Sicilia. Caporalato e inquinamento nella Fascia trasformata, dove l'ortofrutta si fa criminale

Caporalato e inquinamento sono alcuni dei problemi diffusi nella Fascia trasformata, area della provincia di Ragusa a forte vocazione agricola e al centro di un enorme giro di affari. Un progresso solo apparente, che produce illegalità e distrugge l'ambiente

Thomas Aureliani

Thomas AurelianiRicercatore in Sociologia presso l'Università degli Studi di Milano

29 febbraio 2024

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Atterrare all’aeroporto di Comiso, in provincia di Ragusa, è un colpo agli occhi. Letteralmente. Se poi la giornata è soleggiata, i riflessi delle plastiche delle serre insediate sulla costa fanno quasi male alla vista del passeggero. È la cosiddetta Fascia trasformata, un territorio lungo circa 80 chilometri, prevalentemente costiero, in cui le attività agricole tradizionali, a partire dagli anni Sessanta, sono state sostituite da quelle intensive per aumentare la produzione e la redditività. 

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Sviluppo incontrollato

Le serre si sono sviluppate a macchia d’olio – da circa 34 ettari nel 1960 a oltre 15mila odierni – e hanno mutato profondamente l’economia della fascia costiera, garantendo all’agricoltura locale il raggiungimento di numerosi primati regionali e nazionali: per i livelli di produzione, per le varietà colturali e per il giro di affari del mercato ortofrutticolo di Vittoria, uno dei principali in Italia. Hanno, però, profondamente alterato anche il panorama sociale e territoriale, l’ambiente e il paesaggio, il mercato del lavoro.

È per questo che si chiama Fascia trasformata: l’esplosione della serricoltura e il suo indotto hanno plasmato ogni cosa. Tra queste serre e nelle zone urbane limitrofe, specialmente a Vittoria, Acate e Santa Croce Camerina, si sta consumando da molti anni un disastro ambientale, provocato dall’utilizzo massiccio di fitofarmaci nelle campagne – in provincia di Ragusa se ne consumano circa un terzo di quelli commercializzati in tutta la Sicilia – e dall’abbandono e dallo smaltimento dei rifiuti di ogni sorta, spesso perpetrato attraverso la pratica del rogo dei rifiuti legati al settore agricolo (le “fumarole”, come le chiamano i residenti). Il tutto in un contesto caratterizzato da marginalizzazione sociale, illegalità diffusa, sfruttamento del lavoro migrante, del lavoro minorile e della prostituzione di giovani donne, rumene la maggior parte.  

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È dunque, in primis, un sistema che poggia sul lavoro nero e grigio e sullo sfruttamento della manodopera bracciantile migrante. Su circa 28mila lavoratori e lavoratrici della zona, poco più di 15mila sono italiani e 12.600 stranieri: prima i migranti maghrebini, specialmente tunisini dagli anni Settanta, poi tantissimi originari dell’Est Europa, in maggioranza rumeni e rumene ma anche albanesi dagli anni Duemila, e più recentemente africani provenienti dall’area subsahariana.
Se dunque lo sviluppo dell’agricoltura in serra ha comportato una innegabile diffusione della ricchezza, l’ingresso prepotente dell’economia serricola ragusana nel mercato globale ha determinato allo stesso tempo l’innalzamento esponenziale dei costi da pagare, in termini di salute pubblica, tutela dell’ecosistema e dei lavoratori e delle lavoratrici. 

Molta della frutta e della verdura che compriamo nei nostri supermercati a prezzi abbordabili viene da qui, un territorio in cui si è deciso di rinunciare ai diritti fondamentali per perpetuare un sistema economico basato su sfruttamento e inquinamento

Molta della frutta e della verdura che compriamo nei nostri supermercati a prezzi abbordabili viene da qui, un territorio in cui si è deciso di rinunciare ai diritti fondamentali per perpetuare un sistema economico basato su sfruttamento e inquinamento. Questa è la principale caratteristica di quelle che sono chiamate "zone di sacrificio": luoghi contaminati in cui, appunto, si sacrificano persone e ambiente in nome della produzione a ogni costo.

