3 aprile 2023
Da 108 giorni l'ex presidente del Perù Pedro Castillo – politico, sindacalista e insegnante di scuola elementare, originario di Cajamarca, una delle regioni più povere ma con i più grandi giacimenti d’oro dell’intera America latina – è in carcere con l'accusa di ribellione e tentato colpo di stato, dopo che il 16 dicembre scorso, a poche ore da una seduta che avrebbe votato per destituirlo per "incapacità morale", ha sciolto le camere e indetto lo stato di emergenza.
A seguito della proclamazione di Dina Boluarte, sua vice, come presidentessa, migliaia di cittadini si sono riversati a Lima arrivando dalle aree rurali – zone in cui l’appoggio al presidente era maggiore – chiedendo di tornare al voto. I blocchi stradali e la risposta violenta della polizia peruviana hanno portato alla morte circa 70 persone. Il 21 gennaio, un carro armato ha sfondato i cancelli dell’Università di San Marcos, dove alloggiavano circa 200 persone, arrivate nella capitale per protestare. Le hanno arrestate con l’accusa, tra le altre, di terrorismo: tra loro anche una bambina di otto anni. Boluarte si è scusata per gli eccessi della polizia, ma allo stesso tempo ha emanato una nuova legge che permette alla forze dell’ordine di sparare al corpo dei manifestanti e non solo alle estremità.
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Guido Leandro Croxatto, avvocato specializzato in diritti umani, difende Castillo dall'inizio del febbraio scorso. In poco più di un mese ha incontrato tutti i leader sudamericani che sostengono il politico peruviano e ora ha iniziato un tour europeo. "La mia missione non è difendere le sue idee politiche, ma i suoi diritti" dice a Torino, intervenendo a un convegno organizzato per la sua liberazione dal comitato “Libertad y restitucion del presidente Pedro Castillo”.
Cosa sta succedendo in Perù?
Con Castillo stiamo assistendo a una storia che si è ripetuta uguale anche con altri presidenti: Evo Morales in Bolivia, Rafael Correa in Ecuador, José Mujica in Honduras, Luiz Ignacio Lula da Silva in Brasile, Cristina Elisabet Fernández Wilhelm in Argentina. Non abbiamo tanti strumenti giuridici per affermare che Castillo è diventato scomodo quando è diventato presidente del Perù, però è anche vero che un contadino, indigeno, venuto da una città che non è la capitale è diventato sgradito.
In che senso?
Non si tratta di essere simpatizzanti o meno della politica di Pedro Castillo: è una questione di riconoscimento della moltitudine di violazioni di diritti processuali avvenute durante la sua carcerazione. Un esempio che conferma questo è la posizione di Raquel Fajardo, avvocata e professoressa alla Pontificia università cattolica del Perù, che non riusciva a trovare qualcuno che gli pubblicasse le numerose irregolarità che era riuscita a documentare, per mancanza di fondi.
Chi si sta occupando del caso Castillo?
Avvocati internazionali e presidenti di Paesi vicini hanno manifestato la loro vicinanza, dando supporto alla causa di Castillo. Eppure nemmeno Raul Zaffaroni – giudice della Corte inter-americana dei diritti umani – è riuscito a entrare in carcere e incontrare l'ex presidente a causa di un cavillo, visto che si era dimenticato il tesserino da avvocato. Sarebbe stato un incontro storico: uno dei massimi esperti di criminologia avrebbe parlato faccia a faccia in carcere con un imputato che ha ricoperto la massima carica dello Stato. A pensarci, è ironico: se il rigore burocratico funzionasse così a tutti i livelli, il Perù sarebbe un Paese ideale.
Un Paese con molte ombre.
Sì, ma nel Perù dei cavilli burocratici è potuta salire al potere una persona come Castillo. Dove ci sono le ombre, c'è anche luce. Come in Bolivia, come in Brasile. Lo stesso giudice che ha imputato Lula ora è diventato ministro della Giustizia del governo Bolsonaro. Il problema di scarsa imparzialità è diffuso. Quando lo fa la destra non succede nulla, quando lo fa la sinistra sembra l'apocalisse.
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Che interessi ci sono in ballo?
Voglio chiarire un aspetto fondamentale: io difendo i suoi diritti, non le sue idee. Qualunque cosa si pensi sul suo operato, sono state violate le norme di procedura. So che ci sono degli interessi sul tavolo e che determinano l'andamento di questo processo e il Perù non fa eccezione rispetto agli altri Stati dell'America Latina. Il Papa, qualche giorno fa, a una conferenza sul colonialismo e neocolonialismo, ha parlato esplicitamente della persecuzione degli leader progressisti dell'America Latina e la differenza tra le accuse di corruzione pronunciate verso presidenti poveri o verso presidenti che hanno tesori in paradisi fiscali. Per Castillo, se non vogliamo interpellare la giustizia – termine ampolloso e distante dalle persone – almeno seguiamo l'iter processuale.
