greenwashing e lo stato dei diritti civili in Egitto. “La Cop si tiene in un paradiso turistico, in un paese che viola molti diritti umani fondamentali”, ha accusato Greta Thunberg, fondatrice dei Fridays for future, che non parteciperà all’evento. “È importante lasciare spazio achi ha bisogno di essere lì – continua – per gli attivisti sarà difficile far sentire la propria voce”.
Coca-Cola, sponsor della conferenza sul clima, è il peggior inquinatore di plastica al mondo
“Le conferenze internazionali sul clima vengono utilizzate dalle persone che occupano posti di potere come opportunità per ottenere attenzioni con tanti diversi tipi di greenwashing”, ha ribadito qualche giorno fa Greta Thunberg. Per comprendere quanto le lobby siano potenti all’interno di questi eventi, basta dare un’occhiata agli sponsor. Su tutti spicca Coca-cola, che ha annunciato di volere ridurre del 25 per cento, entro il 2030, le emissioni assolute ed “esplorare le opportunità per costruire la resilienza climatica in tutta la sua attività”. Peccato che secondo il report “Holding Corporations Accountable for the Plastic & Climate Crisis”, la Coca-cola company, per il quarto anno consecutivo, risulta essere il peggiore inquinatore di plastica al mondo, avendo prodotto solo nel 2020 2,981,421 tonnellate di plastica.
Negli ultimi dieci anni il paese nordafricano ha raggiunto quota 60mila prigionieri politici. Fra questi, attivisti per i diritti umani e ambientali
Un’altra ombra offusca la Cop egiziana. Negli ultimi dieci anni il paese nordafricano ha raggiunto quota 60mila prigionieri politici. Fra questi, figurano attivisti per i diritti umani e ambientali che sono stati rinchiusi con false accuse, riporta la Commissione egiziana per i diritti e le libertà, una delle poche ong che nel Paese si occupa di questi temi. In vista della Cop, le autorità hanno chiarito che le proteste saranno consentite solo in un’area lontana dal centro conferenze. L’organizzazione Human rights watch ha denunciato che “il governo egiziano ha gravemente ridotto la capacità dei gruppi ambientalisti di svolgere politiche indipendenti”. In molti casi i ricercatori hanno subito intimidazioni, sono stati minacciati ed è stato intimato loro di non occuparsi di certi argomenti. Le organizzazioni che indagano su progetti “opachi” de Il Cairo faticano a essere finanziate o, addirittura, non possono registrarsi. Un atteggiamento che il governo di al-Sisi non riserva soltanto agli attivisti ambientali, ma anche a chi si occupa di diritti umani. Lo scorso marzo, in una dichiarazione congiunta degli stati membri delle Nazioni unite, si evince una “profonda preoccupazione” per “le restrizioni alla libertà di espressione e al diritto di riunione pacifica, lo spazio limitato per la società civile e l’opposizione politica”. Motivazioni che sono risultate comunque insufficienti per organizzare in modo diverso la Cop27.
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