Fitofarmaci, plastiche e illegalità

Quasi ogni giorno, in solitaria o insieme ai ragazzi e alle ragazze di Terre pulite, Riccardo prende l’auto e percorre le stradine dissestate che contornano le aziende agricole e il litorale costiero. La sua attività di denuncia pubblica, prevalentemente via social, ha dato parecchio fastidio, tanto da subire un attentato incendiario alla sua vecchia auto e diverse minacce

Addentrarsi nel labirinto di serre della Fascia significa fare un viaggio in un mondo parallelo, un luogo fisicamente separato, i cui confini sono i perimetri delle architetture di plastica che si estendono a perdita d’occhio. Quello che colpisce d’immediato, tra Marina di Acate e Scoglitti, è la presenza di micro e macro discariche abusive e il completo abbandono di diverse porzioni di territorio. 
In questa complessa geografia dei rifiuti si districa, come se fosse il cortile di casa sua, Riccardo Zingaro, attivista ambientale che da molto tempo fa parte dell’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa) e del comitato Terre pulite.

Oltre a salvare gli animali, Riccardo è un attento osservatore del territorio e insieme ad altri attivisti e attiviste – Andrea, Isabella, Eliana e Antonio – cerca di difendere l’ambiente segnalando, mappando e denunciando la presenza di rifiuti. Gira con il suo cellulare a filmare le fumarole, i roghi di rifiuti spesso plastici che vengono appiccati quasi giornalmente tra le serre: gli odori nauseabondi si sentono nei centri abitati più vicini come Acate o Vittoria. Contro questo fenomeno criminale ha anche raccolto oltre 3mila firme con una petizione online molto efficace, accompagnata dallo slogan "Lotta alle fumarole" seguito dall’hashtag #ciaveterottoipolmoni.

Contro questo fenomeno criminale ha anche raccolto oltre 3mila firme con una petizione online molto efficace, accompagnata dallo slogan "Lotta alle fumarole" seguito dall’hashtag #ciaveterottoipolmoni

Quasi ogni giorno, in solitaria o insieme ai ragazzi e alle ragazze di Terre pulite, Riccardo prende l’auto e percorre le stradine dissestate che contornano le aziende agricole e il litorale costiero. La sua attività di denuncia pubblica, prevalentemente via social, ha dato parecchio fastidio, tanto da subire un attentato incendiario alla sua vecchia auto e diverse minacce. È lui che sventola i documenti di Arpa Sicilia (l’Agenzia regionale per la protezione ambientale) che attestano la condizione critica di queste terre perché "nessuno qui capisce che l’inquinamento va nelle falde che alimentano le serre e si ripercuote su quello che mangiamo (…), il danno ambientale e la ricaduta sul territorio è di una gravità allucinante". 

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Uno degli obiettivi del comitato è proprio quello di stimolare gli organi preposti a organizzare uno screening sanitario e una ricerca epidemiologica sul territorio, anche della popolazione che chiamano "invisibile", cioè i lavoratori e le lavoratrici delle serre impiegati ma non legalizzati. Per ora è stato svolto uno studio del Servizio prevenzione e sicurezza ambienti di lavoro, che mette nero su bianco l’esistenza di un rischio statisticamente significativo per i tumori della pelle "non melanoma" e ai "limiti della significatività statistica" per il mieloma in relazione all’utilizzo di fitofarmaci.

Gli studiosi evidenziano che si dovrebbe tenere conto del fatto che vi è tutta la quota di lavoratori e lavoratrici non in regola che può aver utilizzato fitosanitari. Molti di loro sono migranti non regolari per la legge italiana e che dunque sfuggono a questi studi. Alessandro Di Benedetto, psicoterapeuta di Emergency che lavora a stretto contatto con i braccianti, racconta come le pessime condizioni sanitarie e ambientali siano fonte di inquietudine e stress: "Un ragazzo migrante ha lasciato il lavoro perché a causa dei diserbanti e dei fitofarmaci non riusciva a respirare. Angosciato da un amico morto per problemi legati alle condizioni del suo lavoro, ha poi deciso di andarsene perché traumatizzato dall’accaduto e dalle condizioni di vita quotidiane che a lungo andare sono divenute insopportabili".

