Foto di Valentina Mignano
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Bindi: "Impastato era divisivo, ma in terra di mafia è un bene esserlo"

La scelta degli studenti del liceo Savarino di Partinico, che hanno votato contro l'intitolazione del loro istituto a Peppino Impastato, è frutto di scarsa coscienza critica. La scuola dovrebbe aiutarli a scegliere da che parte stare e a non aver paura delle persone divisive, prima di aver capito perché e in nome di quale valore lo sono state

Rosy Bindi

Rosy BindiEx ministra della Salute, presidente Commissione antimafia nella XVII legislatura

18 marzo 2024

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Mi ha fatto male, molto male l’alta percentuale, ben il 70 per cento, con la quale gli studenti del liceo scientifico Savarino di Partinico si sono dichiarati contrari a intitolare il loro istituto a Peppino Impastato, giornalista militante assassinato dalla mafia nel 1978. Il 15 marzo, in 797 su 1300 hanno detto no, giudicando Impastato un personaggio “divisivo” e accusando di scarsa democrazia l’iter dell’intitolazione. La ragione di metodo contestata sarebbe stata la scelta prevaricatrice nel consiglio d’Istituto nei confronti della rappresentanza studentesca; la ragione di merito il fatto che Peppino è una persona divisiva perché era militante di Democrazia Proletaria.

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In una lettera aperta, gli studenti hanno scritto “Avremmo preferito un nome apartitico per evitare di politicizzare e strumentalizzare il cambio dell’intitolazione, cosa che nonostante tutto è avvenuta. Il termine ‘divisivo' è stato da noi utilizzato non per dire che Peppino Impastato sia una persona divisiva, ma per sottolineare le divisioni che sono sorte nel territorio e nella stessa comunità scolastica”. Nella stessa lettera gli studenti hanno detto che avrebbero preferito il nome di Rosario Livatino o quello di Gigia Cannizzo, sindaca antimafia di Partinico.

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Chi, se non i giovani di una terra che ha pagato e continua a pagare prezzi altissimi a causa della presenza mafiosa, dovrebbe compiere scelte divisive?

Nessuno ha avuto il coraggio di dire che era divisivo perché combatteva la mafia e perché la mafia lo aveva ucciso. Né qualcuno degli studenti si è ricordato che pure Rosario Livatino non è stato meno divisivo. Mi ha fatto male pensare che gli studenti di quel liceo ricordassero che Peppino era un militante di Dm e non che avesse combattuto Tano Badalamenti, boss di Cinisi, il suo stesso paese. Mi ha fatto male soprattutto perché la mafia per prima quel 9 maggio del 1978, giorno della sua morte e della morte di Aldo Moro, cercò di depistare le indagini facendo credere che Impastato fosse rimasto vittima dell’esplosione dell’ordigno con il quale stava compiendo un attentato alla linea ferroviaria. Lo avevano ucciso perché con la sua radio definiva la mafia “merda”, ma volevano far credere a tutti che era stato ammazzato dalle sue idee politiche! La storia continua ad accanirsi contro Peppino e la sua famiglia che tanto hanno fatto, soprattutto la madre Felicia che non c’è più, per ristabilire contro tutto e tutti la verità della sua morte.

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Fa male, molto male pensare che gli studenti di quel liceo non abbiano scelto di intitolare il loro istituto a Impastato proprio perché era divisivo. Soprattutto che si contrappongano tra loro dei martiri della mafia proprio alla vigilia del 21 marzo, Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Chi, se non i giovani di una terra che ha pagato e continua a pagare prezzi altissimi a causa della presenza mafiosa, dovrebbe compiere scelte divisive?

I ragazzi del Liceo di Partinico

Il contrasto alla mafia ha diviso per molti anni la politica italiana e spesso è stata volutamente usata come strumento di competizione. Per molti anni si è identificato la lotta alla mafia con una certa parte, rendendo ragione a uomini come Pio la Torre che erano comunisti e magari non ricordando abbastanza che Piersanti Mattarella come Michele Reina erano democratici cristiani. Era stata considerata da tutti un’evoluzione positiva l’impegno di unire tutta la politica nella lotta, di non dividersi mai contro un potere criminale che rappresenta un male assoluto, di isolare e di espellere da ogni comunità politica coloro che cercavano o non rifiutavano il consenso mafioso, erano tiepidi o disponibili verso i loro favori.

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Anteporre l’appartenenza politica all’impegno contro la mafia nella vita di Peppino Impastato e rifiutarlo per le sue idee politiche, invece di accettarlo e di onorarlo per aver combattuto la mafia fino al martirio, manifesta una pericolosa involuzione nella coscienza politica di quei ragazzi.
Quel 70 per cento ha una precisa idea politica? E’ stato influenzato e orientato dai propri rappresentati, che hanno saputo creare consenso unendo la ragione di metodo a quella di merito? In ogni caso, ciò che è accaduto ci pone una domanda alla quale tutti siamo chiamati a rispondere. Dov’è finito il risveglio delle coscienze italiane, siciliane e palermitane che si è manifestato dopo le stragi del 1992?

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La mafia fa parte della nostra storia

Non possiamo certo muovere delle critiche a chi in tutti questi lunghi anni ha tenuto e continua a tenere viva la memoria, a onorare le vittime di mafia il 21 marzo di ogni anno, a solcare in lungo  e in largo questo paese per incontrare giovani, scuole, associazioni, cittadine e cittadine, a fare formazione, a gestire beni confiscati, a vigilare sulla legislazione, a costituirsi parte civile nei processi di mafia a denunciare comportamenti collusi. L’elenco di persone che si sono spese e continuano a spendersi è lungo e non è composto soltanto da persone famose: ci sono tanti insegnanti, educatori, preti, amministratori, sindacalisti, giornalisti, imprenditori, magistrati che si spendono per raccontare che cosa è la mafia e come la si combatte. Forse non basta più.

Se la mafia è componente strutturale della vita del nostro Paese, le cittadine e i cittadini italiani non possono dirsi sovrani se non ne hanno una conoscenza profonda. A maggior ragione la classe dirigente

Non basta più perché la conoscenza della mafia non può essere per pochi o per tanti, ma deve essere per tutti. Dovremmo batterci perché la storia delle mafie e della lotta alle mafie sia inserita nei programmi scolastici di ogni ordine e grado, comprese le università. Se la mafia è componente strutturale della vita del nostro Paese e lo è perché preesiste alla formazione dello Stato unitario ed ha accompagnato tutta la vita della nostra repubblica, le cittadine e i cittadini italiani non possono dirsi sovrani se non ne hanno una conoscenza profonda. Questo vale vieppiù per tutta la classe dirigente.

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La scelta degli studenti di Partinico è da attribuire soltanto alla non conoscenza della vita di Peppino Impastato e di Cosa Nostra? Temo di no. Temo purtroppo che la loro scelta sia anche frutto di una insufficiente formazione all’esercizio della cittadinanza di cui la scuola dovrebbe farsi carico, sviluppando nei giovani una coscienza critica per aiutarli a scegliere da che parte stare e a non aver paura delle idee e delle persone divisive, prima di aver capito perché e in nome di quale valore lo sono. Ancora una volta ha ragione don Luigi Ciotti quando afferma che per sconfiggere la mafia dobbiamo combattere la mafiosità che supera i confini delle appartenenze mafiose, ed è la vera forza delle mafie. Nel liceo di Partinico le divisioni faziose e poco consapevoli, nel 2024, hanno rifiutato quel Peppino che la mafia aveva ucciso nel 1978.

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