13 febbraio 2024
Est Europa, 2021. C’è una crisi migratoria in atto e tra Polonia e Bielorussia si consuma uno scontro che gioca sulla pelle delle persone. Il governo del dittatore Alexander Lukashenko illude molti in difficoltà ad arrivare in Bielorussia, facendo intendere loro che sarà facile entrare in Polonia, quindi a tutti gli effetti dentro l’Unione Europea. In realtà è solo un modo per sovraccaricare il confine, creare una tensione permanente con l’Ue e alzare il prezzo della trattativa con Bruxelles.
Lukashenko li manda. La Polonia li respinge
Il film “Green border” della regista e sceneggiatrice Agnieszka Holland prova a raccontare questa storia attraverso le vicende di una famiglia proveniente dalla Siria, composta da mamma Amina (Dalia Naous), papà Bashir (Jalal Altawil), tre figli di cui uno ancora bebè e il nonno: il loro obiettivo è arrivare in Svezia e raggiungere il fratello del capofamiglia. A loro si aggrega Leila (Behi Djanati Atai) che proviene dall’Afghanistan.
Migranti dalla Bielorussia, le responsabilità di Lukashenko
Credono tutti che l’operazione sia facile, mettendo in conto di offrire del denaro per corrompoere le guardie di frontiera. Ben presto si accorgono di non essere voluti: gli agenti al confine, sia bielorussi che polacchi, li rimbalzano da uno Stato all’altro, come fossero pacchi o palloni. A questo si aggiunge l’uso della violenza, manganellate in primis. E non importa quanti anni ha chi prende una bastonata, se è una persona anziana, un bambino o una donna (magari anche col pancione della gravidanza).
Scandita in quattro capitoli e un rapido epilogo, la pellicola “Green border” è di una potenza rara e una forza visiva notevole, grazie a uno splendido bianco e nero
Alla prospettiva della famiglia siriana, si aggiungono quelle di Jan, giovane guardia di confine (Tomas Wlosok) con la moglie incinta e di un gruppo di attivisti che cercano di aiutare i migranti. Il primo forse nutre dei dubbi sui metodi che vengono imposti agli agenti in divisa, ma non può rifiutare gli ordini, visto che non ha alternative e la compagnia sta per partorire. Il gruppo di attivisti, cui si aggiunge la psicologa Julia (Maja Ostaszewska), si spacca al suo interno, indeciso se violare apertamente la legge e rischiare magari il carcere o cercare di fare il massimo possibile, ma senza infrangere le regole, consegnando cibo e vestiti, accudendo chi è ferito o malconcio.
Scandita in quattro capitoli e un rapido epilogo, la pellicola “Green border” è di una potenza rara e una forza visiva notevole, grazie a uno splendido bianco e nero.
Non ci giriamo attorno: è un film pesante, che fa ribollire il sangue, disturba, mette a disagio, lascia la tentazione di guardare altrove in molte scene. Però è anche un film necessario, importante, che andrebbe proiettato a scuola.
È un film pesante, che fa ribollire il sangue, disturba, mette a disagio, lascia la tentazione di guardare altrove in molte scene. Anche per questo è un film necessario
Il finale lascia intravedere stralci di speranza, anche se le didascalie conclusive raccontano delle contraddizioni ancora oggi in atto: la Polonia ha accolto migliaia di profughi ucraini dopo lo scoppio della guerra con la Russia, ma continua a ricacciare in Bielorussia quelli che arrivano da quel confine.
Il film è stato proiettato alla Mostra del cinema di Venezia, vincendo il premio speciale della giuria. “Con un approccio duro e sconvolgente – si legge nelle motivazioni – in un bianco e nero che rende ancora più drammatica la situazione, la regista polacca descrive il trattamento violento e crudele subito dai migranti al confine tra Polonia e Bielorussia, mettendo in luce, oltre all’ovvio aspetto disumano, la volontà di ogni Stato di usare a scopo politico il flusso di gente disperata che ha perso tutto”.
La ferrovia sotteranea polacca che aiuta i migranti a scappare
La denuncia contenuta in “Green border” ha scatenato la reazione dell'ex ministro della giustizia polacco Zbigniew Ziobro, che su X (twitter) ha scritto: “Nel Terzo Reich, i tedeschi producevano film di propaganda che mostravano i polacchi come banditi e assassini. Oggi per questo c’è Agnieszka Holland”. La risposta della regista non si è fatta attendere, con la richiesta di scuse pubbliche e una donazione all’Associazione dei bambini vittime dell’Olocausto. Al giornale Variety ha poi affermato: “Accusarmi di essere nazista è un po' indecente. Soprattutto con la mia storia personale, essendo nipote di vittime nazismo e figlia di una donna che era una combattente della rivolta di Varsavia. È un po’ troppo.”
Uscito nelle sale italiane l’8 febbraio, vi farà male, ma non potete perderlo.
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