"Un ragazzo migrante ha lasciato il lavoro perché a causa dei diserbanti e dei fitofarmaci non riusciva a respirare. Angosciato da un amico morto per problemi legati alle condizioni del suo lavoro, ha poi deciso di andarsene perché traumatizzato dall’accaduto e dalle condizioni di vita quotidiane che a lungo andare sono divenute insopportabili"

Il problema principale per l’intero settore agricolo è lo smaltimento delle plastiche, che ormai costituiscono, anche visivamente, un elemento organico del paesaggio. Nella Fascia trasformata la plastica è ovunque e in ogni forma: incastrata tra gli scogli, stratificata al di sotto delle meravigliose dune di sabbia del litorale Macconi (sotto sequestro da parte della magistratura), abbandonata sulla battigia a ridosso delle serre, bruciata ai lati delle strade, accatastata al di fuori dei cancelli delle aziende agricole. 
Antonio Cassarino, imprenditore agricolo del territorio e attivista di Terre pulite, ha le idee chiare in merito alle possibili soluzioni per contrastare questo fenomeno: trovare gli strumenti per lo smaltimento e lo stoccaggio di rifiuti a breve distanza e interventi, anche di tipo normativo, che incentivino gli agricoltori a utilizzare materiali biodegradabili e bioplastiche. Lui stesso li sta provando "anche se i costi sono maggiori, ma ne vale la pena".

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Gli attivisti evidenziano poi come le amministrazioni locali non siano mai riuscite a creare un sistema efficiente di raccolta e smaltimento, tanto che le mafie e le organizzazioni  criminali locali (la stidda, in primo luogo, ma anche Cosa nostra) si sono inserite nel lucroso affare, fornendo il servizio agli imprenditori agricoli della Fascia trasformata, come ha svelato nel 2019 l’operazione Plastic Free condotta dalla polizia su delega della Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Catania. 

Iniziative contro il degrado

Con le attività del comitato Terre pulite, un motivo di positività arriva della società civile organizzata

Con le attività del comitato Terre pulite, un motivo di positività arriva della società civile organizzata. Nella Fascia stanno nascendo interessanti progetti sociali e associazioni che si battono per la giustizia ambientale e sociale, denunciando lo stato di abbandono e degrado e provando a conoscere la reale entità del danno sull’ecosistema e sulla salute pubblica. Realtà che spesso fanno rete con organizzazioni già attive e strutturate sul territorio come Cgil, Emergency, Caritas, Libera o l’Unione sindacale di base (Usb), che svolgono azioni di solidarietà, assistenza legale e psicologica ai lavoratori migranti, costruzione di memoria e battaglie per la legalità, ma anche campagne di informazione e sensibilizzazione. 

Realtà che spesso fanno rete con organizzazioni già attive e strutturate sul territorio come Cgil, Emergency, Caritas, Libera o l’Unione sindacale di base (Usb), che svolgono azioni di solidarietà, assistenza legale e psicologica ai lavoratori migranti, costruzione di memoria e battaglie per la legalità, ma anche campagne di informazione e sensibilizzazione

Da due anni Libera cerca di dare visibilità alla drammatica vicenda di Douda Diane, un giovane mediatore culturale originario della Costa d’Avorio, da anni residente ad Acate, scomparso nel 2022. Aveva denunciato le condizioni lavorative della sua azienda di calcestruzzi ed era divenuto un esempio di lotta e resistenza anche per i lavoratori migranti delle serre. Un progetto particolarmente virtuoso, denominato “Trasformare la Fascia trasformata-Tft”, coinvolge l’associazione I tetti colorati onlus-Caritas, la cooperativa Proxima, Cgil e l’associazione Altro diritto onlus. Sostenuta dalla Fondazione Con il Sud, l’iniziativa agisce su tre direttrici rispondenti alle principali criticità riscontrate sul territorio: la promozione dell’inclusione sociale e della mobilità; la riqualificazione delle filiere florovivaistiche e agroalimentari, garantendo il rispetto dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici; la riqualificazione ambientale e paesaggistica, con iniziative per la prevenzione attiva di ulteriore degrado ambientale e il coinvolgimento di enti pubblici e del terzo settore.

In quest’ultimo ambito è anche nata la Rete antidegrado Ragusa (Radar), che ha l’obiettivo di coordinare le azioni tra le diverse realtà sociali in campo e proporre azioni concrete. È stato avviato un progetto pilota in contrada Alcerito, con la collaborazione del comune di Vittoria, in cui accanto ad azioni di educazione ambientale – diretta ai giovani della zona, molti dei quali figli dei lavoratori migranti – si accompagna lo sviluppo di un sistema di raccolta differenziata che, tra le serre del territorio, è praticamente inesistente. La lotta per la giustizia ambientale, che è anche giustizia sociale, si costruisce anche attraverso queste piccole battaglie quotidiane.

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