Roma, febbraio 2020. Un gruppo di familiari delle vittime innocenti delle mafie protestano davanti Montecitorio.
Roma, febbraio 2020. Un gruppo di familiari delle vittime innocenti delle mafie protestano davanti Montecitorio.

Benefici economici alle vittime innocenti delle mafie: cade il vincolo del quarto grado di parentela

Dopo anni di battaglie, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la norma che nega i benefici alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata che abbiano un rapporto di parentela, fino al quarto grado, con persone condannate o coinvolte in un procedimento penale. Ora lo Stato dovrà tenerne conto

Marco Panzarella

Marco PanzarellaRedattore lavialibera

8 luglio 2024

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I parenti delle vittime innocenti delle mafie e del terrorismo potranno accedere ai benefici economici previsti dallo Stato, anche se hanno familiari condannati o coinvolti in un procedimento penale. Lo ha deciso la Corte Costituzionale (sentenza n.122 del 21 maggio 2024) dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2-quinquies, comma 1, lettera a), del decreto legge 2 ottobre 2008, n. 151 recante “Misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all’immigrazione clandestina”.

Familiari delle vittime di mafia: "Diritti, non benefici"

Tecnicismi a parte, si tratta di una pronuncia storica che segna un nuovo inizio dopo anni di battaglie condotte dai familiari delle vittime e, in particolare, da Libera. Dopo questa sentenza lo Stato dovrà valutare ogni istanza avanzata dai parenti per accedere ai benefici economici (che sarebbe più corretto chiamare diritti), senza che l’automatismo del quarto grado di parentela blocchi sul nascere l’iter, come troppe volte avvenuto in passato.

Riconoscere le vittime dei reati nella Costituzione

“In molti casi – spiega Daniela Marcone, responsabile dell’area memoria di Libera e figlia di Francesco Marcone, il direttore dell’Ufficio del registro di Foggia ucciso dalla criminalità il 31 marzo 1995 – queste persone non hanno nulla a che fare con i loro parenti, ma fino ad oggi il vincolo del quarto grado li ha esclusi dall’accesso ai benefici. Avere un sostegno economico è fondamentale per vivere e affrontare le spese legali. Quando ti costituisci parte civile al processo nessuno ti offre nulla, gli avvocati bisogna pagarli subito e sappiamo che certi procedimenti durano anni”.

Un automatismo ingiusto

La pronuncia della Corte Costituzionale fa seguito a un’ordinanza della Corte d’appello di Napoli, che il 16 novembre 2023 ha sollevato la questione di legittimità dopo la negazione dei benefici ai familiari di Gelsomina Verde, la donna uccisa a Napoli dalla camorra il 21 novembre 2004. Un parente “entro il quarto grado” con precedenti penali ha bloccato l’istanza, escludendo i familiari diretti da qualsiasi forma di contributo.

La decisione della Corte arriva grazie all’impegno dei familiari di Gelsomina Verde, che non si sono mai arresi

La sentenza contiene dei passaggi fondamentali, che smontano la ratio del vincolo del quarto grado. In particolare, i giudici della Corte spiegano come “la finalità di evitare che le risorse pubbliche siano distolte a vantaggio di persone legate alla criminalità organizzata sarebbe già soddisfatta con il requisito dell’estraneità a tali ambienti”. Inoltre, la “rigida previsione dettata dalla legge, peraltro applicabile solo ai superstiti e non al soggetto direttamente danneggiato, implicherebbe una vera e propria discriminazione fondata esclusivamente sull’origine familiare”.

In effetti, la negazione dei benefici lede il diritto di difesa tutelato, previsto dall’articolo 24 della Costituzione italiana, secondo cui “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”. I giudici osservano poi come non sia “affatto impossibile, né tantomeno difficile, nella realtà, che soggetti che abbiano rapporti di parentela o affinità anche stretta con appartenenti all’ambiente criminale siano estranei ad esso”.

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Gli esempi in tal senso sono numerosi. Si pensi, ad esempio, alla storia di Rita Atria, cresciuta in una famiglia di mafiosi ma coraggiosa, a soli 17 anni, nel rompere ogni legame con i suoi parenti e diventare testimone di giustizia. Rita è morta gettandosi dal balcone del settimo piano di un palazzo a Roma il 26 luglio 1992, una settimana dopo l’attentato al giudice Paolo Borsellino, con cui aveva stretto un legame fortissimo. Prima di uccidersi scrisse nel suo diario: “Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Tutti hanno paura ma io l’unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi”.

Tra legittimità e sproporzione

Motivando la sua pronuncia, la Corte Costituzionale non esclude che in molte famiglie criminali si instaurino “legami di mutuo sostegno, di connivenza o di tacita condivisione” ed è quindi comprensibile che l’intenzione del legislatore, introducendo il vincolo del quarto grado, fosse quella di evitare qualsiasi utilizzo improprio di denaro pubblico da parte delle mafie. “La finalità, pur legittima, è perseguita, tuttavia, con mezzi sproporzionati”, spiega con straordinaria efficacia la Corte.

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I giudici aggiungono: “È dunque immanente al sistema la necessità di una verifica rigorosa della radicale estraneità al contesto criminale. L’estraneità, peraltro, non si esaurisce nella mera condizione di incensurato o, in negativo, nella mancanza di affiliazione alle consorterie criminali, ma postula, in positivo e in senso più pregnante, la prova di una condotta di vita antitetica al codice di comportamento delle organizzazioni malavitose. Su chi rivendica elargizioni o assegni vitalizi, grava l’onere di dimostrare in modo persuasivo l’estraneità, che assurge a elemento costitutivo del diritto, e la carenza di una prova adeguata ridonda a danno di chi reclama le provvidenze”.

“In Italia le risposte stanno arrivando dalla magistratura, mentre la politica continua a ritenere questi temi residuali”, spiega Daniela Marcone

“Con questa pronuncia lo Stato non ha più scuse – spiega ancora Marcone – ora c’è una carta d’appoggio e nessuno può ignorarla. Dobbiamo però prendere atto che in questi anni è stata la magistratura a dare risposte. Magistrati che denunciano l’incostituzionalità delle norme; che hanno spiegato come prescrizioni e decadenza rispetto a questi benefici non possano esistere; che riconoscono un vero e proprio diritto alla verità e un diritto al lutto nei loro provvedimenti. Dall’altra parte, purtroppo, persiste il blocco del mondo della politica. Generalizzare non è mai giusto, ma di fatto questi temi spesso risultano residuali, passano sempre in secondo piano. Ci riempiamo la bocca di parole sulle storie delle vittime innocenti di mafia, con iniziative e commemorazioni, ma poi dimentichiamo che dietro ogni tragedia c’è una famiglia che soffre e aspetta. Attraverso i benefici alle vittime si riconosce il diritto al lutto e al dolore, non si tratta come dice qualcuno soltanto di soldi”.

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