E quali sono le risposte?
Non ci sono. Penso che si debba rispondere all'argomentazione con un'altra argomentazione e invece, quando si fa presente che non è stato seguito il percorso segnato dalla Costituzione, dall'altra parte risponde il vuoto. Le risposte devono essere date, perché non si tratta di essere pro o contro Castillo.
Castillo sarebbe dovuto essere destituito per "incapacità morale permanente". Che cosa significa?
Nel dettaglio, non lo sappiamo. La Commissione interamericana per i diritti umani, interpellata a riguardo, aveva consigliato al tribunale di precisare il suo significato, perché passibile di interpretazione ampia e non è stato fatto. Storicamente, "incapacità morale permanente" richiama uno stato di infermità mentale che di solito veniva usata in una visione eurocentrica per criminalizzare i popoli indigeni. Non è casuale che si utilizzi nuovamente ora con un presidente contadino. Ci si deve battere perché ogni carica di questo livello sia difesa adeguatamente. Ne va del nostro presente e del nostro futuro. Ciò che sta accadendo a Castillo può ripetersi con altri.
E poi ci sono le ripercussioni sui cittadini.
La morte di 70 persone dopo l'incarcerazione di Castillo non può passare inosservata. Non ci si può girare dall'altra parte, perché non ci possono essere cittadini di serie A – che vivono nella capitale – e di serie B, quelli delle aree rurali. Servono anche risposte giuridiche. Il tribunale costituzionale risolve la questione con un "pronunciamento", che però non ha valore giuridico. Un sintomo di quanto si stiano piano piano riducendo i diritti, tra cui quella del giusto processo.
La questione sull'operato politico quando sarà posta?
In un secondo momento. Non è compito mio, ma dei cittadini peruviani, dei sociologi, dell'università. Mi occupo del procedimento. Ci sono gli strati più poveri, più umili che si riconoscono in Castillo e soffrono con lui. Si sente, si percepisce dal clima che c'è.
Mi spieghi meglio.
Quello che sta succedendo in Perù sembra un film dell'orrore, però è la realtà. L'unica nota positiva in questo disastro è che abbiamo sempre più voce a livello internazionale. La stampa internazionale, non avendo un legame così forte con ciò che accade nella politica nazionale, ha la possibilità di raccontare questa storia senza essere ostacolata. Il primo ad averlo fatto è stato il corrispondente in Colombia del giornale spagnolo El Paìs. E visto che ne hanno parlato in Europa, allora si è cominciato a parlarne anche in America Latina.
Perché è così difficile parlarne?
La struttura dei mezzi di comunicazione in America Latina non è come in Europa. Qui, anche se ci sono problemi, rimane una pluralità di idee. Nel nostro continente invece accadono due cose. La prima è che i giornali non prendono una posizione esplicita, anche se ce l'hanno. La seconda riguarda il discorso unico che viene portato da tutte le testate. Gli stessi pezzi, lo stesso taglio. Un potere concentrato nelle mani di pochi: in Argentina, per un periodo, è passata una legge che obbligava stampa, televisione e radio ad avere padroni differenti. Una delle prime mosse del governo di Mauricio Macri è stata quella di toglierla, sotto la spinta di grandi multinazionali, del settore economico che spingeva per accentrare una forza come quella mediatica. In generale, è una questione di mancata democrazia: perché i giornali non denunciano ciò che accade alla popolazione? Perché non stanno morendo i ricchi, ma gente comune, indigeni, contadini che sembra possano godere di meno diritti.
Quali sono i prossimi passi per difendere Castillo?
Sono tre. Innanzitutto, presentare una misura cautelare al sistema interamericano per violazione del diritto alla difesa nel processo per aver reso difficile a Castillo l'accesso ai suoi avvocati stranieri. Poi, presentare un ricorso alla Corte Costituzionale perché il pronunciamento con cui si risolve la crisi peruviana è una violazione della legalità e del diritto alla difesa di Castillo. L'ultimo è un'azione che presenterà il presidente del Messico Andrés Manuel López Obrador direttamente alle Nazioni Unite perché l'Onu intervenga nella normalizzazione democratica del Perù. Lo farà lui visto che è uno dei maggiori sostenitori esterni dell'ex presidente.
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